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Ricercatrice di Diritto del lavoro nell’Università di Udine

1. Il lavoro accessorio dalla l. Biagi al mercato del lavoro ante Jobs Act. Il decennio legislativo 2003-2013 – 2. Il periodo 2002-2014 nei dati Istat e Inps sul mercato del lavoro: lavoro illegale, nero e grigio – 3. Le prestazioni di lavoro accessorio dopo il D.lgs. n. 81/2015 – 4. Che cosa manca? Le preoccupanti omissioni del legislatore e le loro conseguenze – 5. “Grey submarine”? L’approdo per l’emersione del lavoro sommerso

1. Il lavoro accessorio dalla l. Biagi al mercato del lavoro ante Jobs Act. Il decennio legislativo 2003-2013

Previsto sulla carta sin dalla riforma Biagi del 2003, ma operativo (in via speri-mentale, in alcune Province) soltanto dal 2008, il lavoro (non più occasionale) ac-cessorio ha conosciuto una diffusione ed un utilizzo sempre crescenti nel tempo e divenuti oggi massicci.

I dati statistici mostrano, infatti, l’incremento costante dell’accesso ai buoni lavoro, favorito da previsioni normative sempre più benevole nei confronti di questo istituto. È ragionevole pensare che, a seguito del giro di vite su lavoro au-tonomo, all’applicazione delle regole del lavoro subordinato alle collaborazioni organizzate dal committente e all’eliminazione di lavoro a progetto ed associa-zione in partecipaassocia-zione, operate con il Jobs Act, sarà probabilmente il lavoro

ac-cessorio la valvola di sfogo per le esigenze di flessibilità, vieppiù a costi ridotti, delle imprese e dei datori di lavoro in generale.

Nell’ambito delle politiche “per l’inclusione”, i voucher per compensare le pre-stazioni di lavoro accessorio sono state identificate già dal legislatore del 2003 con lo strumento “per eccellenza” idoneo all’emersione del lavoro sommerso, e ciò per le caratteristiche di estrema facilità d’uso, bassissimi costi organizzativi ed operativi, immediatezza e, non ultimo, sostanziale barriera rispetto alle inda-gini ispettive.

La verifica sulla reale capacità di questo strumento di combattere il lavoro illegale prende le mosse dalla riflessione sui mutamenti normativi che hanno coinvolto l’istituto oggetto di indagine, si interseca con una lettura dei dati (Istat e Inps) relativi al periodo 2002 – 2014, per giungere ad una riflessione rispetto all’attuale configurazione delle prestazioni di lavoro accessorio.

Ripercorrendone rapidamente la genesi, vale la pena di ricordare come que-sta forma di lavoro nasce occasionale ed accessoria con l’art. 70 e ss. del d.lgs. n. 276/2003. In stallo per il quinquennio 2003-2008, se ne tenta (con successo) il lan-cio in agricoltura e poi l’estensione ai lavori “marginali” ad alto rischio di illegalità.

Definite le «prestazioni di lavoro accessorio» come «attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscir-ne» (art. 70, c.1 versione originale), il legislatore si premurò di limitarne il campo di applicazione ai «piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa la assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con handi-cap; insegnamento privato supplementare; piccoli lavori di giardinaggio, nonché di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti; realizzazione di manifesta-zioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli; collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, come quelli dovuti a calamità naturali o eventi naturali improvvisi, o di solidarietà» svolti da «disoccupati da oltre un anno; casalinghe, studenti e pensionati; disabi-li e soggetti in comunità di recupero; lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro».

A tali (stretti) requisiti oggettivi e soggettivi, il legislatore cumulò una ulte-riore doppia barriera, consentendo tali «rapporti di natura meramente occasio-nale e accessoria» per «una durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare» per compensi complessivi a favore del prestatore «non superiori a 3000 euro».

