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Immigrazione e mgf: politiche di controllo e forme di resistenza

L’immigrazione è da sempre il bersaglio principale delle politiche di controllo sociale della popolazione che ambiscono a uniformare le società e le comunità secondo gli

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European Insitute for Gender Equality, 2013, p. 15. Il rapporto evidenzia comunque come alcuni Paesi, tra cui l’Italia, stiano cercando di raccogliere sistematicamente dati di questo tipo.

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standard della maggioranza. Gli stranieri sono sempre stati oggetto privilegiato delle tecniche di controllo e di governo messe in atto dagli Stati europei fin dal momento della loro formazione.

Il controllo e la garanzia di sicurezza che lo stato offre ai suoi cittadini si basano anche sul controllo della crescita demografica, della composizione sociale e della distribuzione spaziale della popolazione per cui chi non è desiderabile all’interno della propria popolazione viene emarginato anche fisicamente, in modo da essere più facilmente controllabile. Questo giustifica la diversità di trattamento verso i soggetti "colpevoli", la qual cosa raccoglie sicuramente un ampio consenso popolare, ma cela, nemmeno troppo velatamente, un preoccupante razzismo istituzionale. Le democrazie europee, e occidentali in genere, hanno costruito un doppio regime di diritto: uno per gli stranieri e uno per i propri cittadini, ma i confini di queste categorie appaiono estremamente labili ed è facile scivolare da una condizione in cui formalmente si è portatori di diritto, a una in cui, di fatto, si è in un limbo di mancanza di garanzie giuridiche, in quella condizione che Alessandro Dal Lago ha chiamato di “non persone”76.

Lo stesso concetto di cittadinanza in Europa si è definito sulla base di confini ed esclusioni attraverso un lavoro continuo di definizione e ridefinizione e oggi, alla retorica del multiculturalismo e dell’Europa “aperta”, si oppone la continua costruzione di nuovi confini che prevedono nuove forme di esclusione.

Molti interpreti delle teorie sulla cittadinanza77 hanno evidenziato lo scarto che esiste tra l’universalismo della cittadinanza e il particolarismo dello status giuridico, cioè la differenza tra il contenuto reale della cittadinanza, che attribuisce solo ad alcuni soggetti l’uguaglianza e la libertà della condizione di cittadino, e la condizione materiale, reale, dei cittadini stessi.

Dice Mezzadra: “l’accesso alla cittadinanza formale è reso ben presto privo di ricadute sul piano dell’effettivo godimento dei diritti da persistenti forme di discriminazione sociale e amministrativa”78. Tutti coloro che non possono essere assimilati, che non si possono ricondurre semplicemente alla massa degli altri cittadini o che, strumentalizzando ed enfatizzando le differenze esistenti, non si vuole ricondurre a

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Dal Lago, 2004, p. 205 e seg.

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Tra cui Sandro Mezzadra (Mezzadra, Cittadinanza. Soggetti, ordine, diritto, 2004)

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questa, possono rientrare in una categoria che si potrebbe definire di “indesiderabili” che è ovviamente molto vasta e variabile e si può fondare su ragioni etniche, religiose, culturali, nazionali, ideologiche, ecc.”

I provvedimenti legislativi e le campagne elettorali in tutta Europa hanno puntato sempre di più sull’emergenza sicurezza esplicitando il target delle politiche di controllo che ha portato alla creazione di un clima sempre meno tollerante verso gli immigrati in cui alle retoriche multiculturaliste, sempre di moda, si oppongono politiche discriminatorie che trattano l’immigrazione come problema e/o emergenza, legittimando diverse forme di razzismo istituzionale.

Quella che Alessandro Dal Lago79 ha chiamato “tautologia della paura” può essere vista come un meccanismo di funzionamento dei processi di policy: secondo Dal Lago, il fatto che un cittadino protesti definendosi vittima dell’immigrazione, fa sì che le reazioni soggettive si traducano inevitabilmente in risorsa politica, alimentando a loro volta le retoriche dei gruppi politici. La risorsa politica poi, per essere utilizzata, non deve necessariamente corrispondere a un sentimento generale, ma è essenziale che sia evocata dall’informazione: bastano le notizie delle proteste dei cittadini a rendere reale una situazione e a far sì che su un tale circuito si possano innestare gli imprenditori politico-morali. La risorsa locale diventa allora risorsa primaria nell’agenda politica e l’emergenza sicurezza, un’indiscutibile verità, capace di promuovere dibattiti politici nazionali fino ad arrivare a produrre interventi governativi e provvedimenti di legge.

I flussi migratori mettono al centro del dibattito la questione del rapporto con l’altro, lo straniero, portatore di nuovi codici di significato, di nuove culture e pratiche con cui confrontarsi e su questo meccanismo si sono facilmente innestati i processi che hanno portato alla definizione delle leggi ad hoc contro le pratiche di modificazione dei genitali femminili, perché le istanze delle attiviste anti mgf nei Paesi occidentali hanno trovato un substrato fertile alimentato dalle retoriche anti immigrazione. Tutto questo ha contribuito a forgiare un’immagine unidirezionale delle donne immigrate come vittime da salvare e ha fatto si che, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, come ha sottolineato Richard Shweder80, l’opposizione manifesta alle pratiche di modificazione dei genitali

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Dal Lago, 2004, p. 71 e seg

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femminili diventasse talmente “politically correct” da non poter ammettere critiche o obiezioni al mainstream che non fossero identificate come giustificazione delle pratiche. Per le implicazioni emotive e psicologiche che comporta, il dibattito sulle pratiche di modificazione dei genitali femminili ha assunto toni estremamente accesi in quasi tutti i Paesi occidentali, bloccando, di fatto, la strada a qualunque proposta che non andasse nella direzione di costruire dei provvedimenti ad hoc per condannare, anche moralmente, le pratiche in questione.

