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L’INCONTRO CON L’ALTRO E L’ASCOLTO

Il processo di aiuto si attua nell’incontro con l’altro e ne presuppone l’ascolto empatico. L’empatia è il fondamento di tutte le relazioni umane autentiche e dei sentimenti che ci legano reciprocamente. Essa è dunque importante per l’es- senza stessa dell’Uomo nel mondo, nella totalità degli aspet- ti soggettivi, psicologici, culturali e politici che ci mettono in relazione. Del resto, la scienza sociale, da molteplici pro- spettive, ha sempre affermato la struttura intersoggettiva dell’Io, intendendo con ciò il fatto che ogni essere umano, membro di una comunità, vive il suo legame con gli altri come dato costitutivo originario del ‘suo essere-nel-mondo’, nel senso che ciò che si è dipende dalla nostra convivenza con gli altri, i quali sono parte di noi anche quando la rela- zione non è diretta e immediata: è quanto si intende per ‘altri significativi’ (simon).

È dunque chiaro che se l’essenza dell’Uomo sta nel suo ‘essere-in-relazione’, l’empatia, intesa quale capacità di entrare in relazione con gli altri al fine di comprendere cosa pensano, sentono e vogliono, risulta costitutiva del nostro ‘essere persone’ e momento basico della convivenza umana. A tale proposito, Edith stein rimarcava come l’empatia per- mette il rendersi conto della presenza dell’altro, il quale è una persona nella complessità delle sue espressioni corpo- ree, psichiche, cognitive, emotive e spirituali: ‘persone’, corpi vivi, soggetti che vivono e di cui si può cogliere il ‘vis- suto’ attraverso le modalità delle loro espressioni, che rimandano a ciò che non è immediatamente visibile e perce- pibile, al loro ‘mondo-della-vita’.

Intesa quale ‘esperienza totale dell’incontro con l’altro’, l’empatia non è semplice conoscenza di dati oggettivi: io so

del dolore, delle gioie e delle ansie altrui, ma ciò non si esaurisce nella nozione delle possibili ‘cause’, delle ‘condi- zioni’ esteriori, delle ‘storie individuali’.

si tratta di ‘sentire l’altro’: in un modo che esula dai giu- dizi sintetici (sovente: pre-giudizi), ma che coglie quanto l’altro ‘rivela’ attraverso ciò che di lui è conoscibile, quindi visibile (il volto, i gesti, i movimenti), udibile (le parole), tangibile (la stretta di mano) (simon).

L’empatia è dunque «il modo specifico con cui incontria- mo un’altra persona e il nostro renderci conto che i suoi occhi parlano, che il suo cuore trema e che la sua anima sof- fre» (stein).

L’empatia non è però mai ‘identificazione’. Carl rogers ha scritto:

«L’empatia si realizza nella coscienza profonda della separazio- ne, della contingenza, della differenza, della individualità di due esseri che comunicano. Essa è al tempo stesso percezione del- l’altro e percezione di me stesso che non sono quest’altro e non lo sarò mai.»

La ‘coscienza della separazione’ evita il logoramento di chi vive accanto a situazioni di sofferenza e impedisce di proiettare o riprodurre sull’altro stati d’animo provati in pre- cedenza e che non possono adattarsi al vissuto altrui. quest’ultimo atteggiamento trasforma l’altro nella propria ‘ombra’ ed è una ‘illusione di empatia’ (boella). si tratta dell’’ingombro del sé’ che muove resistenza a farsi segnare dall’incontro e perciò si difende, chiudendosi. Al contrario, come suggerisce rogers, occorre valorizzare l’altro, nei suoi sentimenti, nei suoi pensieri e nelle sue esperienze, nella totalità – anche negativa – delle loro manifestazioni.

Empatia, allora, significa anche ‘accettare l’altro’ per potere iniziare un processo di cambiamento: accoglierlo.

