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Le imbarcazioni tra il Tardo Bronzo e l’Età del Ferro

6. La navigazione tra il Tardo Bronzo e la prima Età del Ferro Rotte e percorsi commercial

6.5 Le imbarcazioni tra il Tardo Bronzo e l’Età del Ferro

Attualmente, le conoscenze in merito alle imbarcazioni protostoriche sono molto scarse. Le poche nozioni in possesso degli studiosi provengono dal ritrovamento di alcuni relitti, da raffigurazioni spesso schematiche presenti in modellini fittili o metallici o in dipinti e rilievi, e dalle descrizioni dei poemi omerici. L’esame dei suddetti documenti ha permesso di determinare le differenze principali tra le imbarcazioni appartenenti alle diverse popolazioni mediterranee: Ciprioti e Levantini, Egeo-Micenei, popoli italici.

La ricostruzione delle navi levantine e cipriote è stato favorito negli ultimi decenni dal ritrovamento del relitto di Uluburun. Gli scavi hanno permesso di scoprire non solo il ricco carico ma anche la struttura dell’imbarcazione, preservatasi in maniera migliore rispetto al relitto di Capo Gelydonia. Le ipotesi in merito alla datazione e all’origine della nave di Uluburun sono state

ALBANESE PROCELLI R. M., et al., 2006, pp. 94-96. BOUZEK J., 2007, pp. 358-359; CULTRARO M., 2006. BOUZEK J., 1993, p. 144. Ibidem. Ibidem, p. 357. BOUZEK J., 2007, pp. 357-358; HARDING A. F., 2007, p. 50. BOUZEK J., 1993.

molteplici nel corso degli anni, ad oggi si ritiene che fosse di provenienza cipriota o levantina di XIII secolo a.C.47 Tale attribuzione verrebbe confermata dalla struttura stessa della scafo che trova confronti nelle numerosi rappresentazioni di navi levantine e vicino-orientali documentate, in particolare in Egitto.

Nella tomba 162 di Kenamon della necropoli di Tebe, datata alla prima metà del XIV secolo a.C., sono ritratte delle navi siriane durante delle operazioni di scarico in un porto egiziano. Le imbarcazioni presentano la forma tipica dei navigli levantini: scafo arrotondato, bagli di collocamento tra i fianchi, larga vela quadrata, steccato intorno al ponte per permettere il posizionamento delle merci48. Una imbarcazione simile, siriana, ma con il pennone ricurvo, è rappresentata in un altro affresco49.

Nel noto rilievo del tempio di Medinet Habu in cui è rappresentata la battaglia navale tra i Popoli del Mare e gli Egizi, datato al XII secolo a.C., le imbarcazioni levantine sono raffigurate a scafo arrotondato, con la coffa sull’albero, il pennone ricurvo verso il basso, a sostegno della vela a sua volta libera nella parte terminale e con corde per essere regolata, ed entrambe le estremità simmetriche e decorate da una protome ornitomorfa. Tale simmetria costituisce l’elemento di maggiore distinzione dalla flotta egizia e potrebbe essere legata all’esigenza di navigare anche di poppa che sovente si presentava ai Levantini, ad esempio nel dover percorrere tratti fluviali. A tale scopo potrebbero essere state legate le ridotte dimensioni dei remi, evidenti nell’affresco egizio, che avrebbero permesso un facile spostamento del timone da prua a poppa50.

Numerosi sono anche i documenti ciprioti con rappresentazioni di imbarcazioni. Il più antico è un modellino fittile conservato al Louvre, che si data alla fine del XIX secolo a.C.

Altri quattro modellini fittili d’imbarcazioni, datati tra il Tardo Cipriota I e II, sono stati rinvenuti in tre siti ciprioti (Maroni, Kazaphani, Enkomi) e presentano una decorazione in Plain-White Hand-

Made.

