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Gli indirizzi spirituali prevalenti sotto il rettorato di don Albera

Nella prima circolare ai Salesiani, il 25 gennaio 1911, don Paolo Albera enunciava sinteticamente il programma del suo rettorato: «promisi a D. Bosco e

85Ibid., p. 38.

86Giulio BARBERIS, Lettere a don Paolo Albera e a don Calogero Gusmano durante la loro visita alle case d’America (1900-1903). Introduzione, testo critico e note a cura di Brenno Casali, Roma, LAS 1998, p. 186 (lettera del 7 maggio 1902).

a D. Rua che nulla avrei risparmiato per conservare nella nostra umile Congre-gazione lo spirito e le tradizioni che da loro abbiamo imparato»87. L’impegno di non scostarsi «dagli usi e dalle tradizioni» gli era stato anche ricordato da Pio X nell’udienza del 3 settembre 1910, con un’aggiunta:

«Ricordate ai vostri dipendenti che Colui a cui servono, Dominus est. Stia loro fisso nella mente il pensiero della presenza di Dio, siano in tutto gui-dati dallo spirito di fede, con fervore compiano le loro pratiche di pietà e a Dio offrano i loro lavori e sacrifici. Dio sia sempre nella loro mente e nel loro cuore»88.

Questo mandato pontificio coglieva un aspetto al quale don Albera doveva essere particolarmente sensibile, per indole e per formazione, oltre che per l’ab-bondante letteratura spirituale di cui mostra d’essersi nutrito. Tutto il suo magi-stero, infatti, rivela l’ottica accentuatamente spirituale nella quale egli tendeva ad inquadrare e interpretare gli accadimenti, le situazioni problematiche, la voca-zione, il metodo e l’identità stessa del salesiano e delle opere89. È questa in fondo l’idea dominante che egli si è fatto di don Bosco, della sua personalità e missione, continuamente emergente nei suoi scritti.

La personalità e l’azione di Albera è stata poco e solo parzialmente stu-diata. Le sue circolari e gli abbondanti materiali archivistici si rivelano, tuttavia, molto promettenti per la ricostruzione di un periodo delicato della storia della Congregazione90; soprattutto invitano a più accurate ricognizioni per identificare le componenti della mentalità e della fisionomia interiore di quella generazione formata direttamente da don Bosco e ricca di esperienze fondanti significative.

Qui ci limitiamo ad indicare alcune essenziali emergenze della sua animazione religiosa.

3.1. Lo spirito salesiano: fervente pietà e vita disciplinata

Il ruolo di Catechista generale e l’esperienza diretta di opere e di confratelli accumulata come Visitatore, inducono don Paolo Albera nel maggio 1911 a sce-gliere come tema inaugurale del suo magistero «edificante» lo «spirito di pietà».

Infatti, l’entusiasmo dei Salesiani, generatore di ferventi iniziative e

d’instanca-87Lettere circolari di D. Paolo Albera ai Salesiani, Torino, Società Editrice Internazio-nale 1922, p. 13.

88Ibid., p. 15.

89L’impressione è confermata anche nel sobrio bilancio tracciato da Eugenio CERIA, An-nali della Società Salesiana. IV: Il rettorato di don Paolo Albera 1910-1922, Torino, SEI 1951, pp. 460-462.

90Si veda ad esempio: Joe BOENZI, Paolo Albera on the Salesian Spirit. Retreat Themes 1893-1910 [Estratto di dissertazione dottorale N° 374], Rome, Salesian Pontifical University 1996.

bile attività, atteggiamenti tanto lodati, fecondi di opere e di sviluppi impensati, gli si rivela non privo di ombre:

«Parlandovi con il cuore alla mano, vi confesso che non posso difendermi dal doloroso pensiero e dal timore che questa ventata di attività dei Sale-siani, questo zelo che sembrò finora inacessibile ad ogni scoraggiamento, questo caldo entusiasmo che fu fin qui sostenuto da continui felici successi, abbiano a venir meno un giorno ove non siano fecondati, purificati e santi-ficati da una vera e soda pietà»91.

