IL DOSSIER
Il 15 e il 16 settembre si è svolto, presso il centro congressi di Riva del Garda (TN) il WIS (Workshop sull’Impresa Sociale), organizzato da Iris network. Questa quattordicesima edizione è stata aperta anche a studenti universitari e laureati da non più di 12 mesi, offrendo loro un’opportunità di apprendimento e di aper-tura al mondo della cooperazione sociale. Le due giornate sono state molto ricche di informazioni, esperienze positive e negative dalle quali apprendere. In questo dossier si concentrerà l’attenzione sulla prima giornata, quella del 15 settembre, nella quale è stata data anche una lettura critica e costruttiva della nuova legge sull’impresa sociale (n. 106 del 6 giugno 2016) e del tema del rapporto giustizia-impresa sociale.
MARCO MUSELLA presidente di Iris network
Il workshop si è aperto con un intervento in plenaria di Marco Musella, neo-presidente di Iris. Quest’ultimo dopo aver mo-strato un elenco di avvenimenti mondiali accaduti nell’ultimo anno, afferma che oggi il mondo è più insicuro, violento ed in-difeso! A ciò si aggiunge il fatto che è sempre più difficile trova-re degli equilibri economici, politici e sociali, tali da permettetrova-re l’uscita dalla crisi degli Stati e, di conseguenza, degli individui.
In tale contesto la costruzione di relazione umane che portino ad una condizione di tranquillità e serenità è molto faticosa.
All’interno di quest’insicurezza mondiale gioca un ruolo im-portante la mancanza di egualità, condizione, questa, che sta aumentando nel corso del tempo.
A seguito del fallimento del sistema incentrato sul mercato, l’Europa e l’Italia hanno bisogno di istituzioni che non siano mosse da self-interest, come avviene in questo sistema.
Viene così a presentarsi, per l’impresa sociale, un’occasione.
Infatti quest’ultima deve riscoprire le dimensioni dell’egualità sotto due aspetti: come e cosa produrre.
È, di conseguenza, importante presidiare la qualità dei prodot-ti, beni, e servizi
tradizionali e di quelli nuovi presenti sul mercato, che il mondo profit saccheggia o abbandona, mentre il pubblico non riesce a gestire in modo adeguato. Ciò porta ad un aggravarsi delle condizioni di NON equità!! Per questo motivo è fondamentale lavorare affinché il pubblico destini maggiori risorse all’equità.
La soluzione? Realizzare una sostenibilità economica di inizia-tive private che non penalizzi i più poveri, e faccia ciò attraver-so pratiche concrete.
CHIARA SARACENO
sociologa, docente dell’Università degli studi di Torino
“La disuguaglianza è una violazione della dignità umana; è la nega-zione della possibilità che ciascuno possa sviluppare le proprie ca-pacità. Prende molte forme e ha molte conseguenze: morte prema-tura, salute cattiva, umiliazione, subordinazione, discriminazione, esclusione dalla conoscenza e/o da dove si svolge prevalentemente la vita sociale, povertà, impotenza, mancanza di fiducia in se stessi e di opportunità e possibilità della vita. Non è quindi solo questione delle dimensioni del proprio portafoglio. È un ordinamento socio-culturale che riduce le capacità, il rispetto e il senso di sé, così come le risorse per partecipare pienamente alla vita sociale.”(Goran Therborn “The killing fields of inequality”, sociologo svedese).
Chiara Saraceno afferma che la povertà e la disuguaglianza diventano fortemente lesive dell’umanità nel momento in cui arrivano ad impedire la capacità di pensare e di sperare delle persone. È su questo tipo di disuguaglianza che è fondamenta-le lavorare! Nel panorama economico fondamenta-le disuguaglianze sono in continua crescita, si riproducono e , soprattutto, si accentua-no. Se fino a qualche anno fa queste si trovavano solamente tra Paesi, oggi sono presenti anche all’interno di questi. Siamo di fronte ad una doppia disuguaglianza!
A questo hanno, sicuramente, contribuito la globalizzazione e la finanziarizzazione che, attraverso esportazioni di imprese, profitti, lavoro hanno accentuato gli squilibri. Inoltre il feno-meno del capitalismo oligarchico vede una contemporanea concentrazione della ricchezza e del monopolio delle posizioni che forniscono maggiori redditi da lavoro nelle stesse perso-ne. A questo proposito l’economista britannico Anthony At-ckinson sottolinea nel suo libro “Disuguaglianza. Cosa si può fare?”, che non è aumentata solo la ricchezza finanziaria, ma
Lucia Bettani
WIS
Il Jolly Gennaio 2017 25 c’è stato un aumento del gap nei redditi da lavoro, ovvero
al-cune posizioni lavorative hanno aumentato notevolmente i propri profitti, senza che ci sia una verosimile e dimostrabile giustificazione nel fatto che le loro capacità siano così grandi da produrre benessere aziendale o collettivo.