La figurina scoperta a Maroni rappresenta un’imbarcazione simile a una canoa, con il fondo quasi piatto che sembra elevarsi verso la estremità che sono, tuttavia, mancanti. Nello scafo sono raffigurati anche un elemento che ne occupa quasi tutta la lunghezza e alcuni fori, dalle varie interpretazioni51. Nel modellino, inoltre, sono presenti una cavità per l’inserimento dell’albero, così come un supporto a poppa per il timone52. Nel medesimo sito cipriota, è stato trovato un modellino d’imbarcazione fittile molto simile, a cui si avvicinano altre figurine scoperte a Kazaphani-Haghios Andronikos, nella tomba 2, e in un contesto ignoto ad Enkomi. Tali modellini riprenderebbero un unico prototipo comune.

Secondo Basch, l’elemento rappresentato lungo tutta la chiglia altro non sarebbe che un insieme di pelli stese, tenute tese attraverso i fori presenti negli scafi, i quali non sarebbero quindi serviti per accogliere i remi, com’era stato invece proposto da alcuni studiosi53.

PULAK C., 2005. AUBET M. A., 2001, p. 173. GIARDINO C., 1995, p. 259. Ibidem, p. 259. SAUVAGE C., 2012, p. 226. Ibidem , p. 227. Ibidem, p. 227.

Per Merillees, tuttavia, tali modellini devono essere interpretati con cautela in quanto non riprodurrebbero fedelmente le imbarcazioni cipriote, bensì la loro immagine mediata dalla fantasia dei ceramisti54.

Un maggiore attendibilità potrebbe essere riscontrata nei graffiti, anche se solitamente venivano realizzati da mani inesperte e spesso sono di difficile interpretazione55.

Un’imbarcazione molto stilizzata è stata rappresentata sulla spalla di una giara in Proto White Slip di XI secolo a.C., in associazione ad alcuni pesci, il che farebbe pensare a un’imbarcazione per la pesca munita di pagaie (tav. XXX, a, p. 196). Altri graffiti si datano tra i secoli XIII e XI a.C. 56, così come un sigillo cilindrico su cui è raffigurata un’imbarcazione rappresentata, come l’ha definita Basch, «in prospettiva ai raggi X» (tav. XXX, b, p. 196)57. Un graffito da Enkomi, invece, datato al Tardo Bronzo III A, ritrae una nave con l’albero e la vela della quale, tuttavia, è difficile distinguere la poppa e la prua58.

La più grande mole di graffiti di imbarcazioni a Cipro è stata rinvenuta nei templi 1 e 4 di Kiton (tav. XXX, c, p. 196). Nel tempio 4 sono rappresentate tre imbarcazioni sui blocchi di un altare, ma solo due sono ben visibili. Le navi raffigurate presentano lo scafo arrotondato con una delle due estremità caratterizzata da una curvatura più accentuata, la cui funzione è ignota. Quest’imbarcazioni potrebbero trovare confronti in quelle raffigurate su un altare di XII secolo a.C. a Tell Akko, mentre Basch ha proposto un parallelo con la protome ornitomorfa delle navi egee59. Nel tempio 1, invece, i graffiti con le imbarcazioni sono presenti nel fregio del muro meridionale realizzato nel 1200 a.C. Le imbarcazioni dei graffiti 2, 16 e 5 sono caratterizzate da un’estremità che richiama le rappresentazioni del tempio 4, probabilmente coeve. Il graffito 16, inoltre, presenta anche un nido di gazza, che era apparso per la prima sulle navi dell’affresco delle tomba di Kenamon e si trova anche su un sigillo del museo di Nicosia. Il graffito 13 si differenzia da tutti gli altri per la forma particolare di una delle estremità. Secondo alcune interpretazioni, la prua rappresenterebbe un ariete. Tuttavia, dato che la prima attestazione di un ornamento di prora simile risalgono al VI secolo a.C., sembra più probabile che si tratti di un’immagine creata da una particolare curvatura della linea. L’imbarcazione del graffito 13, quindi, potrebbe risalire alla fine del Bronzo Recente e presentare sull’estremità sinistra uno stolos60. La presenza di questa imbarcazione, con lo scafo più allungato e rettilineo rispetto alle altre, attestata, tuttavia, che anche Cipro coesistevano le navi da guerra e le imbarcazioni commerciali61.

