L’aterosclerosi è la malattia più diffusa e la prima causa di morte nei paesi occidentali, a causa della parziale o totale ostruzione del lume vasale dovuta alla formazione e progressione di placche ateromatose e dello sviluppo di un trombo a seguito della rottura della placca. La angioplastica percutanea transluminare coronarica, PCTA (Percutaneous Transluminal Coronary Angioplasty), è il tipo di intervento maggiormente utilizzato che, attraverso la rimozione delle ostruzioni, si prefigge di ripristinare la pervietà del vaso e il flusso sanguigno. Sfortunatamente, il 30-‐ 40% dei pazienti sottoposti a PTCA mostrano una rapida riocclusione del vaso (restenosi), a seguito di iperplasia delle cellule della parete del vaso con la formazione di un nuovo strato di tessuto all’interno del lume definito neo-‐intima. Lo sviluppo tecnologico di dispositivi metallici deformabili impiantabili (stent) in grado di assicurare la persistenza dell’effetto dell’angioplastica ha permesso di ridurre significativamente la percentuale di casi di restenosi. Tuttavia, questo fenomeno è ancora molto frequente ed è dovuto ad una eccessiva risposta delle cellule allo stimolo verso la riparazione del danno parietale causato dall’angioplastica e dall’impianto dello stent. L’avvento dei drug-‐eluting stents (DES), ovvero stent a rilascio controllato di farmaco, ha fornito una ulteriore considerevole riduzione dell’incidenza della restenosi. I più recenti dati sperimentali e clinici, collezionati negli ultimi anni sui drug-‐eluting stents, mostrano, tuttavia, l’evidenza che, nonostante si registri una riduzione nella quota di restenosi, i DES non possono evitare effetti gravi come trombosi, infarto del miocardio, morte. La causa di questi eventi è stata attribuita agli effetti collaterali a lungo termine dei farmaci citostatici (principalmente rapamicina e taxolo) che, non essendo cellula-‐ specifici, prevengono non solo l’ipertrofia delle cellule muscolari lisce (effetto voluto) ma anche la riparazione dell’endotelio (effetto indesiderato) in corrispondenza del danno sulla parete del vaso. In effetti, il posizionamento dello stent è frequentemente responsabile della denudazione endoteliale, della rottura della lamina elastica e della disaggregazione della matrice extracellulare [Morice et al., 2002; Sousa et al., 2003; Lerman et al., 2006; Cook et al., 2009]. I danni della parete causano l’esposizione delle cellule muscolari lisce vasali (VSMC) ai fattori circolanti inclusi i fattori di crescita, le citochine, le chemochine, gli agenti infiammatori. Questa serie di agenti innesca segnali che inducono la modulazione fenotipica delle VSMC che acquisiscono uno stato meno specializzato caratterizzato da una estesa attività proliferativa e di migrazione [Cecchettini et al.,2011]. A causa degli effetti collaterali gravi spesso osservati con il rilascio di agenti citostatici da parte dei DES fino ad oggi usati, la loro sicurezza è stata messa in discussione.
Di conseguenza, l’identificazione di agenti capaci di bloccare in modo selettivo la mobilità delle sole VSMC è considerato di massima utilità contro la restenosi. I meccanismi che governano la mobilità cellulare sono rappresentati da una serie di eventi condivisi da diverse manifestazioni patologiche quali le malattie oncologiche,
infiammatorie, cardiovascolari (aterosclerosi, restenosi, angiogenesi)[Horwitz et al., 2003]. La mobilità cellulare è mediata da un complesso fenomeno di di interazioni molecolari multiple fisiche e chimiche sia interne alla cellula che nell’ambiente circostante [Ridley et al., 2003]. Focalizzandoci su applicazioni terapeutiche destinate alla restenosi, l’azione di agenti che mirano a colpire la mobilità delle VSMC non dovrà interagire negativamente con i processi fisiologici di altre cellule e tessuti per non innescare gli effetti collaterali negativi descritti in precedenza con i DES. Per questo motivo, il bersaglio dell’agente terapeutico in esame dovrà riguardare preferibilmente i primi momenti dell’attivazione e dovrà essere colpito in maniera estremamente selettiva.
In questo scenario, l’approccio della terapia genica potrebbe rappresentare la giusta scelta potendo essere selezionato verso l’inibizione di bersagli specifici distintivi dei diversi tipi cellulari. Gli oligonucleotidi sintetici sono largamente utilizzati per ottenere una specifica perdita di funzione genica e possono risultare utili sia per studi molecolari che per scopi terapeutici. Fra le diverse molecole a base oligonucleotidica, i decoy a DNA rappresentano uno strumento promettente nella regolazione dell’espressione genica, poiché agiscono a livello trascrizionale [De Stefano et al., 2010]. I decoy, infatti, sono corte molecole di DNA a doppio filamento che mimano il sito di legame dei fattori di trascrizione. La loro somministrazione alle cellule permette la rimozione competitiva dei fattori di trascrizione dagli elementi regolatori di specifici geni, bloccandone o riducendone la loro trascrizione. Colpire i fattori di trascrizione è una strategia emergente poiché si tratta di un’ampia classe di proteine cruciali nell’attivazione di geni coinvolti in patologie acute e croniche comprese il cancro, le malattie infiammatorie, la malattia cadiovascolare [Brennan et al., 2008]. Il blocco dei fattori di trascrizione attraverso la tecnologia dei decoy è stata recentemente descritta in modelli terapeutici di malattia cardiovascolare. La somministrazione “in vivo” di un decoy specifico per NFkB è stata infatti riconosciuta capace di ridurre la risposta infiammatoria e l’espressione di molecole di adesione in modelli di topi con aterosclerosi [Kim et al., 2010]. In modo simile, il trattamento “ex vivo” con un decoy per Egr-‐1 inibisce l’iperplasia della tunica intima negli interventi di trapianto venoso nel coniglio [Peroulis et al., 2010]¸ inoltre, l’inibizione dell’iperplasia dell’intima è stata descritta anche a seguito della somministrazione del decoy Egr-‐1 nel modello di danno da endoscopia nel topo[Han et al., 2010].