Secondo l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Svi-luppo Economico) nel mondo sviluppato e ricco, le occupazio-ni in aumento sono quelle precarie che prevedono contratti a tempo, quindi sono quelle vulnerabili e individualizzabili. Ne consegue che un altro elemento responsabile dell’aumento della disuguaglianza sia la crescente individualizzazione del-le posizioni lavorative e deldel-le vulnerabilità. Ciò significa che, oggigiorno, è sempre più complesso trovare un interesse co-mune per un’azione coco-mune, nel momento in cui le posizioni lavorative sono sempre più temporanee e precarie. In questo panorama si colloca uno Stato sempre meno presente nella redistribuzione compensativa delle disuguaglianze sia ex post, che ex ante; gli Stati, inoltre, si sono diretti nella direzione con-traria, cristallizzando le disuguaglianze.
Infine nella nostra società gioca un ruolo importante anche il funzionamento del matrimonio e il ruolo della donna. È stori-camente avvenuto che simile sposa simile, ovvero persone con interessi affini tendono ad unirsi in matrimonio, ma ciò avvie-ne anche attraverso affinità sociali ed economiche.
Quello che è cambiato negli ultimi decenni è il ruolo della don-na. Le donne con un’istruzione base entrano difficilmente nel mercato del lavoro, e ciò avviene in modo ancor più proble-matico quando hanno una famiglia. Di conseguenza le loro famiglie sono più vulnerabili, rispetto a quelle delle donne che hanno goduto da sempre di una buona istruzione, a cui conse-guono posizioni lavorative migliori e future carriere. Ecco che il lavoro femminile produce una polarizzazione delle famiglie!
Questo processo porta all’innescarsi di un circolo vizioso che non permetterà ai figli delle famiglie al polo “negativo” di gode-re di una buona istruzione, lavoro,…
Di fronte a questo quadro sociale come si pone l’impresa so-ciale? Secondo Chiara Saraceno l’impresa sociale può ricoprire
due ruoli fondamentali. Innanzitutto quello di prestatore di servizi, lavorando sulle disuguaglianze, con le persone disu-guali perché svantaggiate. Questo tipo di lavoro dovrebbe por-tare a rendere la persona riconosciuta, con dei diritti, ponendo l’enfasi sulle capacità dell’individuo. L’impresa sociale, quindi, non deve lavorare in un’ottica di mera erogazione di servizi che vengono imposti dall’ “alto” (da chi dice di sapere cosa va bene per le persone disuguali), al contrario, nel suo lavoro l’im-presa sociale deve porre le persone per le quali si lavora al cen-tro, come soggetti di diritti.
Infine, dimenticare la differenza tra le imprese che fanno advocacy e quelle che producono servizi, costruendo un’im-presa che produce servizi per il terzo settore, facendo anche advocacy rispetto alle politiche pubbliche, all’opinione pubbli-ca, a favore e con i propri utenti cittadini. Ovvero un’ advocacy rispetto al come e al che cosa fare, che porta ad interloquire con le regole.
LUCA FAZZI
docente presso l’Università degli studi di Trento e PAOLO FONTANA - coordinatore di Euricse
Esiste un’idea di impresa sociale senza un’idea di giustizia?
Oggi l’impresa sociale si trova in una situazione di grande trasforma-zione, agli imprenditori sociali pare di essere avvolti in un banco di nebbia, poiché sono a conoscenza di ciò che erano, ma non sanno in che direzione stanno andando. Nel dibattito attuale non si trovano alcuni termini, presenti nel passato, poiché sono usciti dall’attenzio-ne. Uno di questi è la parola giustizia, intesa come inclusione, diritti, lotta alla diseguaglianza, azione di contrasto alle cause dell’esclusio-ne sociale. La nuova narrativa, dall’altra parte, si compodell’esclusio-ne di altri termini: investimenti sociali, finanza d’impatto, modelli di business.
Questi ultimi cancellano concetti come quello di giustizia. In questo intervento il professor Fazzi si concentra su tutto il tema della giusti-zia, andando a capire se è un termine conservativo, che appartiene a persone con una visione del mondo superata, e qual è il suo rappor-to con l’impresa sociale.