A Cipro, l’immagine di un’imbarcazione fornita di ponte è attestata su un cratere levanto-miceneo rinvenuto a Enkomi e datato al Tardo Elladico IIIB. Si tratta della doppia raffigurazione di un’imbarcazione rappresentata come se fosse in sezione, attraversata nel senso della lunghezza dal ponte al di sotto del quale sono raffigurati quattro uomini attorno all’albero, al di sopra due uomini armati, e con la prua ornata da un uccello62. L’imbarcazione del cratere cipriota presenta tutte le

SAUVAGE C., 2012, p. 227. Ibidem, p. 227. Ibidem, p. 227. Ibidem, p. 228. Ibidem, p. 227. Ibidem, pp. 229-230. Ibidem, pp. 230-231. Ibidem, p. 231. WEDDE M., 2000, pp. 124-125.

caratteristiche proprie di epoca protostorica, attestate in seguito per le rappresentazioni di epoca storica: scafo alto e arrotondato, ponte, vela quadrata e centrale63.

Le imbarcazioni di produzione vicino-orientale che furono maggiormente attive nei traffici trasmarini del I millennio a.C. sono di sicuro le navi fenice, suddivise da Aubet in tre tipologie principali64.

Sulle porte bronzee di Balawat, risalenti al Salmanassar II, sono riprodotte navi fenice per il trasporto locale, prive di vele e di ponte, con entrambe le estremità alzate e ornate da protomi animali, molto simili ad altre presenti, anche se con albero, coffa e protome zoomorfa soltanto a prua, nel rilievo del palazzo di Sargon II a Khorsabad65.

Unitamente ad esse, ma per il commercio su larga scala nel Mediterraneo, i fenici utilizzavano delle imbarcazioni molto ampie, con lo scafo arrotondato e un’ampia vela quadrata, definite naves

rotundae dai Romani e gaulos dai Greci. Le navi mercantili fenice per la navigazione mediterranea

potevano raggiungere un elevato tonnellaggio, tale da rendere attuabili lunghi viaggi66.

La prua e la poppa erano anche molto alte, come nel rilievo del palazzo di Ninive, su cui è rappresentato il viaggio del re Luli di Tiro a Cipro, databile alla fine dell’VIII secolo a.C.67. Nella stessa immagine, sono presenti navi da guerra, nettamente differenti dalle altre.

Infatti, le navi fenice utilizzate in contesti bellicosi presentavano solitamente una forma più allungata e agile, tale da far sì che venissero definite dai Romani naves longae68.

Molto diverse dai modelli ciprioti e levantini erano, invece, le navi egee, la cui caratteristica principale risiedeva nella prua sopraelevata, sovente evidenziata da un elemento distintivo69, che dava all’imbarcazione un profilo dritto e facilmente distinguibile a distanza, ben diverso da quello arrotondato, anticipando il rostro70.

Tra le più note rappresentazioni di navi elladiche del Tardo Bronzo si possono annoverare i rinomati affreschi di Akrotiri, nei quali si notano ai imbarcazioni da guerra che cerimoniali71.

Per la conoscenza delle navi elladiche, si sono rivelati di grande importanza le raffigurazioni, purtroppo molto schematiche, presenti su un pitharaki e una coppa micenei rinvenuti in contesti di Tardo Minoico III a Festos. In entrambi i casi, le imbarcazioni presentano un profilo angolato, con la poppa e la prua che sembrano quasi perpendicolari alla chiglia, praticamente piatta; la coffa, invece, è assente. La mancanza della coffa sulla sommità dell’albero, a differenza delle navi levantine, doveva essere una caratteristica peculiare dei navigli micenei, dato che questo elemento non è mai menzionato da Omero e non è presente in nessuna rappresentazione.

Sul pitharaki di Festos sono raffigurate due imbarcazioni, della quali una fornita sia di albero che di remi, l’altra più massiccia con un solo albero. È stato ipotizzato che la prima imbarcazione, più

GIARDINO C., 1995, p. 261; WEDDE M., 2000, p. 111. AUBET M. A., 2001, p. 173.

AUBET M. A., 2001, pp. 173-174; GIARDINO C., 1995, p. 261. AUBET M. A., 2001, pp. 174-175. Ibidem, p. 174. Ibidem, pp. 175-178. WEDDE M., 2000, pp. 123-125, 144-152. Ibidem, pp. 93-110, 152-153. Ibidem, p. 120.

veloce, fosse destinata ad attività di pirateria, mentre la seconda una nave commerciale. D’altronde, la pirateria era ampiamente diffusa nel Tardo Bronzo72.