La sfida da affrontare nell’attuazione di una terapia genica a base di oligonucleotidi sintetici è dovuta soprattutto alle difficoltà nell’internalizzazione cellulare degli oligonucleotidi e alla loro breve persistenza nei fluidi biologici. La ricerca di base è dunque chiamata a superare queste difficoltà attraverso la progettazione e la convalida dell’efficienza di dispositivi molecolari di veicolazione e rilascio dei farmaci genetici.
Infatti, il successo di qualsiasi trattamento medico dipende non solo dalle proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche dell’agente terapeutico, ma in un discorso più ampio, dalla biodisponibilità nel sito d’azione [Allen et al., 2004; Aghiotri et al., 2004; Aminabhavi et al., 2001; Roney et al., 2005]. Numerosi sistemi per il rilascio di farmaci, DDS (drug delivery systems), sono stati progettati per incrementare le proprietà farmacologiche e terapeutiche di farmaci somministrati per via parenterale.
Recentemente, sono stati sviluppati nuovi sistemi di veicolazione su base cellulare. Infatti l’uso di cellule come veicoli terapeutici ha portato alla realizzazione di un nuovo approccio strategico nel campo della veicolazione [Pierigè et al.,2008; Cestmir 2008; Gorantla et al., 2006; Studeny et al. 2002 e 2004]. I veicoli su base cellulare sono, infatti, particolarmente affascinanti per il trasferimento di agenti terapeutici, che hanno una breve emivita, una scarsa penetrazione tissutale e che vengono rapidamente inattivati una volta che vengono introdotti “in vivo”. E’ noto che i sistemi di veicolazione basati sulle cellule possiedono numerosi vantaggi tra cui i prolungati tempi di rilascio, il direzionamento del farmaco in compartimenti cellulari specializzati, l’elevata biocompatibilità, pertanto rappresentano una prospettiva sicuramente attraente da potere applicare in diversi ambiti clinici.
Il comportamento delle cellule sanguigne, come sistema di veicolazione per diverse classi di molecole (proteine, DNA, RNA, enzimi, peptidi e altri), è stato ampiamente studiato le cui proprietà rendono tale approccio unico e di larga utilità [Hamidi et al., 2002; Rossi et al.,2005; Provotorov, 2009]. Di recente, nel tentativo di aumentare il direzionamento e l’efficacia nel rilascio intracellulare dei composti terapeutici a livello delle cellule bersaglio, è stato sviluppato un innovativo sistema basato sugli eritrociti e controllato dall’applicazione di appropriati campi magnetici [PCT Patent 2010]. Un recentissimo sviluppo di questo tipo di veicolo prevede, oltre all’incapsulamento del farmaco e di particelle superparamegnetiche all’interno dell’eritrocita, l’inserimento al livello della membrana citoplasmatica di una proteina fusogenica di origine virale. Questo nuovo sistema denominato EMHV (Erythro-‐Magneto-‐HA Virosomes) ha la possibilità di essere localizzato nel sito di interesse sotto il controllo magnetico e che possiede una alta capacità di fondersi con le cellule bersaglio. È stato dimostrato che questo tipo di veicolo, applicato in campo oncologico, è capace di aumentare la biodisponibilità del farmaco al sito d’azione, migliorando dunque la farmacocinetica [Cinti et al., 2011].
Questo nuovo sistema basato sugli eritrociti, oltre alle neoplasie, può essere di utile applicazione in diversi campi clinici come nelle manifestazioni pato-‐fisiologiche a livello cardiovascolare, poiché gli eritrociti sono potenzialmente biocompatibili per diverse sostanze bioattive, tra cui farmaci, pro-‐farmaci, enzimi, oligonucleotidi e peptidi.
Il lavoro descritto in questo capitolo, ha riguardato una strategia per la perdita di funzione decoy-‐dipendente avente come bersaglio il fattore di trascrizione Elk-‐1. Il decoy che è stato usato è un DNAa singolo filamento lungo 56 nucleotidi che si struttura spontaneamente per ricostituire il sito di consenso di legame a doppio filamento per il fattore di trascrizione Elk-‐1 [Janknecht et al., 1992].
La scelta di inibire per competizione l’azione del fattore di trascrizione Elk-‐1 è motivata dal suo accettato ruolo nel rimodellamento fenotipico delle VSMC attraverso la co-‐attivazione di SRF [Tamana et al., 2008] e la regolazione di geni coinvolti, fra l’altro, nella migrazione cellulare. Infatti, Elk-‐1 è coinvolto nella trascrizione della metalloproteinasi di tipo 2 e dunque ha un ruolo importante nella migrazione delle VSMC [Mahmoodzadeh et al., 2010]. Il decoy sintetico è stato incapsulato all’interno degli EMHV di origine porcina allo scopo di essere veicolato in colture primarie di VSMC ottenute da espianto da coronaria di maiale quale modello “in vitro” di possibili manifestazioni pato-‐fisiologiche, inclusa la restenosi. Nel capitolo verranno trattati gli
effetti della somministrazione del decoy e verranno analizzati i potenziali sviluppi terapeutici di applicazione al tessuto vascolare.