È un rischio suffragato dai fatti, in qualche modo collegato alla missione stessa, al metodo proprio e alla qualità delle opere salesiane92.

Don Albera struttura il suo intervento come una compiuta istruzione sullo

«spirito di pietà»: la sua natura e necessità per la vita cristiana e religiosa, per la fecondità apostolica, per ottenere forza nelle prove e per la perseveranza finale.

Se, «per grazia di Dio noi possiamo contare molti confratelli» esemplari, esi-stono purtroppo salesiani trascurati in questo ambito, che offrono «ovunque il triste spettacolo della loro rilassatezza e indifferenza [...], vegetano sventurata-mente in una deplorevolissima mediocrità e non daranno mai frutti»93, poiché – afferma senza timore d’esagerazione – «tutto il sistema d’educazione insegnato da D. Bosco si poggia sulla pietà» e, se il salesiano «non è sodamente pio, non sarà mai atto all’ufficio di educatore»94. Non va dimenticato che il «sacro fuoco della pietà», «l’ininterrotta unione con Dio», era «la nota caratteristica di D.

Bosco»:

«Ne era indizio quella inalterabile egualianza di umore che traspariva dal suo volto invariabilmente sorridente. In qualunque momento ricorressimo a Lui per consiglio, sembrava interrompesse i suoi colloqui con Dio per darci udienza, e che da Dio gli fossero ispirati i pensieri e gl’incoraggiamenti che ci regalava»95.

91Lettere circolari di D. Paolo Albera, p. 26.

92Don Albera lo noterà più volte. Il pericolo toccava soprattutto i salesiani più esposti al-l’azione e il dibattito si allargava alle scelte pratiche e alle opere, alla sostanza della missione e alla sussidiarietà dei mezzi. Già nel III Congresso degli Oratori festivi e delle Scuole di Reli-gione, svoltosi a Faenza nel 1907, ad esempio, si era accesa la discussione proprio sulla dosa-tura tra attività religiose e mezzi ricreativi: «La discussione procede serenissima finché si giunge all’articolo che riguarda lo svolgimento degli Oratori e il posto che spetta alle società ginnastiche, drammatiche e musicali annesse ai Ricreatori festivi, ed ai giochi più atti a pro-muovere la frequenza dei giovani», «Bollettino Salesiano» 31 (1907) 165; «Che cos’è infatti o Signori, l’Opera degli oratori festivi nella sua essenza, se non un metodo, un sistema appro-priato ai tempi per attirare la gioventù ed educarla alla fede ed alla pratica della religione? E i mezzi e le forme che si adottano per raggiungere l’intento devono considerarsi come elementi occasionali, accessori, soggetti a variare secondo le esigenze del luogo, del tempo e dell’am-biente sociale ed anche secondo l’età dei giovani», ibid., 231.

93Lettere circolari di D. Paolo Albera, p. 30.

94Ibid., p. 32.

95Ibid., p. 34.

Dalla contemplazione dell’ideale, don Albera passava al suggerimento di risoluzioni operative: esattezza nelle pratiche di pietà stabilite dalle Costituzioni;

santificazione delle azioni quotidiane, vivendole alla presenza di Dio,

«con grande purità d’intenzione per cui non abbiamo altro di mira che com-piere la sua santa volontà; ma soprattutto generosità di spirito: Se a ciò ag-giungiamo ancora una santa indifferenza per tutto ciò che Iddio, per mezzo dei Superiori, dispone, se generosamente accettiamo dalla sua mano le sof-ferenze con cui egli volesse provare la nostra virtù, noi arriveremo a met-tere in esecuzione il precetto della preghiera continua, praticheremo la pietà attiva di cui tratta sovente S. Francesco di Sales, e che fu il segreto della santità di D. Bosco»96.

Come antidoto al rilassamento e alla pigrizia spirituale egli indica la pratica sacramentale, l’esame di coscienza, le frequenti elevazioni della mente a Dio con slanci d’affetto, l’affidamento a Maria Ausiliatrice: iniziative utili per man-tenere quel fervore di pietà che impregna il vissuto.

