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Comunicazione

Mario Soldati, CORRISPONDENTI DI GUERRA,

pp. 106, € 10, Sellerio, Palermo 2009

La nascita di questo volumetto sta nel ri-trovamento di una vecchia cartella che con-teneva 57 fogli dattiloscritti, con su il titolo vergato a penna: Corrispondenti di guerra. Dentro, otto articoli dal fronte della seconda guerra mondiale firmati da Mario Soldati. E poiché in questi viaggi dietro le nostre trup-pe che combattevano con gli Alleati nella li-berazione dell'Italia dal nazifascismo vengo-no citati Bruvengo-no Romani, di "Risorgimento li-berale", e Giuseppe Sala, del "Popolo", ciò giustifica il titolo al plurale scritto sul racco-glitore. La curiosità letteraria, e comunque il recupero di materiale inedito di Soldati che si prova con il giornalismo sul campo, reggono le ragioni della pubblicazione ora, a cura di Emiliano Morreale. E così ci è possibile sco-prire che, poiché gli americani selezionava-no rigidamente i reporter e le testate, e proi-bivano ai giornalisti

del-T'Unità" di avvicinarsi al fronte, Soldati lavorava ufficialmente per l"'Avanti!", ma era anche autorizzato a spedire poi i suoi articoli pure al quotidiano co-munista. Che dire, di queste "corrispondenze"? Certamente non siamo davanti a un altro Hemingway, né a un Orwell o a una Fallaci. Di fronte al pathos e alle lacrime e al sudore che l'egemonia televisiva impone da tempo ai reporter, la scrittu-ra di Soldati appare desolata-mente piana, molto semplice. A rischio, talora, di scivolare nel banale, dello stile prima ancora che del racconto. Ma strappi improvvisi, un occhio che fruga colto dentro la

realtà, restituiscono talvolta la qualità dell'au tore.

Giorgio Bocca, È LA STAMPA, BELLEZZA! LA MIA

AVVENTURA NEL GIORNALISMO, pp. 240, € 16,50,

Feltrinelli, Milano 2008

Il sottotitolo dice molto di questo libro di Bocca. Molto, ma non tutto. Bocca raccon-ta qui, cerraccon-tamente, il suo lungo viaggio nel mondo dei giornali, partendo da "GL" - l'e-dizione torinese di "Italia Libera", l'allora quotidiano del Partito d'Azione nato dalla guerra partigiana appena spenta - per fini-re dentro la stessa cronaca dell'Italia dei giorni d'oggi, osservata attraverso la sua spietata pagina settimanale dell'"Espresso" e la colonna che talvolta (sempre più rara-mente) scrive ancora per "la Repubblica". Ma seguendo il racconto di questa "avven-tura" - lo sfoglio dei giornali, la memoria di avvenimenti straordinari, l'incontro con per-sone che hanno fatto la storia (e non sol-tanto del nostro paese) - quello che alla fi-ne salta fuori dallo sfondo dentro il quale sembra relegato è piuttosto il forte convin-cimento che il "mestiere", se non è accom-pagnato e retto da un rigoroso senso etico,

comunque i parametri di riferimento per la partecipazione della società civile al dibat-tito politico -, quello che fanno invece Vin-cenzo Susca (sociologo a Parigi, Milano e Toronto) e Derrick de Kerckhove (tra i più noti studiosi internazionali di comunicazio-ne) è spostare lo studio della democrazia e della "partecipazione" all'interno del nuovo orizzonte dove la Rete va costruendo rap-porti inediti di potere: un orizzonte in cui, seguendo appunto il titolo del volume, la politica e l'immaginario collettivo definisco-no soggetti e relazioni che attraverso l'inva-sività mediatica dilatano l'impossessamen-to del sapere e del decidere. E Berlusconi e Sarkozy vengono utilizzati come modelli interessanti di questa analisi della mutazio-ne profonda della politica.

Luciano Arcuri, CRESCERE CON LA TV E INTERNET.