Il legislatore della l. Biagi sancì dunque una linea di separazione tra il lavo-ro occasionale accessorio sin qui descritto e il lavolavo-ro occasionale “e basta”, che trovava la sua definizione nell’articolo 61, c. 2, d.lgs. n. 276/2003 «intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessiva-mente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro». In tale secondo caso si trattava di prestazioni lavorative di natura autonoma, realizzate

a favore di un soggetto senza il vincolo della subordinazione e con il carattere dell’occasionalità, come lavoro autonomo senza progetto (disciplinato nel mede-simo art. 61) ma comunque legittime (1).

Ma già solo un anno dopo la soglia economica per il lavoro occasionale ed accessorio fu elevata a 5mila euro, intesi come netto percepito dal lavoratore (art. 16, d.lgs. 251/2004). Ulteriormente, nel 2005 venne eliminato il limite tempora-le dei 30 giorni lavorativi annuali (d.l. 14 marzo 2005, n. 35 conv. con mod. dalla l. 80/2005) e ampliato l’elenco delle attività per cui si poteva ricorrere ai voucher, aggiungendo il lavoro prestato nell’impresa familiare di cui all’articolo 230 bis c.c. «limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi per un importo complessi-vo non superiore a 10mila euro nell’anno fiscale e per le vendemmie di breve du-rata e a carattere saltuario, effettuata da studenti e pensionati» (d.l. 30 settembre 2005 n. 203, conv. con mod. in legge n. 248/2005),

Si rammenti però che la prima operatività “reale” dell’istituto (come intro-dotta in via sperimentale dal DM 12 marzo 2008) fu limitata a coinvolgimento di soggetti outsider del mercato del lavoro (studenti e pensionati), per realizzare l’at-tività “in nero” per eccellenza ma limitatissima nel tempo e, cioè, la vendemmia. Ma, non appena furono approntati tutti i mezzi tecnici per l’operatività dell’i-stituto (realizzando il mercato del lavoro telematico con il coinvolgimento delle sedi territoriali INPS, delle Poste e della rete dei tabaccai), i requisiti oggettivi e soggettivi vennero dapprima modificati in senso sempre meno restrittivo (2) e poi definitivamente abrogati dall’articolo 1, comma 32, lettera a), della l. 28 giu-gno 2012, n. 92, c.d. Riforma Fornero.

Sicché le tipologie di lavoro occasionale “puro” e di occasionale accessorio si trovarono a convivere nell’ordinamento, pur se soggetti (apparentemente) a re-gimi diversi: il primo, rapporto di lavoro autonomo, ma sempre esposto al “pe-ricolo” di riqualificazione in lavoro “senza progetto” e, quindi, in lavoro subordi-nato; il secondo, nel limbo creato dal legislatore tra autonomia e subordinazione, retribuito con buoni lavoro di importo fisso comprendenti la regolarizzazione ai fini Inps e Inail e pressoché esente da controlli, facilissimo da usare e poco costo-so rispetto alle tabelle salariali dei ccnl. La (ovvia) predilezione per i voucher ne determinò il successo, rafforzato dalla liberalizzazione ‘spinta’ post Fornero, che fece scomparire il requisito della occasionalità delle prestazioni di lavoro acces-sorio (art. 7, comma 2, lett. e, d.l. n. 76/2013, convertito in l. n. 99/2013).

1 Per il rapporto con il lavoro a progetto si v. N. De Marinis, Il lavoro occasionale ed il lavoro

accessorio nel d.lgs. n.. 276/2003. Il diritto del lavoro oltre il mercato, DL, 2003, 170.

2 La successione di interventi normativi è impressionante e si snoda dall’art. 22, c. 1, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni in l. 6 agosto 2008, n. 133, per poi proseguire con l’art. 7ter, c. 12, del d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni in l. 9 aprile 2009, n. 33; art. 2, c. 148, della l. 23 dicembre 2009, n. 191, l’art. 1, c. 1, del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con modificazioni in l. 26 febbraio 2011, n. 11; l’art. 1 del d.p.c.m. 25 marzo 2011.