Le navi raffigurate sui due recipienti micenei di Festos, dallo scafo spigoloso ma simmetrico, potrebbero adattarsi pienamente all’aggettivo utilizzato nell’Iliade per descrivere le navi achee, ovvero “cornute” (Iliade, XVIII:3, XIX:344). Tale forma si riscontra anche in modelli miniaturistici, tra cui quello in piombo rinvenuto a nuraghe Antigori (Sarroch, CA)73.

Dalla lettura dei poemi omerici, si apprende che le navi achee erano anche “concave”, poiché prive di coperture, e presentavano due piccoli ponti, uno a prua e uno a poppa, utili anche a stivare le merci (Odissea, II: 416-418; XII: 229-230; XIII: 73-75; XV: 285-286). Inoltre, sempre da Omero, si viene a conoscenza del fatto che i rematori potevano essere da 20 a 50 su ogni nave (Iliade, XVI: 168) e, quindi, tenendo conto dello spazio necessario per ognuno di essi, le dimensioni delle imbarcazioni avrebbero potuto andare dai 12 ai 27 m circa74.

La vela micenea era quadrata75, legata al pennone e issata sull’albero, posto al centro dell’imbarcazione. L’albero non era fisso e veniva issato con l’aiuto degli stragli tramite una manovra che Omero descrive nell’Odissea (Odissea, II: 424-426; XV: 289-291).

Le più antiche rappresentazioni di vele provenienti dall’Egeo sono state rinvenute a Creta e si datano al Tardo Minoico III76. Una raffigurazione dettagliata di una velatura micenea è fornita dalla decorazione presente su un’anforetta a staffa di Tardo Elladico IIIC rinvenuta ad Asine, su cui si nota come la vela fosse formata da numerosi quadrati di stoffa cuciti tra di loro77. Tuttavia, per via dei materiali deperibili di cui erano costituite, nessuna vela del Tardo Bronzo è stata documentata archeologicamente e, quindi, qualsiasi ricostruzione se ne possa proporre oggi può essere soltanto ipotetica78.

La presenza di corde e tiranti permetteva di accorciare la vela e, all’occorrenza, si poteva anche ammainare l’albero. D’altronde, la vela quadrata rendeva possibile una navigazione ottimale soltanto con il vento a poppa a una moderata intensità e l’assenza di ponte, in caso di condizioni metereologiche sfavorevoli, agevolava l’imbarco dell’acqua79.

Inoltre, fatta eccezione per alcune rarissime raffigurazioni di imbarcazioni in contesti rituali, come nel caso degli affreschi di Akrotiri, le navi elladiche non presentavano alcuna copertura80.

Le imbarcazioni micenee erano governate da un unico timone posto, come documentato da Omero e da alcune rappresentazioni, tra cui una pisside rinvenuta nella tomba a tholos di Tragana, presso Pilo, in un contesto di Tardo Elladico IIIC. Oltre a mostrare le caratteristiche del timone, la raffigurazione di Tragana, più dettagliata di molte altre, presenta ben definiti sia il cassero sia il castelletto di prua, e nell’immagine si nota una differenza netta tra la poppa più arrotondata e la prua, che sembrerebbe quasi munita di uno sperone81.

GIARDINO C., 1995, p. 261. Ibidem, p. 261. Ibidem, p. 263. WEDDE M., 2000, pp. 76-80. Ibidem, p. 80. GIARDINO C., 1995 , p. 263. WEDDE M., 2000, pp. 90-92. GIARDINO C., 1995, p. 263. WEDDE M., 2000, pp. 130-132. Ibidem, pp. 124-125.

