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L’inizio: un atto di elezione

«Tutti i popoli antichi hanno i loro dei, ma il dio d’Israele si distingue da tutti gli altri per il fatto che, primo fra tutti, crea con un atto di elezione, unico, […] il popolo che lo adora. […] Ai primordi di tutto sta innanzi tutto la libera iniziativa divina […]. “Il Signore si è compiaciuto di voi e vi ha scelti, non perché eravate un popolo più numeroso di tutti gli altri popoli […], ma perché il Signore vi ama”.»41

È attraverso l’esperienza di essere scelti che si può conoscere Dio. Lo esprime in modo solare il dialogo di Mosè con Dio: «Hai detto [è Mosè che sta rivolgendosi a Dio]: “Ti ho conosciuto per nome, anzi hai trovato grazia ai miei occhi”. Ora, se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi, indicami la tua via, così che io ti conosca e trovi grazia ai tuoi occhi».42

39 Benedetto XVI, Lettera enciclica Spe salvi, 24.

40 H.U. von Balthasar - L. Giussani, L’impegno del cristiano nel mondo, Jaca Book, Milano 2017.

41 H.U. von Balthasar, «Significato dell’antica Alleanza», in ibidem, p. 31.

42 Es 33,12-13.

Conoscere significa trovare grazia ai Suoi occhi, essere preferiti da Lui.

«L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio”.»43 È la preferenza, l’iniziativa che Dio prende, non una capacità dell’uomo, ciò che fonda la possibilità di conoscerLo e di conoscersi.

Ciascuno di noi, la faccia di ciascuno di noi «è» questa preferenza, que-sto geque-sto assolutamente unico di preferenza. Come dice von Balthasar:

«L’amore che Dio mi rivolge fa di me quello che io sono in verità e de-finitività: esso stabilisce l’Io che Dio vuole vedere davanti a sé e avere per sé, rivolto a sé. L’amore che sceglie rende persona irripetibile il vago

“Soggetto” o “Individuo” che l’uomo sarebbe in se stesso. Dio è assoluta-mente unico e mentre egli mi concede il suo amore che sceglie, in questo raggio rende unico anche me».44 Che impressione sentir dire queste cose!

«La libera scelta e iniziativa di Dio restano [dunque] la forma concreta in cui la grazia appare tra gli uomini. Si potrebbe credere che questa im-motivata, sovrana azione di Dio la contrassegni come un arbitrario potere sovrano e degradi perciò l’uomo a servo condannato alla sola obbedien-za, ma la libera scelta non è innanzi tutto dimostrazione di potenobbedien-za, ma di amore.» Lo scopo della Sua grazia non è rendere l’uomo schiavo di un nuovo potere, ma la sua liberazione. «L’azione di Dio è la mia libe-razione. Che egli mi abbia liberato dalla casa di schiavitù d’Egitto non può avere lo scopo di condurmi in una nuova schiavitù, nella sudditanza sotto Jahwe, bensì solo: di condurmi, attraverso la sequela del libero Dio, alla mia […] libertà. Il fondamento dell’elezione: la libertà di Dio deve coincidere con lo scopo dell’elezione che è la partecipazione alla libertà stessa di Dio.»45

Come fa l’uomo – cioè ognuno di noi – a verificare se queste sono parole dette a vanvera o se è vero che lo scopo dell’iniziativa di Dio è la propria liberazione? La risposta a questa domanda caratterizza lo svelarsi di Dio nella storia: la verifica della promessa di liberazione fatta da Dio è la nostra partecipazione alla libertà stessa di Dio. Io so che conosco Dio perché mi rende libero. Ma a una condizione: accoglierlo. Occorre la mia risposta, la mia accoglienza della Sua preferenza, perché la mia liberazione non può darsi senza di me. Per liberarmi Dio ha bisogno della mia libertà. «Se il fatto della scelta di Dio è primariamente tale amore insondabile, la risposta che attende, anzi di cui ha bisogno, è […] un “sì”

che segue e obbedisce con docilità e disponibilità, […] per

contraccam-43 Lc 1,30.