«E chiamasi fervore un desiderio ardente, una generosa volontà di piacere a Dio in ogni cosa. Esso deve manifestarsi in modo speciale quando noi com-piamo atti di devozione; ma come già si è accennato, deve accompagnare pure tutte le nostre azioni e trasformarle, per così dire, in altrettante pratiche religiose»97.

Ci troviamo, per linguaggio e concetti, nell’alveo della spiritualità mo-derna, quella che aveva alimentato la letteratura ascetica tra Seicento e Otto-cento. Ma il diverso scenario storico, in cui Albera prospetta le sue argomenta-zioni, e le condizioni di vita e di lavoro dell’uditorio a cui si rivolge, danno con-cretezza alle sue esortazioni e indicano una ben definita patologia spirituale nota ai membri della famiglia salesiana: «La grande malattia di molti addetti al ser-vizio di Dio è l’agitazione e il troppo ardore con cui si occupano delle cose este-riori. Quanto è difficile trattenere nei giusti limiti la nostra attività!». Egli cita la

«evisceratio mentis» di san Bernardo, ma ha di fronte il salesiano reale, immerso nel vortice della modernità che, per un malinteso culto del lavoro e della ten-sione operativa, non sa trovare «mai un momento per raccogliersi, per rientrare in se stesso, per sapere dove vada»98.

È un problema che non affligge solo la Congregazione. Da più parti si de-nuncia il degrado di quello spirito di «azione cattolica» che, presentato come ne-cessità vitale per la riconquista cristiana della società e personificato in campioni della carità come don Bosco99, aveva fecondamente alimentato il rigoglio del

96Ibid., pp. 36-37.

97Ibid., p. 38.

98Ibid., pp. 37-38.

99In tal modo don Bosco era stato presentato, ad esempio da ROCCA D’ADRIA, Come si diventa Parroco d’Azione Cattolica. Lettera ad un giovane sacerdote, Torino, Tip. F.lli Cano-nica 1895, pp. 22-23.

cattolicesimo di fine Ottocento, ma negli ultimi tempi dimostrava di aver perso il suo radicamento interiore. Pericolo diffuso, con sbandamenti anche ideologici – evocato nelle raccomandazioni del cardinale Richelmy ai capitolari100e nelle pa-role dello stesso Pio X al Rettor Maggiore101– che suggeriva un recupero della contemplazione e del raccoglimento, fino ad auspicare da parte di alcuni, come l’abate Chautard, il drastico ridimensionamento o anche l’abbandono delle atti-vità ricreative e sociali come inutili «stampelle»102.

Nel corso del suo rettorato, don Albera ricollega le principali tematiche trattate nelle sue lettere circolari a questo nucleo. Sia che richiami il salesiano alla disciplina religiosa103, sia che lo esorti a vivere di fede104o che illustri le modalità concrete dell’ubbidienza105, della castità106e dello spirito salesiano nei nuovi scenari107, oppure tratti dell’Oratorio, delle Missioni e delle Vocazioni108, sempre si muove nell’ambito della pietà e del fervore e ad esso tutto riconduce, con finezza e cura dei particolari. Il modello di salesiano emergente dai suoi in-terventi è ardente nella fede e delicato nei modi, forte di spirito e umile nel cuore, zelante nelle opere e pacato nelle parole, industrioso nel portare avanti la sua missione e continuamente immerso in Dio.

Il desiderio «di lavorare con lena alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime», imparato alla scuola di don Bosco, alimenta un atteggiamento interiore ed esteriore disciplinato, cioè «un modo di vivere conforme alle regole e costu-manze» della Pia Società Salesiana che permette di attuarne lo scopo: «la perfe-zione de’ suoi membri, e il mezzo per raggiungerlo soprattutto l’apostolato a fa-vore della gioventù povera e abbandonata»109. Non basta evitare il male, è ne-cessario operare il bene in modo irreprensibile. Così in una casa salesiana disci-plinata «regna l’ordine più perfetto», in ogni cosa risplende «nettezza e pro-prietà», «l’orario è scrupolosamente osservato», tutto è quiete e laboriosità: «e chi non sa quanto questa regolarità contribuisca a tener raccolto lo spirito e a render fecondo il lavoro?». Ma l’esito più rilevante è di carattere «spirituale»:

100Cf Lettere circolari di D. Paolo Albera, p. 27.

