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Prima di passare ad illustrate gli interventi asburgici decisivi soprattutto nella seconda metà del secolo, merita una breve parentesi un bell’affresco dell’economia comasca nel

primo decennio del XVIII secolo. Il testo acquista un sapore degno di nota, anche perchè si

tratta dell’analisi operata da Giambattista Giovio, nonno e omonimo del protagonista di

questo lavoro, oratore a Milano e fonte esplicita della Lettera sul Commercio scritta

settant’anni dopo dal Nostro

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. La memoria, puntuale e meditata, non a caso definita dal

nipote una «tela di Michelangelo», illustra la situazione economica ereditata dalla monarchia

asburgica alla pace di Rastadt, firmata con la Francia il 6 marzo 1714, specchio di un

Milanese prostrato per un quarto di secolo da guerre ininterrotte. Tuttavia alle conseguenze

dirette della guerra (passaggi e alloggiamenti di truppe, devastazioni, requisizioni e ruberie,

morie di uomini e di animali, interruzione dei traffici) si sommarono anche, inevitabilmente, i

pesanti effetti di un accresciuto prelievo fiscale sui redditi già compromessi dall’avversa

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Erano state soprattutto le esigenze belliche del governo spagnolo a indebitare le comunità che avevano dovuto far fronte ad alloggiamenti militari, richieste di forniture, estorsioni et similia, raggiungendo un debito superiore a 1.000.000 di lire per l’amministrazione «in corpo» e a 2 milioni di lire per le comunità che erano vessate a pagare ogni anno interessi per oltre 800 mila lire. Con il nuovo censo teresiano, l’imponibile dell’intera provincia si era ridotto di oltre due terzi e l’estimo comprendeva ora scudi 1278.659 per la città e territorio civile, 556.026 per il contado e 62.326 per la Valle Intelvi. Liquidazione dell’estimo censibile di tutto lo stato di Milano fatta in esecuzione della sentenza della Real Giunta del Censimento del giorno 20 dicembre 1757, ASCo, ASC, Carte Sciolte, cart. 316; ROVELLI, Storia, pp. 138-139. Sull’argomento oltre al testo di riferimento che rimane B. CAIZZI, Il Comasco sotto il dominio austriaco, cit., pp. 61-, 85; e I. PEDERZANI, Como. Il

dipartimento, cit., soprattutto pp. 195 e 205. B.CAIZZI, Il comasco sotto il dominio spagnolo. Saggio di storia

economica e sociale, Como, 1955; Como e la sua storia, cit., p. 159. 13

M. MERIGGI, Amministrazione e classi sociali nel lombardo veneto (1814-1848), Bologna, Il Mulino, 1983, p. 74.

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Il memoriale, concordo con l’attribuzione della Riva, è, per le citazioni che si leggono nella Lettera gioviana, del nonno di Giovio (su di lui il nipote nel suo Testamento olografo del 1792, dirà che il suo avo nacque nel 1660 e morì a Milano «oratore» nel settembre del 1720). Può non essere superfluo riferire che la struttura del testo è analoga a quello scritto successivamente nel 1790 dal Nostro: «prima [...] di inoltrarmi nella materia», si legge ritiene opportuno spiegare con un excursus storico geografico la «situazione». Nella camicia che contiene la relazione di legge: «1714: 31 dicembre. Rappresentanza della Città di Como a S.A.S. eccitata ad esporre le sue particolari sciagure con l’esposizione de motivi principali delle medesime», in ASCo, ASC, Carte Sciolte, 306, f. 9. E. RIVA, Giambattista Giovio, cit., pp. 336-339. BCCo, Ms. 4. 5. 31, c. 3.

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congiuntura

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. La relazione, a stampa, scritta a nome dei decurioni, ruota soprattutto intorno

alle conseguenze della cattiva ripartizione dell’estimo cui ormai da anni era sottoposto il

territorio lariano. Fra le conseguenze più nefande provocate dalla cattiva fiscalità, vi era

l’estinzione «in pochi anni» di famiglie nobili

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e il calo della popolazione, scesa a 8 mila

anime contro le 12.000 di un secolo prima. La desolante situazione, che vede un commercio

ormai «annichilato», scriveva con convinzione Giovio senior, trovava conferma nella

«grande quantità di case» per la maggior parte vuote «moltissime rovinose, e molte rovinate,

anche nella parte più abitata della Città, e i suoi Borghi», ridotte a tal degrado da scoraggiare

i proprietari da ogni sorta di restauro, certi di non trovare nessuno disposto poi a comprarle o

prenderle in affitto

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. Non erano lamentele nuove ma ora risultavano ancor più preoccupanti

perché la regione sembrava aver perso quella «industria dei cittadini» che in passato aveva

potuto ovviare alla sterilità e scarsezza del suolo

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. Una memoria del 1650, che illustra il

benessere di quell’epoca, confermava il declino illustrato. Risultava, infatti, che «dall’anno

1600 al 1620 erano in Como 60, e più lavorerj di lana; si travagliavano da 3 m[ila] balle di

lana di Spagna, oltre la Tedesca in maggiore quantità, e fabbricavansi da 8 m[ila] pezze di

panni all’anno», ne traevano impiego «da dieci in dodeci mille persone, [...] essendovi pure

botteghe fioritissime di varie merci forestiere, sebbene in detto anno 1650 era già cessato

quasi ogni traffico». La visita nel 1700, a distanza di cinquanta anni del marchese Questore

Nicolò Rota aveva invece riconosciuto «non esservi più alcun lavorerio nella Città, e suoi

Borghi, né di lana, né di seta, residuati ancora li molini di seta a tenuissimo numero»

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. In

una tale situazione di mercimonio, che all’inizio del secolo precedente avrebbe potuto essere

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Capra concorda pur stemperando il più fermo giudizio di Caizzi secondo cui proprio i primi tempi della dominazione austriaca segnano il momento più difficile della sua involuzione. CAPRA, Lombardia, p. 13 e CAIZZI, Il Comasco sotto il dominio austriaco, p. 8.