44 H.U. von Balthasar, «Significato dell’antica Alleanza», in Ibidem, p. 38.

45 Ibidem, p. 32.

bio riconoscente d’amore.» E solo se il popolo asseconda la scelta potrà vedere il compiersi della promessa: «Dio condurrà il popolo fuori dall’E-gitto, gli farà passare il mare, farà annegare gli inseguitori, lo nutrirà e lo abbevererà miracolosamente nel deserto. Passerà come nuvola di fuoco e di fumo segnandogli le tappe: dove e quando si fermerà la nuvola, là deve accamparsi il popolo; quando si metterà in movimento dovrà togliere le tende e proseguire seguendo sempre Dio». È impensabile che i due fattori in qualche momento si possano capovolgere, invertire, e «che Israele una volta si assuma la guida e Dio segua dietro il popolo. Docilità e intesa con le vie di Dio che compie la scelta sono le prime doti che si esigono da Israele. […] Tutta l’obbedienza è educazione a questa libertà. “Siate santi come Io sono santo”, compreso rettamente […] significa: “Siate liberi come io sono libero”». Essere santi, essere liberi significa allora «porre liberamente la propria fiducia sulla libertà di Dio».46 È la condizione ri-chiesta dal Signore per essere veramente liberi.

Ma questo implica, osserva acutamente von Balthasar, che l’inizio non può diventare «mai passato». L’inizio è «la fonte da cui non ci si può mai scostare. Anche dopo, appena dopo, quando ci saranno già le conseguen-ze, la premessa non potrà essere dimenticata neppure per un attimo. La nostra libertà è inseparabile dall’essere stati liberati».47

La nostra libertà è inseparabile dall’essere costantemente liberati, ieri come oggi: «Caro Carrón, arrivo da un periodo complicato. C’è stato un momento in cui ho pensato che seguire Cristo non servisse più e mi sono allontanata pensando che in fondo non sarebbe cambiato niente. Ma poi ho iniziato a vivere male, tutto risultava insufficiente. E non è che non mi accorgessi di tutto quel malessere e della mia tristezza, ma avevo paura di ammetterlo. Avevo paura di ammettere che io in fondo ho solo bisogno di sentirLo presente nella mia vita, ho bisogno di Lui per accettare circo-stanze che vanno solo accolte. Non ti parlo di un’accettazione rassegnata della realtà. Ti parlo di una modalità nuova di affrontare nuove circostan-ze. Così ho ceduto, sono tornata e ho iniziato a vivere di nuovo. Se manca questa compagnia, se manca Cristo presente è impossibile vivere». Stac-cati da Lui, la nostra vita va in malora.

Nel momento in cui ci impadroniamo della nostra libertà, dimentican-do che ci è dimentican-donata istante dimentican-dopo istante, noi la perdiamo, perché essa è inseparabile dal fatto di essere liberati. È questo che non bisogna mai dimenticare. «Quando il Signore Dio tuo ti avrà introdotto nella terra che

46 Ibidem, pp. 32-33.

47 Ibidem, p. 33.

giurò ai tuoi padri […] guardati bene dal dimenticare il Signore che ti ha tratto dall’Egitto, dalla casa di schiavitù.»48 Tutto l’intento pedagogico di Dio è precisamente quello di condurre il popolo a questa consapevolezza:

la nostra libertà è inseparabile dall’essere costantemente liberati; perciò da quella sorgente, che è la Sua azione, la Sua preferenza, la Sua presen-za, non ci si può mai scostare. Come cambierebbe tutto, se ne avessimo consapevolezza!

Se non cogliamo il metodo di Dio, se non riconosciamo il nesso tra la nostra esperienza di libertà e la Sua iniziativa, inevitabilmente ci sposte-remo dall’origine. Come? Dandola per scontata, trattandola come qual-cosa di già saputo. Ma che qual-cosa ce ne facciamo del già saputo davanti alle circostanze che ci incalzano? Ci accorgiamo però che la tentazione kan-tiana è anche la nostra: scostarci dalla fonte, riducendo la vita criskan-tiana a dottrina cristallizzata o a etica.49 Ma la vita cristiana è sempre un dono gratuito, libero, di Dio a noi, sorge sempre di nuovo dalla Sua iniziativa presente, dal Suo riaccadere ora, e scostarci da questa fonte, riducendola a ciò che abbiamo in testa noi, alle nostre interpretazioni, significa ritornare alla schiavitù, volenti o nolenti. Per questo, come dicevamo ieri citando don Giussani, l’errore fondamentale è dare per scontata la fede, dare per scontato il punto sorgivo di tutta la novità che sperimentiamo nella vita.