Innanzitutto il termine giustizia non è da equivalere con il ter-mine legalità. Questa fondamentale precisazione viene fatta da Piero Bernardi della cooperativa Il santo (Monteriggioni).
Egli sottolinea come spesso la legalità sia ingiustizia; ciò avvie-ne perché le leggi sono scritte dai potenti (da coloro che han-no vinto). Di conseguenza, si può affermare, che la giustizia è un’altra cosa, estremamente diversa dalla legalità. Pertanto, è importante agire dal basso, attraverso forme diverse da quelle della legalità, così facendo, si ha la possibilità di dare risposte a tutte le persone che ne hanno bisogno.
In questo murales di Diego Rivera “El hombre controlador del universo”, l’artista ripropone un uomo all’incrocio tra un mondo socialista e uno capitalista. Ponendo al centro la figura umana, viene posto anche il concetto di giustizia. Viene rappresentato l’uomo che ha in mano il proprio destino, che può governare e dirigere. Ne possiamo desumere che l’identità dell’essere uma-no è quella di andare avanti e governare il proprio destiuma-no!
La giustizia e l’impresa sociale: sono connubi? Sono applicabili e applicati insieme? L’impresa sociale è un mondo che compren-de differenti livelli e modi di lavoro, nonché approcci differen-ti, con diversa considerazione della persona e diversa visione riguardo a cosa essere, se impresa che risponde al mercato o impresa sociale a 360°. Infatti all’interno di questo mondo, si trovano almeno tre tipi di impresa sociale: quella che corrode il concetto di giustizia, quella che ne rimane indifferente e quella che si confronta con esso.
L’impresa sociale corrode il concetto di giustizia
Con l’espressione corrosione della giustizia si indica quel fenomeno che porta ad essere in presenza di imprese sociali che fanno impre-sa erodendo l’idea di giustizia, non come concetto in sé, ma nella sua rappresentazione più ampia.
Il caso Cooperjob
Il tipo di impresa che impersona Cooperjob intermedia servi-zi, ed offre servizi al mercato. Nel caso di specie, affrontando il tema del badantato, si occupa di intermediazione lavoro-impresa, offrendo badanti certificate, qualificate, assunte con contratti regolari. Ciò è un vantaggio per le famiglie, che evita-no una serie di oneri relazionari, e per le badanti stesse, che, in questo modo, hanno una regolamentazione del loro lavoro. La dichiarazione d’intenti di Cooperjob è quella di dare un contri-buto per costruire un mercato etico.
Al di là della dichiarazione d’intenti, cosa succede in questo tipo di imprese? Sono imprese che lavorano sui mercati sociali, rispondendo alla gente che ha un bisogno, e rispetto alla quale il settore pubblico non interviene. Qui sorge un problema: dato che l’impresa deve rimanere sul mercato, in un modo total-mente qualificato e regolare, i costi di cui le famiglie dovranno
farsi carico per avere una badante, saranno molto elevati. Que-sto tipo di cooperativa produce un effetto di selezione avver-sa, ovvero: chi può comprare compra e, al contrario, chi non può comprare non compra. Agendo in questa direzione oltre a creare l’effetto appena descritto e, quindi, escludendo chi non può permettersi il servizio, queste cooperative erodono il valo-re morale del bisogno! Pvalo-reoccupandosi solamente dell’aspetto economico, e dunque, del prezzo, trascurano il bisogno, che scompare. Nel momento in cui ciò avviene, è stato corroso il valore morale del bisogno. Il mercato si mangia i valori morali!
Il caso dei centri di accoglienza degli immigranti
Le imprese sociali rischiano di corrodere la giustizia, privan-do le persone delle proprie competenze, invece di abilitar-le, renderle capaci, non le mettono nelle condizioni di poter esercitare le proprie competenze. Quest’inabilitazione si può trovare, per esempio, nelle cooperative sociali che lavorano nella gestione dei centri di accoglienza degli immigrati. Nel ge-stire l’accoglienza le imprese sociali si preoccupino dei bisogni di funzionamento (cibo, bere, cure sanitarie, di strutture), di-menticandosi di dare le capacità, le capabilities; non forniscono cioè, la possibilità ai beneficiari di esercitare le competenze di scelta, di valore, di capacità di orientamento, apprendimen-to, e quindi le inabilitano, le lasciano in situazioni nelle quali è molto facile creare le condizioni per l’esclusione e non per l’integrazione sociale.
Se la giustizia emancipativa significa dare la possibilità di sce-gliere il proprio futuro, nel caso degli immigrati le competenze non sono date, perché le persone sono tenute dentro, non gli viene insegnata la lingua, elemento base per l’integrazione, e, nel frattempo, all’esterno cresce la xenofobia.