2. Il periodo 2002-2014 nei dati Istat e Inps sul mercato del lavoro: lavoro illegale, nero e grigio

Indagando il tema del lavoro illegale (3) e, in particolare, dell’occupazione irrego-lare (4) debbono essere analizzati i dati Inps e Istat riferiti alle ispezioni. Si trat-ta di una fotografia delle irregolarità riscontrate, su cui soltrat-tanto dal 2008 incide l’introduzione (sperimentale e, dal 2009, definitiva) dei voucher. Debbono quindi essere incrociati i dati relativi ai committenti, che comperano i buoni lavoro, ed i lavoratori, che poi li riscuotono. A latere datoris, i voucher venduti indicano la ti-pologia di committente e la diffusione sul territorio; relativamente al prestatore consentono di individuarne età e genere e, attraverso il codice fiscale, anche il riparto tra italiani e stranieri.

Nel biennio 2002-2003 (ante riforma Biagi) vi furono quasi 150.000 accerta-menti ispettivi Inps all’anno (poco più di 148.000 nel 2002 (5) e poco meno di 147.000 nel 2003): il dato relativo all’irregolarità peggiorò notevolmente da un anno all’altro (dal 53% al 61%), con un preoccupante incremento del lavoro auto-nomo irregolare ed un “nero” stabile e profondissimo nel settore agricolo (per il

3 A seguito della omologazione degli standard nazionali, i dati europei possono essere confrontati attraverso il SEC95, Sistema Europeo di Contabilità Nazionale approvato con il re-golamento del Consiglio Europeo del 25 giugno 1996 n. 2223. Secondo l’utile schematizzazione di G. Di Corrado, Lavoro nero e maxisanzione nel Collegato Lavoro, DML, n. 1-2, 2001, p. 205, l’eco-nomia “non osservata” può essere suddivisa 1. ecol’eco-nomia illegale (o criminale), che comprende tutte le attività di produzione, vendita, distribuzione o possesso di beni e servizi proibiti dalla legge, ovvero attività, pur legali, svolte da operatori non autorizzati; 2. economia informale, che riguarda tutte le attività produttive (retribuite e non) svolte in omaggio a vincoli di parente-la o reparente-lazioni personali; 3. economia sommersa, che comprende le attività produttive legali ma occultate alla PA. All’economia sommersa va ricondotto il lavoro sommerso, che riguarda tutti quei rapporti di lavoro non regolarizzati dal punto di vista amministrativo (cioè per cui man-chino le comunicazioni obbligatorie, ovvero in cui la prestazione formalmente denunciata non corrisponde alla sua effettiva manifestazione fattuale. Distinguiamo il sommerso statistico (che comprende attività produttive legali, non registrate per deficienze del sistema di raccolta dei dati statistici, e quindi facilmente sanabile) dal sommerso economico, in cui rientrano le attività produttive legali svolte senza regolarità fiscali e contributiva, in particolare il sommerso di lavoro (totalmente irregolare, per totale assenza di un rapporto formalizzato, ovvero regolare ma solo formalmente, a fronte di un salario e condizioni lavorative diverse da quelle contrattuali). In questo contesto è possibile inserire la definizione di “lavoro nero”, che interessa sia i lavoratori non dichiarati per definizione, perché dipendenti da datori di lavoro a loro volta sommersi (e quindi rientranti nel caso del sommerso d’impresa), sia i lavoratori completamente sommersi (e perciò non dichiarati) ma dipendenti da datori emersi, che ovviamente, rispetto a questi di-pendenti, non rispettano per niente gli obblighi di registrazione ufficiale.

4 Secondo M. Avola, L’emersione del lavoro irregolare, in www.lex.unict.it/eurolabor/ricerca/

dossier, sono irregolari le prestazioni lavorative svolte senza rispettare la normativa fiscale e/o

contributiva, presso qualunque datore di lavoro.

5 Rispetto ad essi, il 55% delle aziende presentava elementi di irregolarità, per un totale di 126.152 rapporti di lavoro irregolare contestato, di cui 111.526 lavoratori totalmente scono-sciuti all’Inps (15.635 stranieri, pari al 14% del totale; 3.451 lavoratori in CIG, malattia o infor-tunio, già altrimenti occupati, pensionati, studenti, pari al 3 %). A livello contributivo, sono stati accertati 602 milioni di euro di contributi evasi.

