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Il valore aggiunto contenutistico del CLIL

2. CLIL - Un nuovo approccio didattico integrativo

2.3 Sul valore aggiunto del CLIL

2.3.2 Il valore aggiunto contenutistico del CLIL

È abbastanza comprensibile che inizialmente non ci si sia quasi posto il problema di quale valore aggiunto comporti il CLIL per la disciplina non linguistica insegnata in lingua straniera. La didattica CLIL è stata infatti per lo più intesa come possibilità di migliorare le competenze degli allievi nella lingua straniera. La Commissione europea, inoltre, an-cora all’inizio di questo secolo, aveva nobilitato il CLIL come percorso di elezione per il

plurilinguismo. Già in questi anni, però, si cominciavano a diffondere riflessioni sul ruolo della disciplina non linguistica nella didattica CLIL, che avevano peraltro connotazioni soprattutto negative: ci si chiedeva se il contenuto disciplinare non rischiasse di essere compromesso in quanto insegnato in lingua straniera. Pesavano in ciò soprattutto le opinioni dei genitori, che inizialmente per la maggior parte rifiutavano il CLIL, ritenendo che la lingua straniera limitasse l’acquisizione di conoscenze e competenze disciplinari.

A sostegno di questa tesi molti esperti di didattica disciplinare sottolineavano che i con-tenuti della disciplina avrebbero potuto essere veicolati in lingua straniera solo in forma ridotta, perché altrimenti non avrebbero potuto essere elaborati dagli studenti a causa della loro complessità. Ma geografia o storia ‘leggera’ non era nelle concezioni della politica dell’istruzione.

Se si guarda agli studi condotti nel primo decennio di questo secolo (es. Müller-Schneck 2006), si trovano tuttavia anche dichiarazioni di insegnanti CLIL che evidenziano il valore aggiunto disciplinare. Si fa notare, per esempio, che negli allievi delle classi CLIL si sono potute sviluppare competenze disciplinari migliori di quelle delle classi convenzionali dove l’insegnamento avveniva nella lingua di istruzione: ciò sarebbe riconducibile al fatto che i temi della cultura straniera possono essere osservati anche da un altro punto di vista, quello della propria cultura: con una scelta adeguata dei temi, si può avere un cam-bio di prospettiva. Questo processo aumenta l’attenzione per il contenuto disciplinare e dà inoltre un contributo all’apprendimento interculturale (si vedano le considerazioni sull’apprendimento interculturale al par. 2.3).

D’altro canto ci sono anche insegnanti CLIL che mettono in guardia dal fatto che i contenuti disciplinari non possano essere trattati in lingua straniera allo stesso livello di approfondimento che si avrebbe con la lingua madre o la lingua di istruzione degli allievi.

Negli ultimi anni per affrontare meglio la questione del valore aggiunto disciplinare del CLIL sono stati condotti numerosi studi empirici. In questi studi, come per il valore ag-giunto linguistico, si è cercato di rispondere a due domande. La prima, quale sia il valore aggiunto disciplinare della didattica CLIL rispetto alla normale didattica convenzionale nella lingua di istruzione, e la seconda, come si possa spiegare il (presunto) valore ag-giunto.

Questi interrogativi sono stati affrontati ad esempio da Lamsfuß-Schenk (2007) in modo strutturato in uno studio che ha preso in esame due classi parallele di scuola supe-riore (prima classe) per un intero anno scolastico; in una classe la storia veniva insegnata in tedesco (lingua di istruzione degli allievi), nella seconda in francese (lingua CLIL). Dallo studio è risultato evidente che gli allievi che avevano fatto lezione in lingua CLIL avevano imparato i contenuti della disciplina in modo più esauriente rispetto ai ragazzi che li ave-vano studiati nella lingua di istruzione. Sapeave-vano per esempio nominare dati e fatti della disciplina utilizzando termini più precisi e mostravano maggiore dimestichezza con molti particolari rispetto al gruppo di confronto che seguiva la lezione nella lingua di istruzione.

Avevano inoltre una maggiore capacità di concettualizzazione, vale a dire che padro-neggiavano definizioni più precise rispetto al gruppo di confronto, a cui probabilmente mancavano i termini corretti normalmente in uso nella lingua straniera. Risultati analoghi sono riportati da Bonnet (2015) che segnala che l’apprendimento bilingue permette di

acquisire competenze disciplinari in misura persino maggiore rispetto a quella dei gruppi di confronto che fanno lezione nella lingua di istruzione. Bonnet si era occupato soprat-tutto di materie scientifiche, in particolare di chimica. Anche se altri studi si mostrano più scettici, ci si può almeno basare sul presupposto che una lezione di disciplina tenuta in lingua straniera non limita, come si temeva originariamente, lo sviluppo di competenze rispetto alla lezione tenuta nella lingua di istruzione.