D A L TELECOMANDO AL MOUSE, pp. 120, € 8,80, il

Mulino, Bologna 2008

Tra i 2 e i 18 anni di età, bimbi e ragazzi usano, o comunque si espongono al consu-mo di, mezzi di comunicazione di massa per una media di cinque ore e mezza al giorno. La tv-sitter è assai più di un (drammatica-mente) opportuno sussidiario della vita dei bambini abbandonati in casa, ma si trasfor-ma nel principale strumento di definizione dei modelli di vissuto sociale fin ben dentro l'età adolescenziale. E anche oggi che Inter-net si va guadagnando spazi sempre più ampi di frequentazione - al punto di raggiun-gere forme ossessive di contatto, unitamente con i giochi al computer e il cellulare - la te-levisione resta sempre, comunque, il territo-rio virtuale nel quale si fissano con una rice-zione tendenzialmente passiva le forme di comprensione delle relazioni interpersonali, gli schemi comportamentali, le gerarchie dei valori, le categorie dei principi. È esperienza comune la fascinazione che i piccoli "consu-matori" subiscono e i rischi ai quali li espon-gono l'iterazione dei format di violenza nella tv e la libertà esplorativa della navigazione in rete, all'interno di un percorso narrativo dove appare difficile mantenere la consapevolez-za di una distinzione tra realtà e finzione. Il pensiero comune ama spesso rifugiarsi nel difficile progetto di creare uno spazio protet-to, una sorta di ghetto felice dove rigide bar-riere impediscano la penetrazione subdola del mercato; l'autore sembra invece privile-giare un piano di lavoro più articolato, nel quale si costruisca una capacità attiva di "consumo", una sapienza gestionale che i bambini vadano apprendendo misurandosi sotto guida con le forme assai tentatrici del-l'industria dello spettacolo.

disegni di Franco Matticchio

si trasforma inevitabilmente in un servile cedimento a logiche, commerciali, di pote-re, a tentazioni narcisistiche, che finiscono per tradirne le ragioni e l'identità genetica. Sono cose che il giornalismo si dice ad-dosso, a ogni occasione, prendendosela con le tecnologie estremiste, con i doveri del mercato, con la necessità di misurarsi dentro un mondo troppo veloce e troppo li-quido, salvo poi trovare in tutte quelle cau-se le felici ragioni di un'assoluzione conso-latoria. La spigolosa severità di queste "malinconie di un ottuagenario" inchioda in-vece le colpe alla responsabilità individua-le. È l'etica, bellezza!

Vincenzo Susca e Derrick de Kerckhove,

TRAN-SPOLITICA. N U O V I RAPPORTI DI POTERE E DI

SAPE-RE, pp. 236, € 15, Apogeo, Milano 2008

Donatella Campus, COMUNICAZIONE POLITICA.

L E NUOVE FRONTIERE, pp. 144, € 16, Laterza,

Ro-ma-Bari 2008

Raccomando la lettura congiunta di que-sti due libri a tutti coloro che si interessano di politica, che lo facciano come analisti dei sistemi di governo delle società con-temporanee, o come studiosi delle relazio-ni tra logos pubblico e strumenti mediatici, 0 anche soltanto come giornalisti parla-mentari legati alla pratica delle cronache quotidiane nelle aule del potere legislativo. 1 due volumi, infatti, sebbene siano stati ideati in assoluta autonomia, si integrano come il progetto di un lavoro interdiscipli-nare che muova consapevolmente su terri-tori di ricerca dove ie similitudini di impian-to non sono comunque modificate dagli elementi reali di diversità. E se il libro di Donatella Campus, docente a Bologna di scienza politica, si muove su un piano di studio e di elaborazione che resta coerente con le forme nuove attraverso le quali il

go-vernance si propone al mercato del consu-mo del consenso deconsu-mocratico - perché an-cora le strutture della democrazia restano

Vittorio Sabadin, L'ULTIMA COPIA DEL "NEW

YORK TIMES". IL FUTURO DEI GIORNALI DI CARTA,

pp. 167, € 15, Donzelli, Roma 2007

La lotta per la sopravvi-venza ingaggiata dal quotidiano del nuovo mil-lennio nasce da un'inver-sione direzionale del flus-so informativo tra notizia e lettore che, mentre in passato era frutto di una ricerca, oggi è piuttosto l'emblema della disponi-bilità. La posta in gioco diventa il tempo, o me-glio, l'attenzione di chi legge. La causa di tutto, nell'ipotesi di Vittorio Sa-badin, sarebbe la tecno-logia. Il libro racconta di una guerra, con annessi battaglie e feriti gravi, che l'autore - una vita tra-scorsa nella redazione della "Stampa" - sta combattendo in prima linea. La morte del giornale trova spazio soltanto nel titolo, quasi scaramantico, lapide senza data; le previsioni sono infatti molteplici e in totale disaccordo reciproco: Philip Meyer, nel suo testo The Vanishing Newspaper (University of Missouri Press, 2004), dimostra matema-ticamente l'esaurimento della categoria dei lettori di quotidiani entro il primo trimestre del 2043; gii studenti della Columbia Uni-versity, in un documentario prodotto dalla School of Journalism, scommettono sul 2014. È lo stesso Sabadin a fornire la solu-zione del dilemma, il 9 febbraio 2007, alcu-ne settimaalcu-ne dopo l'uscita alcu-nelle librerie del suo saggio, riportando le dichiarazioni del-l'editore Arthur Sulzberger, con un titolo a cinque colonne sul quotidiano torinese:

