• Non ci sono risultati.

Capitolo III. L’esperienza del viaggio educativo (Il Grand Tour)

3.2 Il viaggio quotidiano e la mobilità in città

58

Il brulicante mondo urbano è caratterizzato da individui che quotidianamente si mobilitano per raggiungere sedi lavorative, negozi, centri ricreativi e case in cui risiedono amici e parenti. La città ospita microviaggiatori intenti a utilizzare i mezzi di trasporto per raggiungere i loro obiettivi, e ciò crea veri e propri flussi umani giornalieri che spesso congestionano le metropoli ed evidenziano problematiche irrisolte. Nei precedenti paragrafi ho analizzato la rilevanza del viaggio inteso come sospensione del quotidiano, una pratica che riveste addirittura di eroicità chi la compie. La mobilità urbana riduce drasticamente il potenziale esaltante del viaggio e lo traduce in un semplice costituente della quotidianità. Il viaggio rappresenta la vita ordinaria, specialmente grazie al fenomeno dei pendolari, individui che per lavoro o per motivi di studio sono costretti ogni giorno a percorrere lunghe distanze con i mezzi pubblici, e quindi fanno del viaggio una parte integrante della loro abitudinarietà urbana.

Come il turista, anche il cittadino viaggiatore dovrà rimanere sempre vigile per fare in modo che non capitino imprevisti: il turista non deve mancare nessuno degli obiettivi preposti, e nello stesso modo il pendolare non dovrà distrarsi per non perdere coincidenze o appuntamenti di lavoro: “il pendolare è un individuo che non ama nuove esperienze, anzi spera che non gli succeda nulla al di fuori dell’orario: egli spera solo che il tempo necessario allo spostamento passi velocemente” (Nuvolati 2007, 143). I continui spostamenti creano l’incapacità di esperire pienamente i luoghi che diventano territori di partenze e di arrivi, dove sedimentare da una parte i valori dell’infanzia e della storia familiare, dall’altra quelli del successo lavorativo e degli esercizi cittadini.

Un modello di città ideale dovrebbe consentire un’alta qualità della vita, grazie agli strumenti per abbattere l’inquinamento ambientale, i capitali economici e i servizi atti a garantire la protezione contro la criminalità. Il concetto di mobilità urbana sembra poter rientrare nella lista di punti con cui definire il livello del benessere sociale. Un territorio che non permette la semplice accessibilità ai servizi basilari risulterà carente e dovrà provvedere a costituire una rete mobile capace di garantire la fruibilità delle risorse: “il benessere non è dato dalla semplice disponibilità di beni e risorse, né dalla soddisfazione espressa dai singoli relativamente alle proprie condizioni di vita. Non è ciò che abbiamo, ma ciò che facciamo […] scegliendo tra possibili alternative […] a rendere la nostra vita degna di essere vissuta” (Nuvolati 2007, 106). Il potenziamento del trasporto deve seguire di pari passo la crescita economica della metropoli per salvaguardare la distribuzione di beni e servizi.

59

Come si è visto in precedenza, il viaggio può essere anche un’occasione per scoprire l’alterità e per approfondire culture con cui confrontarsi per evidenziare nuovi tratti della propria individualità. Il sapere e il viaggio si allineano per donare una visione non superficiale dei luoghi che vengono esplorati e quindi realmente conosciuti. Ciò che contraddistingue il viaggio quotidiano sul suolo urbano è la rinuncia a una contemplazione piena che cede il posto a un’osservazione rapida dovuta alla fretta dell’uomo e alla velocità dei mezzi che veicolano i cittadini da un punto all’altro della metropoli. La conoscenza risulta dunque frammentata e mai registrata, dato che non c’è motivo di archiviare situazioni personali che vanno rivissute costantemente giorno dopo giorno. Il motivo dell’incontro con l’altro si modifica di conseguenza: gli individui metropolitani in continuo movimento avranno poco tempo per approfondire la conoscenza di altre persone e saranno perciò costretti a presentarsi in maniera falsata e frettolosa: “ne scaturisce la tentazione di presentarsi in modo enfatico, concentrato e il più possibile caratteristico, mentre quella tentazione risulta molto meno forte nei casi in cui ci si vede più spesso e per più tempo, e quindi si riesce comunque a trasmettere alla controparte un’immagine precisa della propria personalità” (Simmel 2020, 415).

I luoghi urbani, grazie ai viaggi quotidiani dei cittadini che si muovono per le loro esigenze, vengono caricati di rilevanza per la loro percorribilità e per la facile raggiungibilità. Questi pregi nascono dal rapporto sempre più intenso che si crea tra il viaggiatore e il mezzo di trasporto utilizzato: treni, autobus, metropolitane e automobili diventano oggetti della quotidianità con cui diventa obbligatorio relazionarsi. L’impatto di questi elementi (dall’Ottocento segnato dall’industrializzazione in poi) sarà decisivo per modificare gli assetti urbani ma anche l’immaginario collettivo e la vita pubblica dei cittadini.

Il mezzo di trasporto pubblico riproduce un viaggio che si costruisce interamente lungo i percorsi interessati dalla vita sociale. Ogni strada, indirizzo commerciale o sede lavorativa attraversata rappresenta un elemento di aggregazione umana che delinea itinerari conosciuti e lontani dai tratti tipici del viaggio eroico, avventuroso e imprevedibile.