Ascoltare ‘empaticamente’ significa quindi avvicinarsi autenticamente alla domanda incessante di aiuto per vivere

che l’altro esprime con urgenza: una domanda non solo di ‘prestazioni’, ma, spesso, di senso e di orientamento.

È stato rilevato (Dellavalle) che proprio il contatto con la sofferenza spesso innesca meccanismi difensivi che condu- cono a non vedere e a non sentire: meccanismi che possono essere disattivati solo a condizione di avviare un lavoro di ascolto delle proprie risonanze interne.

Dellavalle rimarca come la capacità necessaria a rilevare un disagio necessita, in chi ascolta, di specifiche competen- ze cognitive, le quali però possono essere ‘neutralizzate’ per la presenza di fattori emotivi quali ansia e paura del conflit- to. La condizione per un buon ascolto sta anche nella perso- nale abilità a sviluppare relazioni, in virtù di disposizioni legate allo stabilirsi di un rapporto di fiducia, al manteni- mento della propria integrità identitaria anche nelle situa- zioni più problematiche, al riconoscimento e al contenimen- to delle proprie emozioni, a un ordinato dialogo con il pro- prio mondo interno, all’accettazione di come si è.

Il rischio è sempre quello di velocizzare e moltiplicare le risposte, saturando lo spazio dell’ascolto: più ‘dire’ che ‘ascoltare’, dire per indirizzare, consigliare, dirigere, spie- gare, regolare.

Inoltre (Dellavalle) vanno valutati gli ostacoli all’ascolto di natura sociale e organizzativa: il setting dell’ascolto e le sue ‘quinte’ istituzionali, in cui le persone danno un senso agli eventi, definiscono le situazioni, progettano le risposte, costruiscono il loro (inter-)agire.

In tutto questo gioca un ruolo importante la variabile ‘tempo’: tempo dell’attenzione e tempo dell’elaborazione riflessiva, tanto in chi ‘domanda’ quanto in chi ‘riceve’.

In tale prospettiva, l’attenzione prestata è il primo momen- to dell’accoglienza, in cui si determinano i processi dell’e- sclusione e dell’inclusione delle domande di aiuto, con con- seguente definizioni delle priorità e del rinvio eventuale ad altri servizi nella logica del ‘lavoro di rete’.

È stato scritto (simone) che ‘accogliere’ è ‘ricevere pres- so di sé’, entro implicite dimensioni etiche e organizzative, rispettose dell’identità e del percorso soggettivo delle perso- ne, con le loro sofferenze, i loro multipli ‘bisogni’, le loro intenzioni, ma anche i loro smarrimenti e i loro punti di vista.

In questa prospettiva, all’ascolto in quanto ‘ricognizione informativa’ – il suo aspetto ‘oggettivo’ – e in quanto ‘immedesimazione empatica’ – il suo aspetto ‘soggettivo’ – è auspicabilmente necessario l’accompagnamento, al fine di evitare una disfunzionale interruzione relazionale che com- porta crisi, rotture fiduciarie e conseguente, ulteriore, dis- orientamento.

L’accoglienza richiede spazi e tempi adeguati per la comu- nicazione, verbale e non-verbale, come variabili determi- nanti per la comprensione funzionale alla decodifica delle domande (nei loro aspetti cognitivi-oggettivi e soggettivo- emotivi ‘disturbanti’) e alla conseguente ‘costruzione di rap- porti’, tanto personali quanto di interconnessione con altri servizi e operatori.

Riferimenti bibliografici

boella L., Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Cortina, Milano, 2006

Dellavalle M., Autotutela delle istituzioni e ascolto del bambino, in Foti C. (a cura di), L’ascolto dell’abuso e l’abuso nell’ascolto, FrancoAngeli, Milano, 2003

rogers C., La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze, 1970 simon D., La relazione sociale. Percorsi della sociologia classica e contem-

poranea, L’Harmattan Italia, Torino, 2015

simone D., Accoglienza in Campanini A. (a cura di), Nuovo dizionario di

servizio sociale, Carocci Faber, roma, 2013