2013, fuga dal N.Y. Times. Al di là di ogni congettura, va sottolineato come queste proiezioni avveniristiche mettano a nudo lo sguardo rivolto al passato della ricerca ita-liana, la quale non abbonda quanto a con-tributi recenti in questo ambito. Il saggio sopperisce alle carenze della letteratura specializzata popolandosi vivacemente di volti, esperienze, ricerche e testimonianze internazionali; se è soprattutto d'oltreocea-no che giungod'oltreocea-no segnali forieri di crisi, oc-corre riconoscere che nel vecchio conti-nente (Italia compresa) i baluardi dell'edito-ria europea hanno attuato molteplici strate-gie difensive, legate al ridimensionamento dei formati e al rinnovamento di impagina-zione e contenuti. Rimane il rischio che si tratti solo di un palliativo, mentre la vera via d'uscita potrebbe nascondersi nel rove-sciamento dei termini stessi della sfida, per dimostrare come, con ogni probabilità, la soluzione sia già parte del problema; è possibile che l'adattamento alle logiche della "ragnatela mondiale", additata da molti come trappola letale per la carta stampata, rappresenti, a conti fatti, la mos-sa vincente. A una inevitabile condizione: che non si perdano mai di vista la qualità e le responsabilità sociali del giornalismo.

N. 4 L'WDICE 0

• • D E I LIBRI D E L M E S E B H

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Florence Noiville, LA DONAZIONE, ed. orig.

2007, trad. dal francese di Doriana Comerlati, pp. 110, € 12,60, Garzanti, Milano 2009

"Certe persone si vedono sfilare davan-ti l'intera esistenza all'approssimarsi della morte. Altre nello studio di un analista. Nel mio caso, di colpo, è stato nello studio di un notaio che ho creduto di capire tutto". All'origine del racconto vi è dunque un'e-secuzione testamentaria: la donazione di una proprietà situata a Tours. Beneficia-rie: un'intellettuale di quarant'anni e sua sorella. Una formalità che riporta la prota-gonista indietro nel tempo, quando, a die-ci anni aveva dovuto prendere, per la pri-ma volta e da sola, un treno diretto all'e-stero. Episodio emblematico in quanto primo abbandono da parte dei genitori e presa di coscienza della gravità delle condizioni della madre, affetta da psicosi maniaco-depressiva. A dieci anni il mon-do le era dunque crollato admon-dosso, spin-gendola a difendersi dalla misteriosa ma-lattia materna allontanandosi dai genitori. Dapprima schivata dalla scrittura al pari di un ricordo doloroso di cui si stenta a li-berarsi, la madre emerge a poco a poco nelle pagine di questo esile testo come un personaggio fuori dal comune. Bellissima e distinta, perfezionista ossessionata dal-l'ordine e incredibilmente capace di "creare il Bello" grazie

agli oggetti di cui si circondava e nel suo curatissimo giardino, la madre era una don-na "nel reale. Non un'intellettuale che ve-de e sente le cose. Ma che fa corpo con es-se". Queste poche pa-gine, impreziosite di colti rimandi letterari, lasciano il lettore incu-riosito e ammaliato da questo personaggio nevrotico che ha tutte le carte in regola per

essere una grande eroina letteraria. Inevi-tabile chiedersi che cosa sarebbe suc-cesso se, anziché produrre un testo che analizza la psicologia della narratrice at-traverso le sue parole e i suoi pensieri, l'autrice avesse scelto di concentrarsi sul-la madre da un punto di vista esterno. Purtroppo non ci è dato saperlo.