I contesti abitativi diventano luoghi di partenze e ritorni quotidiani: i cittadini escono di casa e si dirigono verso i luoghi di lavoro, per poi tornare nuovamente nelle loro abitazioni innescando un meccanismo che produce noia e omologazione. L’ubicazione del bene di Giorgio Falco è un testo che raccoglie numerosi racconti inseriti in una realtà urbana che mette in evidenza la mediocrità umana e l’avvicendarsi di esperienze sempre uguali e mai esaltanti. Così come il mezzo di trasporto pubblico non può deviare dai circuiti prestabiliti, anche le

60

vite dei personaggi sembrano modellarsi entro i confini di una dimensione urbana fatta su misura per l’uomo che non ricerca emozioni forti ma tenta solamente di sopravvivere:

ubicato nella zona sud ovest della provincia di Milano, lungo la Strada Statale 494, e più precisamente nel lembo di terra tra Vermezzo e Abbiategrasso, Cortesforza è un comune di 1574 abitanti […] situato a 101 metri sul livello del mare. La superficie è di 3,9 chilometri quadrati. Cortesforza è un piccolo comune che negli ultimi due decenni ha avuto uno sviluppo residenziale costante ma coerente e contenuto, grazie al quale ha mantenuto la sua principale peculiarità: un centro abitato a misura d’uomo (Falco 2009, 17).

Chi prova a sottrarsi all’esistenza grigia e banale della quotidianità cittadina viene imprigionato in un altro mondo, quello del fallimento e della malattia: uscire dagli schemi, ricercare la felicità autentica e fuggire da contesti sterili e inappaganti sono rischi che annullano la sicurezza di una vita organizzata e influenzata dagli obblighi della società:

lui si alza per andare alla stampante, riceve una telefonata al suo interno, il capo lo chiama dalla macchina mentre torna a casa, per controllarlo. […] Le notizie radiofoniche parlano di sport ma gli ricordano che ha dimenticato la stampa dell’articolo. Domattina, se arriva presto, forse la troverà nella vaschetta. Ogni mattina capita così: decine di fogli stampati il giorno precedente, dimenticati per qualsiasi motivo, abbandonati e nemmeno letti, solo stampati, come se quei brevi impulsi individuali fossero una forma di resistenza vana, un inespresso sentimento collettivo, la vitalità inconcludente frutto di un desiderio notturno (Falco 2009, 62).

Il viaggio con i mezzi pubblici si caratterizza per una costante alterazione dello spazio circostante che viene attraversato in maniera fulminea. L’osservazione si sofferma su unità geografiche che sono tasselli di ciò che possiamo definire un paesaggio, ovvero un luogo che va pienamente vissuto attraverso i sentimenti personali e la contemplazione:

un colpo d’occhio panoramico o l’orizzonte effimero nel quale abbracciamo una serie di oggetti non sono ancora di per sé un paesaggio, ma tutt’al più sono materia grezza in vista di un paesaggio, un po’ come una serie di libri non è ancora una biblioteca, ma lo diventa quando un certo concetto investe quei volumi, li unifica e conferisce loro una forma (Simmel 2020, 332).

61

L’automobile, invece, si libera dai vincoli della percorribilità programmata e diventa strumento per l’autonomia individuale. Tuttavia, la città postindustriale caotica e congestionata evidenzia un contrasto tra il sogno comune di mobilitarsi comodamente con i propri ritmi e la parvenza di libertà generata da una realtà contraddistinta da imbottigliamenti e incidenti stradali.

Il tema della libertà apparente, inserito in un contesto caratterizzato dal progresso tecnologico, viene espresso nel romanzo Il fu Mattia Pascal di Pirandello. Il protagonista Adriano Meis si aggira per le vie di Milano, colme di mezzi di trasporto innovativi e cittadini che si accalcano per raggiungere le fermate di tram e autobus più vicine: “mi sentivo sperduto tra quel rimescolio di gente. E intanto il frastuono, il fermento continuo della città m’intronavano […]. Perché tutto questo stordimento di macchine? E che farà l’uomo quando le macchine faranno tutto? Si accorgerà allora che il così detto progresso non ha nulla a che fare con la felicità?” (Pirandello 2015, 720). Meis vive una condizione di estraneità e osserva criticamente il mondo moderno che sembra ritrovare la felicità unicamente nel progresso e nelle macchine. Questo stesso strapotere tecnologico è ciò che Pirandello descrive come una gabbia che imprigiona la natura, e il dialogo tra l’uomo e i simboli del paesaggio incontaminato sembra non essere più possibile, dato che la meccanizzazione ha creato differenze troppo grandi tra l’individuo e la realtà circostante. L’ingabbiamento della natura, succube della tecnologia, ma anche quello dell’uomo inserito in una società schiavizzata dalle illusioni del progresso, vengono messi in evidenza nel dialogo tra Adriano Meis e un canarino in gabbia:

là, in un corridojo, sospesa nel vano d’una finestra, c’era una gabbia con un canarino. […] Gli rifacevo il verso con le labbra, ed esso veramente credeva che qualcuno gli parlasse […]. Ebbene, a pensarci, non avviene anche a noi uomini qualcosa di simile? Non crediamo anche noi che la natura ci parli? E non ci sembra di cogliere un senso nelle sue voci misteriose, una risposta, secondo i nostri desiderii, alle affannose domande che le rivolgiamo? (Pirandello 2015, 721).

63

Capitolo IV: L’identità del flâneur e l’analisi urbana in Marcovaldo e Palomar di Italo