La differenziazione tra le due estremità dell’imbarcazione è evidente anche in altre raffigurazioni della fine dell’Età del Bronzo e della prima Età del Ferro, in modellini e su recipienti, e può essere interpretata come una anticipazione del rostro che caratterizzò le navi del periodo geometrico82. Le imbarcazioni levantine, cipriote ed egee non erano le uniche attive nel Mediterraneo tra il Tardo Bronzo e la prima Età del Ferro. Un ruolo importante fu svolto dai navigatori nuragici, la cui imbarcazioni ci sono note grazie ai numerosi modellini rinvenuti sia in Sardegna che fuori dell’isola, principalmente in Etruria83. La datazione di tali manufatti è dubbia, in quanto le prime attestazioni risalgono al Tardo Bronzo, ma le imbarcazioni nuragiche continuarono ad essere prodotte ed esportate nell’Età del Ferro. I modellini raffigurano navi di diverso tipo, con scafo piatto, più antico, e a sezione rotonda, più recente.

Tra i modellini fittili più noti vi sono la navicella detta del “Re Sole”, conservata al Museo “Sanna” di Sassari (tav. XXXI, a, p. 197), e la figurina rinvenuta a Orrroli (NU). Generalmente, le navicelle nuragiche rappresentano imbarcazioni prive di ponte, con lo scafo allungato e sezione ad U, ruote di poppa e ruota di prua di medesima altezza, ma quest’ultima con protome. L’albero è posto al centro e presenta una coffa, sormontata da un appiccagnolo a cui si aggancia una figurina a uccello. Sulla parte mediana delle murate vi è un parapetto a intreccio sostenuto al lato da pali capitellati84.

Un importante particolare costruttivo, invece, si può rilevare dall’esame di altre figurine di imbarcazioni bronzee, tra le quali una della collezione Dessì, ora al Museo “Sanna “ di Sassari, una da Tula (SS) e una dalla Tomba del Duce di Vetulonia (Castiglione della Pescaia, GR). In questi manufatti, infatti, la protome animale non è raffigurata come un prolungamento della prua, bensì come un’aggiunta, unita tramite cordami. L’utilizzo di legature per tenere insieme le differenti parti dello scafo è evidente ancor di più dall’esame del bronzetto di Vetulonia ed è possibile supporre che le navi nuragiche fossero giuntate proprio mediante legature di corda, rinforzate da legature esterne85.

Più esigue numericamente sono le rappresentazioni, principalmente figurine fittili, di imbarcazioni rinvenute in contesti dell’Etruria villanoviana. Anche in questo contesto, vi erano almeno due tipologie di navi, a fondo piatto e con scafo arrotondato. Molte figurine si presentano simili a canoe, con lo scafo affusolato, particolarmente adatto alla navigazione fluviale. Inoltre, in alcuni casi la prua è distinta per via della presenza di una protome animale che solo in un esemplare è attestata a poppa. Probabilmente, anche nell’Etruria villanoviana le navi venivano realizzate con la tecnica della cucitura.

Un esempio di imbarcazione etrusca è dipinto sull’olla della tomba XXIV della necropoli dell’Olmo Bello di Bisenzio (VT), databile alla fine dell’VIII secolo a.C., ha scafo tondeggiante e la poppa bassa, ed è spinta soltanto da remi86.

In ultimo, per quanto concerne le imbarcazioni in uso dalle popolazioni dell’Italia protostorica, è possibile considerare anche le raffigurazioni presenti su due frammenti ceramici rinvenuti a Monte Grande (Palma di Montechiaro, AG), in Sicilia. La nave rappresentata sul frammento di ceramica

GIARDINO C., 1995, p. 263; WEDDE M., 2000, p. 112. LO SCHIAVO F., 2000.

GIARDINO C., 1995, p. 264.

Ibidem, p. 264. Ibidem, p. 264.

grezza proveniente da Cipro ha la chiglia quasi rettilinea, con la prua e la poppa di altezza simile, e nel mezzo l’albero sostenuto da due stragli (tav. V, b, p. 171). Sul frammento egeo MG SF 98/20 (tav. V, a, p. 171), invece, è raffigurata un’imbarcazione che trova confronti con la precedente, a sua volta accostabile a esempi di navi cretesi del periodo protopalaziale e neopalaziale87.

7. Conclusioni

La presentazione della documentazione, per quanto in alcuni tratti pedante ed enumerativa, ha costituito un importante strumento per delineare un quadro completo e il più possibile esaustivo dei contatti tra Cipro e l’Italia tra Tardo Bronzo e la prima Età del Ferro. Infatti, nonostante si tratti di materiali già editi e presi in esame in altri lavori, l’inserimento di questi in una trattazione unitaria ha premesso di comprendere pienamente la rilevanza delle singole categorie di reperti nella determinazione dell’evoluzione dei rapporti tra le due aree geografiche.