101Nell’udienza privata concessa il 3 settembre 1910, Pio X «com’era da aspettarsi, rac-comandò vivamente a tutti i Salesiani di mettersi in guardia contro gli errori dei modernisti», ibid., p. 16.

102 Jean-Baptiste CHAUTARD, L’ame de tout apostolat. Ed. entièrement revue et aug-mentée, Paris, Téqui 1912 ; l’opera avrà molte traduzioni e una grande fortuna.

103Lettera circolare n. 3: Sulla disciplina religiosa (25 dicembre 1911), Lettere circolari di D. Paolo Albera, pp. 53-70.

104Lettera circolare n. 4: Sulla vita di fede (21 novembre 1912), ibid., pp. 82-100.

105Lettera circolare n. 5: Sull’ubbidienza (31 gennaio 1914), ibid., pp. 134-153.

106Lettera circolare n. 8: Sulla castità (14 aprile 1916), ibid., pp. 194-210.

107Lettera circolare n. 9: Consigli ed avvisi per conservare lo spirito di D. Bosco in tutte le Case (23 aprile 1917), ibid., pp. 214-230.

108Lettera edificante n. 1: Gli Oratori festivi. Le Missioni. Le vocazioni (31 maggio 1913), ibid., pp. 110-133.

109Ibid., pp. 55-56.

«Infatti vedrete trasparire dal volto dei felici abitatori di quella casa un amabile candore, un’innocente semplicità, una spontanea e santa letizia, che riflette la pace del loro cuore, la serenità della loro coscienza. Non s’in-contra alcuno che compia i suoi doveri ex tristitia aut ex necessitate [...].

Ogni religioso si mostra pienamente felice nella sua vocazione, e [...] prefe-risce mille volte la sua umile condizione agli onori del mondo, la sua po-vertà e le sue mortificazioni alle ricchezze e ai godimenti del secolo»110. Quando, al contrario, manca tale disciplina le Regole sono «lettera morta, le tradizioni di famiglia sono dimenticate o interamente trasformate», l’orario non è osservato, la vita comune diventa «un peso insopportabile», non si ama più la casa, si rifiuta l’ubbidienza: «di qui le uscite frequenti e senza permesso o non giustificate; di qui le visite inutili e pericolose, la negligenza nei propri do-veri», il malcontento di sé, il cattivo esempio alla comunità. Il salesiano che tra-scura se stesso in tal modo, «fugge con orrore tutto quello che gli costa sacri-ficio» e «non si dà pensiero di correggere i proprii difetti», poco a poco soffoca in sé «il fuoco sacro della pietà»:

«Se è sacerdote, compie il suo ministero in modo da lasciar poco edificati gli astanti. Che poi dire s’egli deve compiere il delicatissimo ufficio di edu-catore della gioventù? Iddio nol permetta, ma forse i giovanetti alle sue cure affidati cresceranno nell’ignoranza e nel vizio, invece d’un padre, d’un amico, d’un maestro, in lui troveranno una pietra d’inciampo, un pericolo alla loro innocenza»111.

Il punto di riferimento offerto da don Albera è sempre lo stesso, il don Bosco della sua giovinezza e della sua formazione:

«ricordano i più anziani tra i confratelli con quali sante industrie D. Bosco ci preparasse a divenire suoi collaboratori [...]. Così poco a poco ci anda-vamo preparando alla sua scuola tanto più che i suoi insegnamenti avevano un’irresistibile attrattiva sui nostri animi ammirati dello splendore delle sue virtù».