90% dei controlli) ed un unico dato positivo, e cioè il minore numero di irregolari stranieri (all’esito delle modifiche normative ex l. n. 189/2002, c.d. Bossi – Fini, e della collegata regolarizzazione). Se dunque i contributi evasi si concentrarono quantitativamente nelle aziende con dipendenti (46% del totale), nell’agricoltura riguardarono oltre il 70% delle imprese.

Nel 2004 furono svolti meno accertamenti (145.069, in flessione del 2%), con oltre il 75% di posizioni irregolari, specialmente in agricoltura e rispetto ai contratti di lavoro autonomo (+40%); nel 2005 vennero effettuate ancor meno ispezioni (134.067), con, però, un ulteriore incremento delle criticità (+19%) e, in particolare, con oltre 55mila lavoratori agricoli del tutto sconosciuti all’Inps.

Nel biennio 2006 – 2007 crebbe il numero delle aziende ispezionate (+30,75%), per un totale di quasi 200mila accessi, collegati ad oltre 100mila situazioni irre-golari accertate (+ 46,31%) e 101.437 lavoratori irreirre-golari (+89,21%), di cui 52.998 totalmente in nero (+40,40%) e specialmente extracomunitari (6). L’agricoltura si confermò un vero “buco nero” di illegalità e sfruttamento, specie della manodo-pera immigrata e irregolare (7).

Il microcosmo (8) del lavoro agricolo, nel piccolo compendio dell’universo (9) che è il Friuli Venezia Giulia, rappresentava all’epoca una palestra ideale per la sperimentazione dei voucher: nelle sue ridotte dimensioni (geografiche, econo-miche e di popolazione), stretta tra le locomotive econoecono-miche nazionali (Veneto e Lombardia) e le vicine repubbliche di Austria, Slovenia e Croazia (fiscalmente competitive nonché bacini di lavoratori transfrontalieri) (10), la Regione rispec-chiava adeguatamente i dati nazionali del mercato del lavoro (11) ma si dimostra-va assai peggiore nel lavoro nero agricolo. L’introduzione del voucher per la ven-demmia 2008 portò dati assai interessanti.

Nella fase di sperimentazione (riguardante anche altre zone del Nord Est) fu-rono venduti circa 540mila buoni lavoro, pari a oltre 108 mila giornate di lavoro emerse, per un totale di circa 36mila lavoratori impegnati. La positiva sperimen-tazione porta all’introduzione del sistema dei buoni lavoro a livello nazionale.

6 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto annuale sull’attività di vigilanza

in materia di lavoro e previdenziale ai sensi dell’art. 20 della Convenzione C81 dell’11 luglio 1947 della Conferenza generale dell’organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL): Anno 2007.

7 ISTAT, Dossier: l’economia sommersa: stime nazionali e regionali, 2007.

8 Parafrasando C. Magris, Microcosmi, Mondadori, 1997.

9 I. Nievo, Le confessioni di un italiano, 1867 (edito come Le confessioni di un ottuagenario), qui consultato nell’edizione Einaudi, 1964, openaccess, http://www.liberliber.it/mediateca/ libri/n/nievo/ le_confessioni_d_un_ italiano/pdf/le_con_p.pdf.

10 Per i rapporti “di vicinato” lavoristico si veda in questo volume il saggio di R. Nunin.

11 Nel 2002 le aziende con irregolarità furono il 47%, nel 2003 il 54%. Manca un’analisi dei dati, disponibile solo dal 2005 nei rapporti annuali curati dall’Agenzia regionale del lavoro (e poi dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia) editi da Franco Angeli, Milano.

Dal 2009, si misurò un’inversione del trend nel lavoro irregolare, che iniziò a diminuire. Contemporaneamente, il numero dei lavoratori coinvolti nel lavoro a voucher iniziò a crescere: raddoppiò rispetto all’anno precedente (59.206); nel 2010 – a seguito dell’ampliamente della rete di vendita, con l’attivazione dei pun-ti vendita presso i tabaccai, e delle ipotesi di upun-tilizzo – il numero dei lavoratori retribuiti a voucher sfiorò le 100mila unità (+400% rispetto al 2008), di cui la metà nel settore primario (48.046 unità). Vigenti per gli altri settori (industria, servi-zi, commercio) limiti legali oggettivi e soggettivi più stringenti, le esigenze di flessibilità e riduzione dei costi vennero soddisfatte probabilmente attraverso il lavoro intermittente (+247%) e accessorio (+ 458%) (12).