Questo tema dell’inabilitazione è strettamente legato a quello della corrosione della giustizia.
Indifferenza nei confronti della giustizia:
L’indifferenza nei confronti della giustizia, avviene quando, at-traverso la propria attività, le imprese sociali non corrodono la giustizia, ma rimangono indifferenti, poiché non ne sono toc-cate, dunque non affrontano il tema lasciandolo in sottofondo e, dunque, delegandolo agli altri. Ne sono un esempio quei nidi d’infanzia che, a seguito dell’aumento delle rette apportato dai comuni ed il conseguente rallentamento delle liste d’atte-sa, sono rimasti indifferenti a quelle famiglie che non posso-no permettersi il servizio. Ciò è avvenuto perché, per quanto riguarda il loro funzionamento, questo volge nei migliori dei modi, e dunque, non si vogliono preoccupare di problemi che non recano loro danni o disservizi, a questi ci penseranno altri soggetti.
La domanda che sorge è: l’impresa sociale si assume la respon-sabilità di trovare risposte anche in assenza di un mandato da parte di un finanziatore? Una cosa è certa, se ciò non avviene, siamo di fronte ad organizzazioni che diventano semplici
ero-Il Jolly Gennaio 2017 27 gatrici di servizio, di conseguenza non c’è molta differenza tra
questo tipo di impresa e un srl che svolge bene il suo lavoro in cambio di una remunerazione economica.
Imprese sociali che si confrontano con il tema della giustizia, facendo impresa
Accanto alle imprese sociali che rientrano nei precedenti due gruppi, ci sono quelle che si confrontano quotidianamente con il tema della giustizia. Ciò avviene attraverso tre forme di giustizia:
1.La giustizia dei mezzi minimi:
le imprese sociali che operano attraverso questo tipo di giusti-zia, cercano di rispondere ai bisogni dando assistenza, utiliz-zando variegate forme di intervento emergenziale. L’impresa sociale si impegna e si assume la responsabilità, in quanto im-presa sociale, di occuparsi di tematiche di cui gli altri, in parti-colare lo Stato e il mercato, non si occupano.
Ne è un esempio la cooperativa il Tulipano che ha lavorato su tre fronti per la creazione di un social market a Fabriano: la promo-zione del concetto del riuso, e quindi ciò che non è utile a qual-cuno, può esserlo per altri. Le donazioni intese come possibilità di attivare le persone alle quali questi beni venivano donati, e non semplice beneficienza. Ed, infine, i destinatari, rappresen-tati da tutte quelle persone espulse dal processo produttivo, per-sone che sentono di avere delle difficoltà economiche, ma che non vogliono entrare all’interno di un processo di presa in cari-ca dell’ente pubblico, e che, attraverso il social market trovano un aiuto. L’idea di questo social market è di aiutare le persone che all’improvviso si sono trovate ad affrontare un periodo di difficoltà a reagire alla situazione. Attraverso una rete sociale e solidarietà, che offre occasione di lavoro e beni primari indi-spensabili a queste famiglie.
La cooperativa ha posto il focus sul bisogno, che ha saputo legge-re, e al quale è stata in grado di dare una risposta imprenditoria-le, assumendosi la responsabilità di perseguire l’idea di giustizia, senza delegare ad altri, ma coinvolgendo la comunità.
2.giustizia emancipativa:
Fare giustizia emancipativa significa dare alle persone le gambe per poter decidere e fare passi avanti. Quindi non lavora sui funziona-menti (essere nutriti), ma sulle capacità (nutrirsi, avere la capacità di scelta). Ci sono molti esempi di cooperative che lavorano in questa direzione, qui ne riporterò solamente due: il primo riguarda un ser-vizio di inclusione dei soci messo in atto dalla cooperativa L’Incontro di Castelfranco veneto, mentre il secondo riporta l’esempio una della cooperative bergamasche, la cooperativa Ecosviluppo.