Il ricordo della fede ardente del «buon padre», della delicatezza del suo tratto e dell’impressione profonda lasciata dalle sue parole, emerge nella mente e negli scritti del Rettor Maggiore, al di là delle stesse argomentazioni dottrinali e spirituali, come un richiamo irresistibile:

«Il buon padre con le sue istruzioni, così dense di santi pensieri ed esposte con ineffabile unzione, apriva continuamente alle nostre menti attonite nuovi orizzonti, rendeva ognor più generosi i nostri propositi e più stabile la nostra volontà di rimanere sempre con lui, e di seguirlo ovunque, senza al-cuna riserva e a costo di qualsiasi sacrificio. Già oltre cinquant’anni

passa-110Ibid., pp. 57-58.

111Ibid., p. 59.

rono da quei tempi fortunati, ma il tempo trascorso non valse a cancellare dai nostri cuori l’impressione che in noi lasciava la parola di D. Bosco»112. Nella circolare del 23 aprile 1917, in cui si indicano a ispettori e direttori i mezzi per conservare nelle case lo spirito di don Bosco113, don Albera fornisce di fatto un elenco degli elementi caratterizzanti l’identità spirituale salesiana:

spirito di sincera pietà, osservanza delle Costituzioni, povertà reale, culto della castità come stile di vita e clima educativo, ubbidienza generosa, correzione ca-ritatevole, paternità benevola e paziente, umiltà, zelo per la salvezza delle anime che si concretizza nella cura industriosa dei confratelli, dei giovani, degli ex-al-lievi e delle vocazioni114.

L’immagine che ne emerge è vigorosa, intesa ad animare i salesiani, «a camminare a gran passi nella via della perfezione», combattendo la «mediocrità»

che frena lo slancio spirituale e la «legalità» che indebolisce la generosità del-l’amore verso Dio115:

«Spingete la barca in alto mare, non limitate le vostre fatiche a ciò ch’è strettamente necessario, siate grandiosi nelle vostre aspirazioni, quando si tratta della gloria di Dio e della salvezza delle anime; allontanatevi dalla spiaggia che tanto restringe i vostri orizzonti, e vedrete quanto abbondante sarà la pesca delle anime [...]. In questo il motto dell’apostolo zelante sarà quello stesso del valoroso soldato: coraggio! avanti! [...]. Il buon Salesiano, accasciato sotto il peso delle croci, delle tribolazioni e dei sacrifici, dirà pieno di gioia con S. Francesco Saverio: amplius, mandatemene ancor di più, ovvero con S. Francesco d’Assisi: Tanto è il bene che m’aspetto, / Che ogni pena m’è diletto»116.

Le espressioni perdono il sapore retorico che potrebbero evocare quando si pensa che il riferimento di don Albera in quei tragici anni erano i tanti giovani confratelli sotto le armi e i pochi rimasti a sostenere le opere, sottoposti a sacri-fici e fatiche accolte generosamente. Ai confratelli impegnati sul fronte di guerra egli scriveva una lettera circolare mensile117, che riscuoteva interesse e suscitava

112Ibid., p. 55.

113Va detto che con don Albera vengono ancor più rimarcati la centralità, il ruolo e le re-sponsabilità degli ispettori e dei direttori per il buon andamento delle comunità, il fervore spiri-tuale dei confratelli e dei giovani, la fecondità educativa e pastorale delle opere. Segno dell’im-portanza da lui attribuita al coinvolgimento di ispettori e direttori sono le molte lettere a loro indirizzate, il frequente contatto personale e i rilevamenti sull’andamento delle singole opere, ma anche l’accurata edizione del Manuale del direttore, S. Benigno Canavese, Scuola Tipogra-fica Salesiana 1915.

114Lettere circolari di D. Paolo Albera, pp. 214-230.

115 Lettera circolare n. 10: Contro una riprovevole «legalità» (25 giugno 1917), ibid., pp. 231-241.

116Ibid., p. 239.

117 In ASC E444, sono conservate 32 circolari a stampa, scritte tra il 19 marzo 1916 e il 24 giugno 1918.

risposte affettuose e commoventi: la spiritualità salesiana alla prova della guerra, nelle trincee e nelle caserme, rivelava tutta la sua efficacia. Fortezza d’animo e spirito di fede, zelo apostolico e servizio umile, esemplarità nel dovere e umanità cordiale, generosità e semplicità di spirito, sono i tratti dominanti che emergono da questo vasto materiale, insieme alla lista tragica e gloriosa dei caduti, soldati esemplari e religiosi fedeli118.