A nostro parere, gli studi permettono persino di collocare a un livello più alto i risultati di apprendimento della didattica CLIL, che usa la lingua straniera, rispetto alla didattica convenzionale che fa uso della lingua di istruzione. Ovviamente tutti coloro che si sono occupati del valore aggiunto del CLIL per la disciplina non linguistica hanno provato a spiegare perché si ottengono questi risultati, cioè perché la lezione della disciplina tenu-ta in lingua straniera non risultenu-ta compromessa, mentre sembra che dia risultenu-tati migliori di quelli ottenuti nella lingua di istruzione. Lamsfuß-Schenk (2007) dà una spiegazione, relativa alla storia, decisamente chiarificatrice. L’autrice ha avuto modo di constatare che i due gruppi di allievi utilizzavano strategie di apprendimento diverse. Le differenze stavano in particolare nella modalità di lettura. Il gruppo che seguiva le lezioni nella lingua di istruzione elaborava i testi storici adottando quasi esclusivamente strategie di lettura superficiale. Evidentemente gli allievi partivano dal presupposto che i testi erano facili da capire, li scorrevano e concludevano in brevissimo tempo i processi per la loro ela-borazione. Gli allievi CLIL, invece, per decodificare i materiali didattici in lingua straniera applicavano strategie di lettura analitica. Ricorrono anche a molte altre strategie, come chiedere il significato di parole sconosciute, tradurre aiutandosi con il dizionario, dedurre il significato delle parole sconosciute dal contesto, leggere più volte il testo con modalità interattiva. Tutte queste strategie possono essere condensate nel termine ‘elaborazione’.

In psicologia dell’apprendimento l’elaborazione è intesa come processo di associazione di contenuti di nuova acquisizione con altri elementi conosciuti e come integrazione di nuove voci nel patrimonio di conoscenze posseduto. Chi affronta un apprendimento bi-lingue dedica quindi alla comprensione dei testi disciplinari molto più impegno rispetto a chi studia nella lingua di istruzione, con il risultato di costruirsi concetti e termini specifici.

Ciò avviene da un lato a livello individuale, dall’altro però anche nella socializzazione che si attiva nel discorso didattico in lingua straniera (cfr. Vygotsky 1986). Lamsfuß-Schenk attribuisce la scelta di impiegare questa strategia all’esigenza degli allievi di capire fino in fondo il testo che hanno di fronte. Poiché riuscire a fare ciò in lingua straniera risulta più difficile, adottano il repertorio di strategie descritto, consistente in un processo com-plesso che porta a un’elaborazione più approfondita del testo rispetto a quella compiuta dagli allievi che lavorano nella lingua madre, si ha cioè l’esatto contrario di ciò che gli oppositori rimproverano all’approccio CLIL. E un’elaborazione più approfondita porta a sua volta (non lo dicono solo gli esperti di psicologia cognitiva dell’apprendimento) a mi-gliori prestazioni di memorizzazione e, di conseguenza, a un apprendimento più efficace e a risultati migliori.

A questo punto un lettore attento obietterà che questo tentativo di spiegazione sarà forse applicabile alle materie socio-umanistiche, ma che non possa reggere per le di-scipline scientifiche che sono meno legate ai testi. I pochi studi finora condotti sulla

didattica CLIL nelle materie scientifiche mostrano però che anche le scienze naturali possono trarre vantaggio da lezioni tenute in una lingua diversa da quella di istruzione.

In uno studio è risultato, per esempio, che gli allievi che hanno seguito lezioni di biologia in una lingua diversa da quella di istruzione danno prestazioni leggermente più alte in quella materia (Bonnet 2015). Questo studio può essere peraltro ricondotto solo in parte al contesto del CLIL. Il suo autore (Osterhage 2009) spiega il risultato col fatto che la lezione CLIL permetterebbe agli allievi di effettuare confronti sistematici interlinguistici e interculturali “che darebbero spunti particolari per la classificazione e il collegamento dei concetti e per la formulazione di ipotesi” (Bonnet 2015:174). Anche per la didattica CLIL delle discipline scientifiche si è potuta dimostrare un’elaborazione più approfondita che comporta, quale valore aggiunto per la disciplina, la riduzione delle interferenze tra termine scientifico e linguaggio quotidiano e, di conseguenza, una facilitazione nei pas-saggi concettuali. Un argomento che aumenta il valore aggiunto dell’insegnamento CLIL, dunque in lingua straniera, rispetto a quello impartito nella lingua di istruzione sta, secon-do Bonnet (2015), nel fatto che l’estraneità della lingua comporta un rallentamento della comunicazione didattica, che permetterebbe di far emergere problemi di comprensione e di risolverli all’istante. Naturalmente queste ultime argomentazioni valgono per tutte le discipline insegnate con il metodo CLIL.

Nel complesso si può dunque constatare che la didattica CLIL può essere considera-ta in termini assoluconsidera-tamente positivi relativamente al valore aggiunto per quanto riguarda il contenuto, in quanto i dubbi sull’uso di una lingua straniera espressi da numerosi genitori e insegnanti di discipline non linguistiche a un’analisi più precisa non trovano conferma.

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