Nel 2011 vi fu un forte calo del numero di aziende irregolari e di lavoratori in nero accertati (13), cui corrisposero quasi 12 milioni di voucher venduti (+2241%, nel triennio) a favore di circa 100mila prestatori. Il settore agricolo calò, mentre crebbero commercio e servizi familiari, come confermato anche nel 2011 e 2012. Nel corso del 2013, invece, con la Riforma c.d. Fornero si vide un arresto (dovuto certamente alla crisi ed alle limitazioni nel settore agricolo). I lavoratori impie-gati con questa tipologia contrattuale, furono poco più di 25mila, ritornando ai valori della sperimentazione 2008 o poco più.

Nel biennio 2014-2015, invece, l’utilizzo dei voucher esplode, a suon di alleg-gerimenti normativi. Nel 2014 più di un milione di persone sono state pagate con i voucher: una su quattro nel commercio (dove dal 2008 è stato venduto il 18% dei buoni), seguito a breve distanza dal turismo (21% di “lavoratori” e 12% di tagliandi), che registra anche il maggior aumento (+97,4% di addetti).

Restringendo l’obiettivo sugli under 35, il centro studi Datagiovani ha regi-strato che oltre a rappresentare più della metà degli occasionali (54,1%), le attivi-tà in cui le nuove leve hanno operato di più sono state commercio e turismo (62% del totale in entrambi i casi). Quest’ultimo è in forte in crescita rispetto al 2013 (+96%). In generale le attività che hanno mediamente “pagato” di più nel 2014 sono state giardinaggio e pulizie (612 euro) e i lavori domestici (598 euro), che risultano anche essere i più “vantaggiosi” per i giovani (548 euro) insieme alle manifestazioni sportive e culturali (485 euro).

Secondo l’ultimo monitoraggio dell’Inps, nel primo semestre del 2015 sono stati venduti quasi 50 milioni di tagliandi del valore nominale di 10 euro, con un aumento del 74,7% rispetto allo stesso periodo del 2014, con punte del 95,2% e dell’85,3% rispettivamente nelle isole e nel Meridione. Sono proprio tre regio-ni del Mezzogiorno a guidare la classifica degli aumenti: Puglia (+98,3%), Sici-lia (+96,6%) e Sardegna (+94,2%). Anche se la maggior parte delle vendite resta

12 Rapporto annuale sull’attività di vigilanza in materia di lavoro e previdenziale ai sensi

dell’art. 20 della Convenzione C81 dell’11 luglio 1947 della Conferenza generale dell’organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), Anno 2011, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in www.inps.it.

13 Rapporto annuale 2011, redatto dalla Direzione centrale Studi e Ricerche dell’Inps, in

concentrata al Nord (65%), nel Sud e nelle isole è circolato quest’anno quasi un quinto del totale dei voucher, un balzo in avanti rispetto a qualche anno fa, quan-do le regioni di quest’area non raggiungevano nemmeno il 10 per cento. I buoni lavoro hanno varcato a giugno 2015 la soglia di 200 milioni di vendite, l’equiva-lente di 2 miliardi di euro (14); al 31 dicembre risultano acquistati per il 2015 oltre 115milioni di “buoni”.

Si può allora affermare che i dati mostrano certamente un decremento del lavoro irregolare in coincidenza con l’avvento dei voucher, nonché un nesso tra l’allargamento delle maglie nella rete dei voucher e l’esito dei controlli ispettivi: quanto più i buoni lavoro possono essere utilizzati (per soggetti e tipologie di attività), tanto meno lavoro irregolare viene riscontrato negli accessi ispettivi.

Non si può sottacere però che il legame ha una doppia connotazione: positiva, perché vi è più lavoro regolare; negativa, perché si riducono gli elementi necessa-ri affinché una prestazione appaia regolare.

