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Nella lettura e analisi delle interviste, sono state rilevate diverse problematiche e discrepanze con la teoria. Nonché un nuovo argomento, che non mi aspettavo e non conoscevo. L’infermiera Romina mi ha spiegato l’importanza del creare un rapporto di fiducia con il proprio utente, per avere un buon aggancio di cura, ma non sapevo che a volte questo rapporto non si crea subito per problemi di “discriminazione”. Secondo l’OMS, oggi ci si concentra sulla promozione della salute proprio per ridurre quelle disuguaglianze sociali che il pattern della prevenzione imponeva. Più precisamente, con la prevenzione si sono introdotti metodi di screening di cui non tutta la popolazione poteva sottoporsi, mentre con la promozione della salute si è voluto insegnare semplici comportamenti più salutari, accessibili a tutti (Biocca, Beccastrini, e Centro di documentazione per la salute 1997). Perciò, da una parte gli infermieri accettano tutti gli utenti bisognosi di cure, ma dall’altra alcuni anziani chiedono di cambiare l’operatore, per caratteristiche come “le persone di colore, uomini, giovanotti, l’operatrice grassa, gli asiatici con occhi a mandorla, ecc.”. Quando l’infermiera Romina mi ha raccontato questo fatto reale, mi sono stupita che tutt’oggi vi sono problemi di accettazione razziale. È un aspetto nuovo che non avevo considerato e secondo me potrebbe essere spunto di approfondimento, per capire idee e pregiudizi nascosti. Si potrebbe indagare se, questi pensieri discriminatori, sono legati a ideologie del passato (es. ai tempi di guerra) o se con il passare degli anni diminuiranno, nelle “nuove generazioni”. L’unica soluzione, è dimostrare che le cure non dipendono dalle caratteristiche razziali degli operatori ed è possibile dimostrarlo solo nel tempo che l’operatore/ operatrice si reca da quell’utente; spiegando che non è possibile cambiare subito operatore a primo impatto. Questa è l’unica ipotetica soluzione che mi viene in mente per un argomento così delicato e triste al giorno d’oggi, a parer mio. Purtroppo, queste rappresentazioni, a quanto pare, ci sono ancora ed è opportuno che noi non siamo i primi a fare o rispondere con discriminazione sociale e, allo stesso tempo, è essenziale accettare tutti i pazienti che hanno bisogno di noi.

Per quanto riguarda il vasto argomento sui farmaci, riscontrato in tutte le interviste, si è visto che il “cartello” potrebbe essere un abitudine a cui non ci si fa più caso e il “trenino dose” potrebbe diventare un problema per i pazienti con deficit cognitivi, disorientati. Al tempo stesso, prendere una terapia d’abitudine tutti i giorni potrebbe far incombere il dubbio “Ma l’ho presa o non l’ho presa?” (racconto Michela). Come soluzione, gli infermieri del servizio, effettuano una chiamata all’utente solo “per controllare che l’abbiano assunta” e trovo sia un alternativa per non invadere la privacy. Ma mi chiedo se è fattibile con tutti gli utenti o si rischia che la persona mente per accontentarci. Sono cosciente che significa non fidarsi dei pazienti, ma siccome di mezzo vi è la loro salute è opportuno non rischiare in ogni caso. Ci vuole un equilibrio, perché se non ci fidiamo di nessuno si rischia di far promozione della salute inversa e di portare a essere dipendenti tutti i pazienti. Perciò, trovo sia essenziale conoscere i propri pazienti e sfruttare l’opportunità di essere a domicilio, in cui si può capire meglio la storia della persona. Un’alternativa estrema, sarebbe di contare, una volta a settimana, le pastiglie rimanenti nella scatola e verificare che in casa o nell’immondizia non ci siano rimasugli. Inoltre, per il problema che gli anziani non conoscono cosa assumono, sarebbe opportuno fare un insegnamento in modo costante alla persona. Potrebbe sembrare un gesto superfluo al paziente, ma essenziale per trasmettergli il controllo della propria situazione e autonomia.

46 Un’ulteriore aspetto problematico organizzativo per cui gli infermieri del servizio sono obbligati a cambiare spesso i turni, è legato al fatto che tutti gli utenti vorrebbero essere trattati tra le 7.30 – 10.00 del mattino o in prima serata. Questo al servizio causa diversi impedimenti organizzativi e come abbiamo visto, il tempo è un fattore rilevante per gli anziani. Ma l’unica alternativa sarebbe definire delle priorità di cura, in base i bisogni degli utenti pianificati, recandosi dalle persone che hanno bisogno prima e gli altri accontentarli solo nel limite del possibile. Io capisco che cercano sempre in ogni caso di accontentare i desideri degli anziani, ma trovo sia essenziale stabilire comunque delle priorità.

Un argomento che si potrebbe approfondire, è sulla figura del medico. Persona con la quale il personale di cura collabora molto e di cui i pazienti si fidano tantissimo. Questo aspetto di grande fiducia nel medico, può essere sfruttato per suggerire ai pazienti i comportamenti più salutari che vi possono essere e non per convincerli a usare pastiglie, per risolvere problemi inesistenti. Affermo quest’ultimo aspetto dopo la testimonianza dell’infermiera e direttrice Romina, la quale sostiene che i medici siano i primi “fornitori di terapie farmacologiche” e “che loro pensano di far passare i mali con le pastiglie”. Sono affermazioni importanti che dimostrano i studi trovati da me in precedenza nel quadro teorico, secondo i quali “oggi le aziende farmaceutiche spendono per le pubblicità dirette al consumatore quasi quanto in quelle rivolte ai medici delle riviste mediche, in particolare si fa pubblicità ai farmaci blockbuster che vengono prescritti per i disturbi comuni come le allergie, l’artrite, ecc.” (Maturo 2009, 41). Su quest’ultimo punto, la maggior parte delle interviste hanno dichiarato che in Svizzera i primi a far pubblicità sono i farmacisti, attraverso una pubblicità più diretta. Questo perché nel nostro territorio le pubblicità sui farmaci sono minori, rispetto altre parti del mondo; anche se molte persone guardano comunque televisione italiana in cui le pubblicità farmaceutiche sono all’ordine del giorno. In questo caso, oltre che istruire gli anziani, sarebbe opportuno educare i medici stessi e sensibilizzarli ai problemi di medicalizzazione della vita. Ricordando che una persona anziana, non può tornare biologicamente e fisiologicamente all’età di 20 anni e perciò le aspettative morfologiche dovrebbero essere ridimensionate, se questi sono i risultati. Per codeste ragioni, trovo potrebbe essere interessante approfondire le rappresentazioni nascoste dietro le menti mediche e le ragioni che portano a medicalizzare sempre di più la vita dell’anziano.

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5. Conclusioni

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