LUIGIA PATTANO

Grégoire Bouiller, RAPPORTO SU ME STESSO,

ed. orig. 2002, trad. dal francese di Paola Val-lerga, pp. 138, € 14, Isbn, Milano 2009

Questo Rapport sur mol avrebbe dovu-to costituire la prima parte, la prima sezio-ne biografica, del secondo uscito in Italia nel 2007, sempre da Isbn, con il titolo

L'invitato misterioso. E, in effetti, proce-dendo a ritroso, ritroviamo il medesimo schema di pensiero, seppur con un tratto più angoscioso. Anche qui, è un libro l'og-getto dell'inchiesta, addirittura il classico dei classici, l'Ulisse di Omero, a costituire la tela su cui si cuciono i fatti strampalati, attraversati da una forte vena di morbo-sità, della vita del piccolo Boullier. Secon-do figlio di una coppia sposatasi giova-nissima, dopo una breve periodo algeri-no, il bambino va a vivere con i due geni-tori e il fratello, quasi sconosciuto, molto più grande, in un appartamento in un quartiere miserabile di Parigi. Qualche ra-ro momento di felicità, una felicità strap-pata alla noia e alla mancanza di denaro, una felicità bohemienne di incontri casua-li e menage sessualmente sfrenato, si al-terna alla tragedia della madre, con i suoi svariati tentativi di suicidio, e del fratello, omosessuale dichiarato, che, dopo avere tentato la fuga a San Francisco, muore di Aids. E poi la vita di adulto, i lavoretti, i pri-mi amori, il deserto di una vita affettiva-mente scomposta. Ciò che sostiene il

ra-gazzo, e poi l'uomo, è un sorta di agnizio-ne, di riconoscimento protondo nella lette-ratura. Come se le coincidenze dell'esi-stenza trovassero forma definitiva in un te-sto particolare: "Ciascuno è libero di pen-sare ciò che vuole, ma credermi un Ulisse inedito era meglio di scambiarmi per un uomo moderno. Finzione per finzione, la mia mi restituiva la libertà di movimento. Mi conferiva il potere di dire di no alle leg-gi burlesche di questo mondo". La scrittu-ra, sempre tesa, chiarissima, è il migliore strumento che Bouiller possa usare per sezionare i propri ricordi e innalzarli oltre la banalità di tutta l'onda autobiografica che in Francia continua a produrre pessi-me prove.

CAMILLA VALLETTI

Joe Stretch, FRICTION, ed. orig. 2007, trad.

dall'inglese di Laura Noulian, pp. 293, € 17, Feltrinelli, Milano 2008

Un linguaggio realistico, ricco di me-tafore e di immagini tratte dalla vita quoti-diana, per parlare di ciò che in genere, in letteratura, viene solo evocato, se non ad-dirittura edulcorato o idealizzato: il sesso nella sua più cruda fisicità, qui presentato come un rituale ormai insulso,

completa-mente scisso dal senti-mento, meccanizzato, distorto, estremizzato, spersonalizzato. Sullo sfondo un'arida Man-chester, di cui si rico-noscono le vie dello shopping e i locali più noti, ma che per il resto potrebbe essere una qualunque città occi-dentale, con le strade del centro solcate da una moltitudine di gio-vani dal look impecca-bile e con le idee chia-rissime su come tra-scorrere il sabato sera, ma a cui, alla fin fi-ne, sfugge il senso generale di questa grande giostra del consumo e del diverti-mento. "L'esistenza: uno sbadiglio dissi-mulato. Un tedio stupefacente che fa ca-lare una tenda di cotone leggero attorno al cervello, che fa vedere la vita come un disastro privo di coerenza". In questo pa-norama disperante e incolore, il sesso ap-pare come unico anestetico, unico rime-dio e unica meta possibile, ma la sua pra-tica ossessiva induce a entrare in territori ancora più impervi, contrari alla morale comune, bersaglio sicuro della censura e delle autorità in questa Inghilterra amora-le ma conservatrice. In quei territori Joe Stretch si avventura con insolita audacia e schiettezza, dimostrandosi anche origina-le nell'immaginare il tetro futuro che po-trebbe fondarsi su simili premesse. Pec-cato per i numerosi refusi che saltano al-l'occhio con sconcertante frequenza, per-sino nella quarta di copertina.

ILARIA RIZZATO

Jakob Arjouni, KLSMET/DESTINO, ed. orig.

