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Impatto delle fluttuazione climatiche e glacio-eustatiche

8. Assetto geologico-stratigrafico della Pianura Padano-Veneta

8.2. Impatto delle fluttuazione climatiche e glacio-eustatiche

All’inizio del capitolo 8 si è anticipato sull’importanza delle grandi fluttuazioni climatiche ed eustatiche quaternarie. Evidentemente queste fluttuazioni hanno pesantemente influenzato l’evoluzione stratigrafico-deposizionale del Bacino Padano e delle circostanti catene montuose. Particolarmente evidenti e ben conservati sono gli effetti dell’ultimo massimo glaciale (LGM) – conosciuto nella regione alpina come Würmiano – fin dalla classica sintesi pionieristica di Penk & Brückner (1909). In questa fase, compresa tra i 25.000 e 15.000 anni 14C BP (Orombelli & Ravazzi, 1996), le masse glaciali occupavano, come noto, gran parte delle grandi valli alpine, sboccando direttamente nella Pianura Padana in corrispondenza delle maggiori vallate (Castiglioni 1940, Castiglioni 1999, Bini e Zuccoli 2004) (v. paragrato successivo). I rilievi emergenti dalle coltri glaciali si trovavano in condizioni di diffusa resistasia. In queste condizioni i fiumi proglaciali riversavano ingenti quantità di sedimenti direttamente nella Pianura Padana, in cui si formavano ingenti corpi di conoide, che passavano lateralmente ad ampie fasce di fiumi a traccia, attivi durante le fasi estive di disgelo. L’accumulo glaciale fu molto più modesto nell’Appennino Settentrionale, in cui le testimonianze glaciali dirette sono limitate ai versanti nord dei più alti gruppi montuosi come quello del Cimone. Le condizioni climatiche limitavano però, anche qui, fortemente la copertura forestale, per cui la catena era spesso dominata anch’essa da un regime di resistasia. Anche i fiumi appenninici erano perciò in grado di riversare nel Bacino Padano grandi quantità di sedimenti sin glaciali, soprattutto durante le fasi più umide e piovose, come quelle che hanno caratterizzato l’accumulo anaglaciale dei ghiacciai alpini. Ovviamente, il regime idrografico dei fiumi sin glaciali era del tutto difforme da quello attuale e doveva essere dominato da episodi di piena, legati allo scioglimento estivo delle masse nevose e glaciali, associati a piogge, alternati a periodi di siccità invernale. In varie fasi della glaciazione si dovevano sviluppare condizioni di semi aridità (Cattani, 1990, 1992; Bertoldi, 1996; Paganelli, 1996), che ostacolavano lo sviluppo della rete fluviale.

Come noto, durante l’acme glaciale (18.000; Marine Isotopic Stage 2- MIS 2) il forte accumulo di ghiacci sulle terre emerse – in primis le calotte delle alte latitudini – insieme allo sviluppo di ampi laghi alle medie e basse latitudini, causarono una progressiva forte diminuzione del livello eustatico di circa 120 m rispetto all’attuale livello medio marino (Rizzini, 1974; Trincardi et al., 1994; Clark & Mix, 2002; Waelbroeck et al., 2002). In queste condizioni di stazionamento basso del livello del mare, la Pianura Padano Veneta

proseguiva attraverso tutto l’attuale Mare Adriatico settentrionale ed il Po formava un suo delta a sud di Ancona e Falconara, direttamente nella Fossa Mesoadriatica (Correggiari et al., 1996b, c). La totalità dei fiumi appenninici dell’attuale Emilia Romagna, così come i fiumi veneti e friulani erano perciò affluenti del Po (Vai & Cantelli, 2004).

Tra i 18 e i 16 mila anni 14C BP, un grande cambiamento climatico interessò l’area Alpina (Orombelli & Ravazzi, 1996). Le rapide fasi della deglaciazione cataglaciale che seguirono ebbero un drammatico impatto sull’evoluzione sedimentaria della Bacino Padano.

Il cambiamento climatico portò, tra 21 e 18 mila anni cal. BP, al ritiro dei ghiacciai alpini dagli anfiteatri pedemontani sia in Svizzera sia in Italia (Ivy-Ochs et al., 2004; Van Husen, 2004; Monegato et al., 2007) ed alla formazione dei principali laghi prealpini, quali quello di Lugano (Ceresio), Maggiore (Verbano), Como (Lario), Iseo (Sebino), Idro (Eridio) e Garda (Benaco), che risultavano già formati circa 15 mila anni 14C BP (Bini e Zuccoli, 2004), cioè circa 17,5 mila anni cal. BP (Lister, 1988; Niessen & Kelts, 1989).