3.2. «Rivestiamoci dello spirito di Don Bosco»

Se il riferimento a don Bosco caratterizza tutti gli interventi formativi di don Albera, molto più insistentemente e organicamente la figura e l’esemplarità del Fondatore emergono nelle lettere degli ultimi tre anni. Don Bosco è presen-tato come modello di dolcezza paterna, qualità essenziale e qualificante del sale-siano119; come esempio di familiarità e confidenza, di zelo ardente e disinteres-sato per la salvezza dei giovani120; come incitamento allo «spirito» di fede, di pietà, di sacrificio e di lavoro costante e infaticabile121.

In particolare, tre corpose lettere scritte nell’ultimo anno di vita, presen-tano, nella contemplazione illuminata e intelligente di don Bosco, la sintesi spiri-tuale di don Albera, la sua definizione dell’identità salesiana: Don Bosco nostro modello nell’acquisto della perfezione religiosa, nell’educare e santificare la gioventù, nel trattare con il prossimo e nel far del bene a tutti (19 ottobre 1920)

122; Don Bosco modello del Sacerdote Salesiano (19 marzo 1921)123; Sulle voca-zioni (15 maggio 1921)124.

Se noi Salesiani dobbiamo essere come don Bosco «lavoratori instancabili»

e «iniziatori fecondi delle opere più adatte e opportune al maggior bene della gioventù d’ogni paese, per conservare alla Congregazione quel primato di mo-dernità che le è proprio», non abbiamo ancora il diritto di proclamarci suoi veri figli, se non quando ci spingiamo come lui a «crescere ogni giorno nella perfe-zione propria della nostra vocaperfe-zione salesiana, sforzandoci con ogni cura di rico-piare lo spirito di vita interiore del nostro Venerabile»125. Al cuore di questo spi-rito, secondo don Albera, due movimenti vanno rimarcati come costitutivi: «il

118Il carteggio è conservato in ASC B040-B046: si tratta di un materiale vasto e di grande interesse, totalmente inedito.

119Lettera circolare n. 12: Sulla dolcezza (20 aprile 1919), Lettere circolari di D. Paolo Albera, pp. 280-294.

120Lettera circolare n. 13: Per l’inaugurazione del Monumento al Venerabile D. Bosco (6 aprile 1920), ibid., pp. 308-318.

121Ibid., p. 324.

122Ibid., pp. 329-350.

123Ibid., pp. 388-433.

124Ibid., pp. 439-499.

125Ibid., pp. 334-335.

concetto animatore», che era quello «di lavorare per le anime fino alla totale im-molazione di se medesimo», e «l’atto più perfetto», che era il suo donarsi total-mente a Dio.

Siamo riportati alla sostanza di quel movimento spirituale fondamentale, prospettato ai giovani in alcune delle opere più personali di don Bosco, che con-siste non solo nel «darsi per tempo», ma nel «darsi totalmente a Dio»:

«Gettarsi in braccio a Dio e non allontanarsene mai più fu l’atto suo più perfetto. Egli lo compì quotidianamente, e noi dobbiamo imitarlo nel mi-glior modo possibile, per santificare il nostro lavoro e l’anima nostra»126. Tale movimento caratterizzante della «perfezione» salesiana fonda le virtù apostoliche ed educative, purifica le intenzioni, alimenta quel particolarissimo amore di «predilezione» verso i giovani che trasforma l’azione di don Bosco in una «pedagogia celeste»:

«Gettarsi in braccio a Dio e non allontanarsene mai più fu l’atto suo più perfetto. Egli lo compì quotidianamente, e noi dobbiamo imitarlo nel mi-glior modo possibile, per santificare il nostro lavoro e l’anima nostra»126. Tale movimento caratterizzante della «perfezione» salesiana fonda le virtù apostoliche ed educative, purifica le intenzioni, alimenta quel particolarissimo amore di «predilezione» verso i giovani che trasforma l’azione di don Bosco in una «pedagogia celeste»:

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