2001, trad. dal tedesco di Lisa Scarpa, pp. 272, € 15, Marcos y Marcos, Milano 2008

Jakob Arjouni, noto drammaturgo tede-sco che usa il cognome della prima mo-glie turca, esordì giovanissimo nel 1985 con Happy Birthday, turco!, che venne fil-mato da Doris Dòrrie e rivitalizzò il noir te-desco introducendo un detective di origi-ne turca. Oggi la maggiore comunità straniera è ben rappresentata anche in tv, si vedano le serie Squadra speciale

Cobra 11 e Kebab a colazione, trasmes-se anche in Italia, appunto con un poli-ziotto turco come protagonista. Questo è il quarto romanzo dell'investigatore priva-to Kemal Kayankaya, pubblicapriva-to come i precedenti da Marcos y Marcos, sulla

scia del clamoroso successo in Gran Bretagna, paese notoriamente imper-meabile ai gialli europei, avendo una pro-duzione autoctona di tutto rispetto. L'a-zione parte dalla richiesta di aiuto di un ri-storatore brasiliano contro gli esattori del pizzo nel quartiere a luci rosse intorno al-la stazione di Francoforte. La mafia si è fatta sempre più intemazionale e brutale, e questa volta Kemal corre davvero il ri-schio di lasciarci la pelle. L'organizzazio-ne tedesco-bosniaca che ha preso il so-pravvento nel quartiere si serve di ta-glieggiatori muti con il viso incipriato e parrucche bionde. Nel corso dell'investi-gazione, Kayankaya si imbatte in una ra-gazzina serbo-croata in cerca della ma-dre che ha imparato il tedesco dai porno. Le due vicende sono strettamente e tra-gicamente collegate: questo il "destino" del titolo. Il romanzo è fedele al genere, esagerato, talvolta grandguignolesco, ma ciò che colpisce maggiormente in Kayankaya, detective stazzonato, fuma-tore e bevifuma-tore, perennemente al verde, coraggioso e con un gran cuore, è il suo spirito: non ci si aspetterebbe di ridere in un hard boiled, per di più tedesco.

MARINA GHEDINI

Friedrich Glauser, OUTSIDER, trad. dal

francese di Sandro Bianconi, trad. dal tedesco e prefaz. di Gabriella de' Grandi, pp. 67, € 8,50, Casagrande, Bellinzona 2008

Anche questi quattro racconti dello svizzero Friedrich Glauser (due scritti in francese e due in tedesco), ora riportati alla luce, nascono all'insegna di un irrime-diabile male di vivere. Il primo, Nouvelle, come informa Gabriella de' Grandi nella premessa, è del 1915, ed è opera di un autore ancora ventenne, ma già con un tentativo di suicidio alle spalle. Dal primo testo, più acerbo, fino agli altri, via via più maturi, Glauser ingaggia un corpo a cor-po con la figura del padre e/o con quella dell'autorità volta per volta diversamente incarnata: la legge, il manicomio, la chie-sa. Nel primo, il padre misogino spiana con le sue parole la strada alla prima de-lusione amorosa del figlio che, scoperta con un altro la ragazza di cui era innamo-rato, scrive i primi versi, versi "aspri e amari, colmi di disgusto per la vita". Negli altri si sviluppa invece un ininterrotto soli-loquio dinnanzi a presenze allucinatorie {Il

piccolo e Tre notti) o un monologo rivolto al proprio psichiatra (Outsider). Ora è pro-prio il padre a parlare, lamentando la scomparsa del figlio con il quale, è vero, era troppo duro, come suo padre stesso era stato con lui (un padre però non può essere amico del figlio), scontando la so-litudine davanti a un dio silenzioso come quello di Camus. Ora è il figlio che, come in uno specchio, o con gli occhi rovescia-ti all'interno per osservarsi il cervello, esplora la propria coscienza di parricida e, nella critica della famiglia, invoca il Cri-sto che era venuto a separare il figlio dal padre: "Perché era l'unico a conoscere le radici del male di cui soffriamo". Fulminea considerazione che anticipa la concezio-ne patogena dei legami parentali di un David Cooper e del suo La morte della

fa-miglia. Il padre è qui il detentore di un po-tere che vorrebbe a sua volta reprimere e sopprimere, il portatore di una legge mo-rale inflessibile perché in qualche modo consapevole della propria labilità. Legge che, come in Kafka, fa paura.

ENZO REGA

pietra che parla. I suoi compatrioti, entu-siasti, hanno scomodato addirittura Kafka e Borges per i paragoni di rito. Né sono mancati, tra i recensori, quanti abbiano individuato, in poche decine di pagine, una mirabile metafora della recente storia europea. Lo spunto di partenza è

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