Cooperativa L’incontro (Castelfranco veneto)
Il lavoro aiuta l’emancipazione delle persone, ma non è l’unico modo, o meglio non funziona come elemento a sé stante. La
coo-perativa l’incontro nota che tra i suoi soci lavoratori e quelli del-la rete consortile, ci sono dei bisogni (come il bisogno di essere riconosciuto dalla cittadinanza) che non vengono presi in carico dai servizi pubblici locali. Cerca, quindi, di costruire una risposta che possa essere efficace, efficiente non solo per sé, ma anche per l’intero territorio. Così facendo crea un servizio inclusione dei soci, con un accompagnamento dei soci svantaggiati, si può dire che la cooperativa L’Incontro considera la presa in carico della persona a 360°, ovvero sia sotto gli aspetti lavorativi, sia in tutto un districarsi di pratiche. I soci, presi in carico singolar-mente, vengono informati, aggiornati sui loro diritti e su tutto ciò che li riguarda non solo come soci, ma in primis, come per-sone (casa, pensione, amministrazione,…). È importante sottoli-neare che questo tipo di intervento non è finanziato, ed è nato senza nessun tipo di appalto o simili, ma ciò è avvenuto perché questi erano interventi necessari, di cui la cooperativa si è fatta carico, senza aspettare deroghe,ma ha ampliato i propri confini passando dai mezzi minimi alla giustizia emancipativa.
Cooperativa sociale Ecosviluppo
Spesso l’impresa sociale è chiamata a tenere in equilibrio la parte commerciale-produttiva e quella sociale. A volte uno dei due pesi diventa preponderante sull’altro, ma nel omento in cui si va verso la parte di produzione spinta, di impresa in senso stretto, è bene ricordarsi che la cooperativa di inserimento lavorativo è nata per rispondere a un bisogno. Ecosviluppo riassume molto bene questo tipo di idea. Nei momenti in cui ha dovuto scegliere tra un’identità costitutiva e la commessa ha scelto di ricordarsi il suo scopo. Fausto Gritti, il direttore generale, afferma: “La fina-lità non è l’utile, ma raggiungere alcuni livelli occupazionali. Al-largare le aree di inserimento lavorativo, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione femminile; abbiamo un impianto di cer-nita della plastica che, non genera benefit, ma ha creato 16 posti di lavoro in cui vengono impiegate persone fragili, situazioni che non avrebbero trovato un’occupazione. Ecosviluppo deve comunque lavorare per avere una sana redditività, per sostene-re questi progetti, dato che non ha finanziamenti, e deve compe-tere sul mercato con imprese profit.” Ecco, allora, la presenza di un tema forte, quello della responsabilità, della mission! L’impre-sa sociale è quell’impreL’impre-sa che si assume una responL’impre-sabilità verso tutte quelle persone che hanno un bisogno, o che subirebbero le conseguenze di una scelta di mercato.
Dati gli esempi precedenti, e avendo visto che esistono differenti modi di approcciarsi alla giustizia, come mai certe cooperative, imprese sociali ed associazioni hanno ancora chiaro il focus del valore sociale? Perché non mischiano la questione invertendo i due elementi valore economico e valore sociale, concentrandosi sul primo? La risposta è che dietro a questi sistemi ci sono cultu-re organizzative, di impcultu-rese talmente impcultu-regnate del tema della giustizia, da farlo coincidere con il tema di impresa. L’impresa sociale mette prima il sociale poi l’economico, ciò non significa sacrificare l’economico, ma si riconoscono molto bene il mezzo e il fine!
3.Giustizia trasformativa:
Fare giustizia trasformativa, significa cambiare le condizioni che ge-nerano iniquità, ingiustizia ed esclusione. Chi lavora in questa dire-zione, non dà solamente il servizio, le competenze e le capacità, ma cerca di lavorare sul cambiamento economico, sociale che creano disuguaglianza, ingiustizia ed esclusione.
Cooperativa K-Pax di Breno (Val Camonica)
Lavora sul tema migranti attraverso l’accoglienza diffusa. Infat-ti questa cooperaInfat-tiva, ha svolto un lavoro sulla comunità, pre-parandola sul tema dell’accoglienza di persone provenienti da altre realtà. Facendo questo ha rivitalizzato il valore aggiunto delle comunità montane, ovvero quello della solidarietà e della reciprocità, e dove ci sono legami forti sui quali poter agire per rivitalizzare il senso di mutualità. Nella pratica la cooperativa K-Pax ha riattivato tutti quei lavori, nei quali le persone migranti
Lavora sul tema migranti attraverso l’accoglienza diffusa. Infat-ti questa cooperaInfat-tiva, ha svolto un lavoro sulla comunità, pre-parandola sul tema dell’accoglienza di persone provenienti da altre realtà. Facendo questo ha rivitalizzato il valore aggiunto delle comunità montane, ovvero quello della solidarietà e della reciprocità, e dove ci sono legami forti sui quali poter agire per rivitalizzare il senso di mutualità. Nella pratica la cooperativa K-Pax ha riattivato tutti quei lavori, nei quali le persone migranti