Molti altri grandi specchi d’acqua occupavano tutte le valli maggiori in via di deglaciazione, da quelle della Doria Riparia a monte di Torino a quella Baltea nella conca di Ivrea, dalla Val d’Adige a quella dell’Isonzo, oggi occupate da ingenti quantità di depositi post-glaciali.

In queste condizioni gli importanti volumi di sedimenti liberati dall’instabilità tardo- glaciale venivano intrappolati da questi sistemi lacustri ed intravallivi (Stefani & Vincenzi, 2005).

L’apporto sedimentario alla pianura da parte dei fiumi alpini si ridusse, quindi, drasticamente in breve tempo, producendo una diffusa incisione fluviale, ben documentata in estese aree affioranti (v. paragrafo successivo), ma note anche nel sottosuolo, compreso quello dell’area di studio. A causa della relativa limitatezza delle masse glaciali e delle basse latitudini, l’inizio del ritiro glaciale nelle Alpi predata ampiamente le principali fasi di fusione delle grandi calotte (Ravazzi et al., 2007), per cui questi fenomeni avvennero nelle fasi iniziali d’innalzamento del livello eustatico, con la linea di costa ancora lontana dell’attuale. Questa incisione tardi-post-glaciale in ogni caso non ha nulla a che fare con i fenomeni associati all’abbassamento del livello marino, ma fu prodotta da cause squisitamente climatiche.

Data l’esiguità della copertura glaciale, simili fenomeni non si svilupparono invece nell’Appennino Settentrionale, che fu quindi in grado di continuare a fornire ingenti quantità di sedimenti alla porzione meridionale del Bacino Padano, che non fu in genere caratterizzata dallo sviluppo di grandi superfici terrazzate. Anzi, il disequilibrio

geomorfologico legato ai rapidi cambiamenti climatici e la presenza di sedimenti morenici e periglaciali relitti avrebbe dovuto, momentaneamente, incrementare la disponibilità di sedimento per il trasporto fluviale. Mentre quindi la sedimentazione s’interrompeva abbastanza bruscamente attraverso gran parte della pianura a nord del Po e in quasi tutta la pianura veneto-friulana (Castiglioni et al., 1999; Fontana et al. 2004), i fiumi appenninici provvedevano ad un forte apporto sedimentario alla pianura emiliana alla destra del Po, tendenzialmente con granulometrie relativamente fini. Vedremo che questi apporti furono in grado di interessare anche la parte meridionale dell’area di studio.

Grandi e rapide fluttuazioni eustatiche interessarono anche l’evoluzione stadiale tardi glaciale, con fasi relativamente calde ed umide alternate al ritorno di fasi fredde e secche, l’ultima delle quali, sviluppatasi tra i 12.000 e 9.500 a. C. (Dryas recente), precedette l’istaurarsi di condizioni climatiche simili a quelle attuali (v. tra gli altri Fontana et al., 2004).

Il ripetuto e diffuso ritorno a condizioni di biostasia sui rilievi, sia alpini sia appenninici, ridusse ulteriormente l’apporto sedimentario alla Pianura Padana a causa della diminuzione dell’effetto erosivo delle acque sui versanti (Fontana et. al., 2004), mentre il Mare Adriatico fu interessato da ripetute rapide pulsazioni trasgressive, legate all’innalzamento del livello glacio-eustatico (Trincardi et al., 1994). Un livello marino prossimo all’attuale fu raggiunto solamente circa 5500 anni fa (v. Waelbroeck et al., 2002 e Figura 8-1). L’innalzamento eustatico produsse un’evoluzione aggradante degli alvei fluviali e un’accentuata instabilità degli stessi, con la progressiva de-connessione di tutti gli affluenti singlaciali inferiori dal Po. La fase di massima trasgressione vide lo svilupparsi di ampie aree palustri, dulcicole o salmastre, attraverso ampie aree della pianura, venutesi a trovare a livelli prossimi a quello del mare, come ad esempio anche l’area di studio.

Importanti fluttuazioni climatiche continuarono a svilupparsi anche in età storica, come le fasi fredde e piovose che caratterizzarono l’Alto Medioevo e il XVII e XVIII secolo d.C. (v. Denton Karlen, 1973; Veggiani 1984, 1986; Bradley Jones, 1992).