Infatti, l’attivazione di voucher è idonea a celare una irregolarità parziale (c.d. “sottodichiarazione”) per cui le attività sono sì dichiarate ma in modo difforme rispetto alla realtà. Si tratta del fenomeno del c.d. lavoro “grigio”, che da sempre riguarda il lavoro subordinato (ad es., una prestazione di lavoro in regime di part

time che occulta un rapporto a tempo pieno, lo straordinario non dichiarato, il

c.d. fuori busta et similia) ma che, nella attuale configurazione normativa delle prestazioni di lavoro accessorio, tra dubbi e silenzi del legislatore, trova praterie sterminate da conquistare, in danno ai lavoratori.

3. Le prestazioni di lavoro accessorio dopo il d.lgs. n. 81/2015

L’intero capo VI del d.lgs. n. 81/2015 (recante la «Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’artico-lo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183») è dedicato alla disciplina del lavoro occasionale, e specificamente alla definizione dell’istituto (art. 48), alla disciplina (art. 49) e al coordinamento informativo a fini previdenziali. Nella di-samina dell’attuale disciplina si muoverà seguendo la dispositio del legislatore, e cioè dalle definizioni verso la disciplina.

a) Attività lavorative

A voler parlare di definizioni, si nota subito come, con nonchalance, (anche) il Legislatore del Jobs Act 2 glissa sulla qualificazione del lavoro accessorio. Ciò che viene a rilevare, infatti, è solo il limite di natura economica riferito al tetto dei compensi annui percepiti dal singolo lavoratore nei confronti della totalità dei suoi committenti.

14 I dati Inps, reperibili su sito dell’ente, sono stati così rielaborati da F. Barbieri, Lavoro,

50 milioni di voucher in sei mesi: +75% sul 2014, Il Sole 24 ore del 17 agosto 2015, in http://www. ilsole24ore.com/art/notizie/2015-08-17/lavoro-200-milioni-voucher 070951.shtml?uuid=ACtkKbi.

Nel volgere di un decennio si è passati, dunque, dalla nozione di attività lavo-rative di natura «meramente occasionale» (art. 70, c. 1, d.lgs. n. 276/2003 originale) alla definizione delle prestazioni di lavoro accessorio quali attività lavorative «di natura occasionale» (come disposto dall’art. 22, l. n. 133/2008 nella riscrittura dell’art. 70 cit.) per arrivare alla odierna formulazione di sola «accessorietà» senza vincoli di tempo, ripetitività o eccezionalità. E ciò in barba all’INPS, che illude e si illude che le prestazioni debbano essere svolte «in modo saltuario» (15). Ma, se dell’originaria occasionalità non c’è più traccia, in questo primo ap-proccio sia consentito quantomeno rilevare l’evidente contrasto rispetto al sen-tiero tracciato dal Legislatore delegante, che ha espressamente ribadita la natura discontinua e occasionale delle prestazioni di lavoro accessorio (art. 1, comma 7, lett. h, l. n. 183/2014) (16), per rinviare al prosieguo del commento ulteriori osservazioni.

b) diverse dall’esecuzione di appalti

Il legislatore del Jobs Act 2 fa finalmente chiarezza sul punto, superando la giurisprudenza (17) in materia, che era giunta, nel tenore dell’art. 70, d.lgs. n. 276/2003, ad ammettere i voucher anche nell’esecuzione degli appalti, di fronte all’opposto e contrarissimo orientamento amministrativo (18), sussistente pur a fronte di alcune ambigue aperture ministeriali (19). L’art. 48 vieta dunque il ricor-so a prestazioni di lavoro accesricor-sorio nell’ambito appalti di opere o servizi fatte salve le specifiche ipotesi individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali, da adottare «entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto in commento».

15 V. nella comunicazione istituzionale Inps alla pagina http://www.inps.it/portale/default.

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16 E. Balletti, Lavoro Accessorio, in F. Carinci (a cura di), Commento al d.lgs. 15 giugno 2015,

n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, 2015, 295.

17 Il riferimento è a Trib. Milano 1 aprile 2014, commentata da V. Putrignano, Il lavoro

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