A questa tentazione soccombe di continuo anche il popolo di Israele.

Invece di assecondare Dio che opera nel presente, di seguire la Sua indi-cazione, decide di fare da sé. È una consolazione vedere che, esattamente come noi, il popolo di Israele ha dovuto imparare, passo dopo passo, cadendo continuamente, il metodo di Dio. È molto illuminante il caso del re Saul. Totalmente determinato dalla paura per l’imminente vittoria dei Filistei, decide di non aspettare il profeta Samuele, come gli aveva comandato Dio, e offre lui stesso il sacrificio. La situazione urge, i nemici stanno sconfiggendo il popolo, dunque egli procede! Al suo arrivo, Sa-muele rimprovera Saul: «Hai agito da stolto, non osservando il comando che il Signore, tuo Dio, ti aveva dato».50 Saul non ha capito. Partendo dal-la sua analisi deldal-la situazione, pensava di avere inteso il senso del coman-do del Signore, ma aveva dimenticato che il protagonista era un Altro. A

48 Cfr. Dt 6,10-12.

49 «Si può infatti tranquillamente credere che, se il Vangelo non avesse insegnato prima le leggi etiche universali nella loro integra purezza, la ragione non le avrebbe conosciute nella loro compiu-tezza, sebbene adesso, dato che ormai esistono, ognuno può esser convinto della loro giustezza e validità mediante la sola ragione» (I. Kant, «Lettera a F.H. Jacobi, 30 agosto 1789», in Id., Questio-ni di confine, Marietti 1820, Genova 1990, p. 105).

50 1Sam 13,13.

Dio infatti non interessava il sacrificio, bensì che il popolo cominciasse a capire e a fidarsi di Lui.

È questo il criterio che permette di verificare se il popolo di Israele par-te dall’avvenimento che gli è capitato – la preferenza di Dio, la Sua ini-ziativa verso di esso – o da una impressione delle cose: come affronta il reale. La sua storia mostra che in tante occasioni la presunzione di potersi aprire da sé la strada verso la libertà lo ha riportato inesorabilmente alla schiavitù. Vale anche per noi. Il riscontro è immediato, ed è sperimenta-bile sulla nostra pelle: pretendere di farci strada verso la libertà a partire delle nostre impressioni o analisi ci conduce sempre a una qualche forma di schiavitù.51

2. «Da questi fatti saprai che io sono il Signore»

Come il Signore si fa conoscere fino al punto di entrare nelle viscere del popolo, diventando familiare? Attraverso un metodo ben preciso: un’ini-ziativa continua nella storia, che ha come scopo far sapere chi Egli sia, non nei termini di una definizione teorica, ma come Presenza reale, che si prende cura del Suo popolo. Colpisce come la Bibbia leghi l’esperienza del popolo di Israele alla conoscenza di Dio. Nessuna astrazione, nessuna cristallizzazione in dottrina, ma una promessa che diventa realtà storica.

Si tratta di esperienza pura, verificata, perché l’esperienza non è tale se non giunge fino al riconoscimento dell’origine che la rende possibile.

Dio si rivolge a Mosè: «Di’ agli Israeliti: “Io sono il Signore!”». Da che cosa possono vederlo, come possono riconoscerlo? Ecco la risposta: «Vi sottrarrò ai lavori forzati degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi riscatterò con braccio teso e con grandi castighi. Vi prenderò come mio popolo e diventerò il vostro Dio. [Così] saprete che io sono il Signore, il vostro Dio, che vi sottrae ai lavori forzati degli Egiziani. Vi farò entrare nella terra che ho giurato a mano alzata di dare ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe; ve la darò in possesso: io sono il Signore!».52 Nel compiersi della promessa il popolo ha la verifica di chi è veramente Dio: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condi-zione servile».53