D’altronde, i documenti analizzati sono molto vari tra di loro, poiché sono stati considerati non soltanto i manufatti e le materie prime originari dell’isola vicino-orientale, ma anche ogni reperto archeologico che potesse ragionevolmente esse connesso al commercio operato dai Ciprioti.

Pertanto, sono stati esaminati i frammenti appartenenti alle classi ceramiche prodotte in maggiore quantità dal Tardo Cipriota e presenti nel territorio italiano, tra cui la Base Ring, la White Slip e la

Pithos ware

1

. Inoltre, sono stati presi in considerazione i documenti dei traffici ciprioti in metallo, tra cui i lingotti di rame oxhide e diverse forme di vasellame2.

In aggiunta, l’attenzione si è soffermata su altre materie prime commerciate dai Ciprioti, non provenienti dalla loro madrepatria, ma delle regioni limitrofe, dato che è ormai chiaro che l’isola svolgesse un ruolo ridistributivo nei confronti di alcuni prodotti del Vicino e Medio Oriente, dell’Africa e dell’Egeo. Infatti, attraverso l’attività dei Ciprioti, a partire soprattutto dal XIV secolo a.C., giunsero nel Mediterraneo centro-occidentale grandi quantità di avorio3 e di faience, sia sotto forma di manufatti finiti che di materie prime, insieme a metalli preziosi, stagno, pietre dure, nonché prodotti deperibili, la cui esistenza non può quasi mai essere provata archeologicamente. Dubbia è, invece, la partecipazione dei Ciprioti al commercio dell’ambra baltica4.

Un ruolo importante nel commercio cipriota del Tardo Bronzo fu rivestito dalla ceramica micenea, ridistribuita dai mercanti ciprioti in tutto il Mediterraneo. In alcuni casi, l’esame dei frammenti micenei rinvenuti in Italia ha rivelato un collegamento con l’isola vicino-orientale. Il quadro fornito dalla presentazione della documentazione archeologica nota in questo lavoro ha evidenziato la disparità nella distribuzione della stessa nel territorio italiano, sia geograficamente che diacronicamente. La trattazione dell’argomento con la suddivisione in macroaree ha facilitato la comprensione dell’evoluzione dei rapporti tra Cipro e le singole zone d’Italia, consentendo al contempo un confronto tra di esse.

Inizialmente, spinti forse da un insieme di curiosità e necessità materiali, i navigatori ciprioti raggiunsero le coste meridionali siciliane, seguendo probabilmente rotte già percorse da predecessori egei. La ricerca archeologica ha dimostrato che i contatti più antichi non furono regolari e riguardarono esclusivamente la Sicilia. Probabilmente ciò fu dovuto a un insieme di fattori, tra cui la reperibilità in loco di materie prime, soprattutto lo zolfo, a cui i Ciprioti erano interessati, e la facilità di raggiungere l’isola. A metà del II millennio a.C., i rapporti con l’isola italiana divennero sistematici, come testimoniato da numerosi reperti ciprioti rinvenuti, e la Sicilia diventò il principale approdo commerciale di Cipro nel Mediterraneo occidentale.

GRAZIADIO G., 1998a, pp. 74-78, 117.

Ibidem, pp. 190-195.

KRZYSKOWSKA O. H., 1988.

In particolare, nei secoli XIV e XIII a.C., i Ciprioti rivolsero le loro attenzioni verso due siti costieri, Thapsos (Priolo Gargallo, SR) e Cannatello (Agrigento), definiti da molti studiosi come dei veri ports of trade. In entrambi gli insediamenti sono stati rinvenuti numerosi reperti di origine cipriota. L’esame dell’intera cultura materiale dei due siti siciliani ha permesso di evidenziare anche alcuni aspetti che potrebbero indicare la presenza di piccoli gruppi stanziali di origine cipriota, legati anche all’introduzione di nuove tecniche artigianali, soprattutto nell’ambito metallurgico.

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