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L’estinzione delle famiglie, non sostituite da nuovi casati, riversa i loro beni, in mancanza di eredi «per lo più in mani morte con pregiudizio non leggiere del Pubblico e del Principe», Ibid., p. 3.

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Il contrappasso alla situazione descritta sarà nella seconda metà del secolo, quando la città e le coste del lago di Como daranno vita ad un’esplosione edilizia che non aveva avuto pari nella sua storia e di cui proprio Giovio sarà uno dei protagonisti indiscussi. Ibid., p. 4.

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Fra il 1700 al 1711 il capitolo delle spese di bilancio raggiunse la media di 484.000 lire annue di fronte alle 251.000 del 1610 quando attività manifatturiera era ben altrimenti fiorente’. Per l’analisi economica di quegli anni il testo di riferimento rimane CAIZZI, Il Comasco, cit., p. 18

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Ibid., p. 5. Scriveva Rota: «le manifatture di lana e seta erano del tutto estinte, diminuito assaissimo il lavoro delle sete ne’ filatoi cos’ che di 40 piante di molini, che eranvene, appena la metà trovavasi in esercizio, e questa per soli sei mesi all’anno; decadute le fabbriche di sapone, e di cera, e quasi cessata l’arte per l’addrietro floridissima di sbiancar le tele, molte delle quali venivano quà dalla Germania, e dalle altre parti straniere a quest’effetto». Il passaggio è riportato da B. CAIZZI, Storia del setificio comasco. La tecnica, cit., p. 30. Si veda anche GIOVIO, Lettera, p. XXI.

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«oggetto d’invidia» per qualunque altra città, non era riuscita a reggere il carico di 2,048. 9. 3

scudi, somma che superava il quarto di tutto l’estimo. Ne seguì l’aumento dei dazi dei generi

«necessarj alle manifatture» e quello dei generi di prima necessità, e soprattutto, fu «gravata»

la proprietà immobiliare come non lo era mai stata, «onde la rovina dell’uno trascinò seco

dolorosamente quella dell’altro, cessando inoltre con numero del popolo anche il consumo

de’ frutti con grave pregiudizio de’ Possessori de’ fondi». Per l’autore, una congiuntura così

sfavorevole aveva provocato la fuga di molta manodopera artigianale «obbligata

all’abbandono della patria dal non poter ivi sussistere», con vantaggio dei «vicini» ossia dello

Stato veneto e della vicina Svizzera, i quali potevano vantare «fondachi, e magazzini d’ogni

genere di mercanzie superiori di gran lunga» a quelli di Como e forse a quelli di Milano; era

inoltre dell’avviso che quei negozianti avrebbero certo trasferito i loro traffici nei domini

asburgici se fossero stati aiutati e garantiti da privilegi ed esenzioni. Nemmeno l’introduzione

della diaria, ad opera di Eugenio di Savoia nel 1707, era riuscita a migliorare la situazione di

grave crisi. Nonostante Giovio senior parlasse di «minorazione benignamente conceduta

dalla diaria», egli reclamava un ulteriore ribasso, necessario per riparare i danni arrecati dalle

inondazioni del Cosia e del lago, così come suggeriva di ridurre la «grandiosa somma de’

debiti contratti» dal nuovo stato che assommava a ben un milione e ottocentomila lire. A

questo proposito di grande sollievo sarebbe stato l’aiuto della città di Milano, che avrebbe

potuto concorrere al pagamento dei carichi in regola colla quota (il che evidentemente non

avveniva) «volendo ogni ragione, che tra egualmente» sudditi, egualmente «si riparta il peso

de’ carichi, e che ogn’uno a proporzione delle proprie forze concorra alle urgenze del

Principato». Per tutto ciò egli caldeggiava il rinnovo dell’estimo ritenuto come «la più giusta

e necessaria providenza, che potesse applicarsi a questo Stato». Si sarebbe dovuto cominciare

alleggerendo il mercimonio e passare poi alla riduzione dei dazi e delle gabelle sui prodotti

manifatturieri e sui generi di prima necessità, in modo da «isperanzire» i mercanti. A questo

proposito la creazione di una Fiera nello Stato, – per la quale si batterà strenuamente anche il

nipote – dopo l’accordo di certi privilegi, avrebbe potuto influire sul rinnovo dell’attività

commerciale e Como avrebbe potuto essere la candidata migliore, la più adatta, poiché qui si

poteva godere «il vantaggio della navigazione sopra il lago» in modo particolare per quelle

merci provenienti dalla Germania

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