La crisi del moderno concetto di cittadinanza che è insieme includente ed esclusiva, trova espressione tangibile nelle forme di resistenza degli immigrati che talvolta si esprimono nella difesa del diritto a tutelare ed esprimere la propria cultura e le proprie tradizioni81: le pratiche di modificazione dei genitali femminili diventano così il segno simbolico di un confine che esiste tra un“noi” e un“loro” e che rende difficile e complesso il processo di integrazione.

Poiché le politiche di accoglienza influenzano le reazioni di adattamento, esiste una responsabilità della politica nello sviluppo dei processi di convivenza, che non possono essere abbandonati a se stessi, ma devono essere monitorati e orientati nella direzione della costruzione di nuovi equilibri tra le parti. Esiste una relazione tra la persistenza della pratica e i processi di inclusione/esclusione perché le relazioni interculturali modificano le culture che non sono oggetti statici e reificati, ma in continua trasformazione.82

Ci si è mossi su un terreno estremamente delicato perché nella migrazione, le pratiche culturali, quelle che segnano le appartenenze, tra cui le pratiche di modificazione dei genitali femminili, si caricano di nuovi aspetti di cui è necessario tenere conto: se infatti l’identità culturale viene messa a dura prova in contesto migratorio, il fatto di non avere sostegno dal nucleo familiare o dal gruppo di appartenenza mette queste persone in una condizione di ambivalenza tra il desiderio di cambiamento e il desiderio di continuità con la tradizione culturale d’origine. Le donne immigrate devono spesso confrontarsi con i

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Pietro Basso evidenzia come quasi mai si prenda in considerazione “il carattere difensivo di queste rivendicazioni, il fatto che esse servano, per molti immigrati, a preservare uno spazio di socialità nelle forme possibili e così a limitare gli effetti dell’isolamento e della discriminazione che per gli immigrati sono il pane quotidiano, più di quanto non esprimano un attaccamento alle tradizioni fine a se stesso”. P Basso in (Basso & Perocco, 2003, p. 112)

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valori del Paese ospitante e con quelli del Paese d’origine e questo confronto non può non essere doloroso, anche perché il cambiamento può essere sentito come un tradimento verso la propria famiglia d’origine e i canoni socio-culturali e morali del Paese da cui si proviene. I segni sul corpo, lo ho già ricordato in più occasioni, marcano delle appartenenze che sono messe a rischio dall’emigrazione e che spesso sono sentite come problematiche.

Come ricorda Carla Pasquinelli: “La prima generazione di migranti è una generazione di mezzo, esposta a tutti gli umori, gli entusiasmi, le paure e i ricatti che nascono dalla tensione di vivere tra due mondi così distanti[…]83”. La condizione immigrata, il legame con la comunità di partenza e quella di accoglienza, rendono la decisione di abbandonare le pratiche di modificazione dei genitali femminili ancora più problematiche e, continua Pasquinelli, “non sempre il cambiamento va nella direzione che ci saremmo aspettate, molto spesso sortisce esiti opposti, nel senso che l’incontro con una realtà diversa, invece di stimolare un processo di trasformazione può provocare una chiusura all’interno della propria cultura, che viene vissuta come un rifugio per sottrarsi alla contaminazione e al contatto con valori e modelli estranei e come tali pericolosi”84.

Diversi anni fa, scatenando prevedibili, fortissime, polemiche, l’etnopsichiatra francese Tobie Nathan aveva detto in un’intervista che “molte ragazze africane che vivono in Francia e che non sono state escisse, presenterebbero gravi disturbi. Ora, solo il rituale di escissione permette di curarle, di ricostruirle […]. L’escissione non è che una conseguenza di una teoria più vasta, comune a tutta l’Africa, che riguarda la fabbricazione degli esseri umani […]. Gli etnopsichiatri sanno molto bene che una giovane donna escissa non vive queste traversie. L’escissione è un meccanismo di prevenzione mentale, un beneficio sociale straordinario che la società francese dovrà d’urgenza riconsiderare”85

Pur volendo minimizzare l’affermazione di Nathan e volendo leggere la questione delle modificazioni dei genitali femminili come mero problema di integrazione, tralasciando gli aspetti psicologici che pure vi sono implicati, bisogna riconoscere che la questione delle mgf ha assunto l’aspetto di un conflitto tra diritto e diritti e che ormai “costituisce un nodo difficile da sciogliere soprattutto in relazione all’altra questione, altrettanto

83 Pasquinelli, 2007, p. 129 84 Pasquinelli, 2000, p. 106 85 In Fusaschi, 2003, p. 129-130

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complessa, e cioè quella della società pluri/multiculturale, della sua costruzione, del suo divenire e della sua “gestione”.86

La sfida vera e propria per i Paesi di accoglienza, aggiungerei, è poi quella che si gioca con le seconde generazioni, in bilico tra l’accettazione dei valori familiari e quelli della società in cui si nasce.