È questo che Israele ha imparato per esperienza e che deve custodi-re. Dio, infatti, invita ogni membro del popolo a «fissare nella memoria

51 Cfr. H.U. von Balthasar, «Significato dell’antica Alleanza», in Ibidem, pp. 33-34.

52 Es 6,6-8.

53 Dt 5,6.

[…] i segni che ho compiuti in mezzo a loro: così saprete che io sono il Signore!».54 Solo se questo agire di Dio viene giudicato, riconosciu-to e conservariconosciu-to vivo nella memoria, esso potrà determinare l’azione di ognuno e dell’intero popolo, costituire il punto sorgivo del porsi davanti a tutto. Tutta l’etica, infatti, tutto il modo di porsi davanti al reale, «scatu-risce necessariamente dal fondamento religioso», cioè da questo agire di Dio. Perché «non è il mio rapporto verso Dio, bensì il rapporto di Dio nei miei confronti. La sua azione salvifica fonda tutto, e questo tutto include contemporaneamente me e il mio popolo».55

Perciò la libertà del popolo si esprime in una risposta che sorge sempre di fronte all’iniziativa di Dio e trova in essa la sua origine: «Poiché io sono il Signore, che vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto per essere il vostro Dio; siate dunque santi, perché io sono santo».56 Un invito che, come richiamava von Balthasar, significa: «Siate liberi come io sono li-bero». Poiché Dio si è dimostrato così vero, reale, incidente, fino al punto di dare compimento alla Sua promessa di liberazione, gli israeliti sono stati liberati dall’idolatria e possono essere liberi: «Non rivolgetevi agli idoli», non ne avete bisogno, «non fatevi divinità di metallo fuso. Io sono il Signore, vostro Dio».57

Un altro punto non ci deve sfuggire: la conoscenza di Dio non si rea-lizza malgrado la ribellione del popolo, ma passando attraverso di essa. Il Signore si fa conoscere proprio rispondendo alla ribellione e alla dimen-ticanza, come è accaduto davanti alla mormorazione di Israele. Dio usa questa occasione per sfidare il suo popolo con una nuova iniziativa: «Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così [dice a Mosè]: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore”».58 È la modalità costante attraverso cui Dio si fa co-noscere dal suo popolo. Da questo «sapranno che io sono il Signore, loro Dio, che li ho fatti uscire dalla terra d’Egitto». E subito dopo aggiunge:

«Per abitare in mezzo a loro, io il Signore, loro Dio».59

Lo scopo è cioè che la Sua presenza diventi familiare – «abitare in mez-zo a loro» –, perché solo la progressiva conoscenza di Dio, una sempre più grande certezza della Sua presenza, permetterà loro di affrontare le circostanze senza paura: «Poiché io sono il Signore, […] ti dico: “Non

54 Es 10,2.

55 H.U. von Balthasar, «Significato dell’antica Alleanza», in Ibidem, p. 38.

56 Lv 11,45.

57 Lv 19,4.

58 Es 16,12.

59 Es 29,46.

temere”».60 Ma uno non smette di temere solo perché qualcuno gli dice:

«Non temere!». Occorre che tale presenza sia entrata nelle viscere del suo io e deve trattarsi di una presenza che si è dimostrata credibile all’interno di una storia. Solo una storia vissuta può costituire infatti la base adeguata della fiducia. Tutto quanto Dio ha fatto e fa è «perché tu sappia che io sono il Signore» e tu possa fidarti di Lui. Altrimenti sono parole dipinte sul muro.

In forza di una continua verifica il popolo giunge pertanto a conoscere sempre più chi è il suo Signore: «Ti consegnerò tesori nascosti / e ricchez-ze ben celate, / perché tu sappia che io sono il Signore, / Dio d’Israele, che ti chiamo per nome». 61 Dio elargisce tesori e ricchezze al suo popolo perché esso sappia che Lui è il Signore, perché possa conoscerLo sempre di più per quello che è e diventare familiare con Lui, abbandonandosi fiduciosamente a Lui. E, d’altra parte, proprio la familiarità con Lui rende accessibili profondità nuove, nascoste ai più, nel rapporto con la realtà.

Purtroppo il popolo d’Israele spesso non comprende, si dimostra cieco e ottuso. Come dice la similitudine usata dal Signore: «Il bue conosce il suo proprietario / e l’asino la greppia del suo padrone, / ma Israele non conosce, / il mio popolo non comprende».62 Il popolo di Israele non ca-pisce, si irrigidisce continuamente nella sua presunzione, cede alla tenta-zione di fare di testa propria. Dio conosce troppo bene le sue creature e sa che se la Sua azione, la Sua iniziativa, non arriverà a raggiungere il cuore, resterà fuori dell’uomo e questi, di conseguenza, non Lo conoscerà per esperienza – una esperienza intima, personale, profonda, che non possa più essere cancellata, che giunga fino al punto di determinare il suo modo di vivere il reale −. Perciò, per fronteggiare questo ostacolo prende una iniziativa nuova: «Darò loro un cuore per conoscermi, perché io sono il Signore; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio, se torneranno a me con tutto il cuore».63 Così «riconosceranno che io sono il Signore, loro Dio. Darò loro un cuore e orecchi che ascoltino».64

Dio stabilirà con il Suo popolo una nuova alleanza, che arrivi fino al cuore: «Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni − oracolo del Signore −: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore».65 «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi

60 Is 41,13.

61 Is 45,3.

62 Is 1,3.

63 Ger 24,7.

64 Bar 2,31.

65 Ger 31,31-33.

uno spirito nuovo»,66 un cuore che si lasci invadere e determinare dalla Sua presenza.

Gli israeliti potranno riconoscere la novità di questa alleanza dalla no-vità dei suoi frutti, secondo il metodo con cui Dio li ha educati a rico-noscerLo presente; attraverso di essi sapranno chi è il Signore. «In quel giorno io farò germogliare una forza per la casa d’Israele e ti farò aprire la bocca in mezzo a loro: sapranno che io sono il Signore.»67 «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio»,68 così che non viviate più le circostanze come una tomba.

Dio prende una iniziativa nuova per sconfiggere il formalismo con cui il popolo si rapporta a Lui. «Dice il Signore: “Poiché questo popolo si avvi-cina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un impara-ticcio di precetti umani, perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo; perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti.»69 Se la relazione con Dio è formale – con la bocca e le labbra –, il popolo non conosce il Signore; il suo cuore, che è l’organo di conoscenza e adesione, è lontano da Lui, il rapporto con Lui è ridotto a precetti umani. Impressionante! Ma questo non ferma il Signore, che prende di nuovo iniziativa – «Eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo» –, in modo tale che lo stupore sia di nuovo possibile, e così Israele Lo conosca veramente e possa fidarsi di Lui. La via non sarà quella dei «sapienti» e degli «intelligenti»: «Perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti».

Siamo all’albore di un nuovo giorno.

3. «Radicalizzazione» dell’impegno di Dio con l’uomo

Che cosa ha fatto Dio per aiutarci a vincere il formalismo, questa lon-tananza in cui il nostro cuore lo tiene e a cui tante volte soccombiamo?

Che cosa ha fatto per rendere più facile la conoscenza di Lui? Ha preso un’iniziativa audace: si è coinvolto con l’uomo fino a diventare uomo Lui stesso. È l’avvenimento dell’Incarnazione. In Gesù Dio è diventato una

66 Ez 36,26.

67 Ez 29,21.

68 Ez 37,12-13.

69 Is 29,13-14.

«presenza affettivamente attraente»,70 al punto da sfidare come nessun al-tro il nosal-tro cuore. All’uomo basta cedere all’attrattiva vincente della Sua persona. Come accade all’innamorato: è la presenza affascinante della persona amata che desta in lui tutta la sua energia affettiva; gli basta ce-dere al fascino di colei che ha davanti. Ecco perché i suoi discepoli subito

«presenza affettivamente attraente»,70 al punto da sfidare come nessun al-tro il nosal-tro cuore. All’uomo basta cedere all’attrattiva vincente della Sua persona. Come accade all’innamorato: è la presenza affascinante della persona amata che desta in lui tutta la sua energia affettiva; gli basta ce-dere al fascino di colei che ha davanti. Ecco perché i suoi discepoli subito