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L’«opera d’insieme» di Macchi e Guaccero Se la parola, nei suoi molteplici aspetti e modalità di utilizzo,

rimane al centro della concezione drammatica di Manzoni, si dimostrano di tutt’altro segno le sperimentazioni condotte da Egisto Macchi e Domenico Guaccero nel teatro musicale: tra il 1962 e il 1972 hanno dato vita complessivamente a ben otto titoli non riconducibili ad alcun genere della tradizione. La denominazione dei lavori, chiamati genericamente «composizione» (Macchi) o «azione» (Guaccero), segnala la volontà di intraprendere una strada nuova e di evitare ogni connotazione implicita nella terminologia consueta. La necessità di elaborare diciture altre persino rispetto alla locuzione «teatro musicale», apparentemente neutra, è teorizzata da Guaccero con l’intento non di rinnegare l’eredità del melodramma, bensì «proprio per mantenere viva una tradizione più profonda, di cui quella fa parte, e che deve trovare il modo di essere attuale – nei mezzi e nelle interrelazioni linguistiche – sottraendosi a una sua feticizzazione (culturale o economica)».53 L’obiettivo era quello di

promuovere un rinnovamento profondo – linguistico, strutturale, concettuale – che salvaguardasse la vitalità del genere nella piena consapevolezza della sua storia, sviluppando senza nostalgie del passato gli strumenti atti ad esprimere il mondo contemporaneo.54 Guaccero

riconduce tali intenti sotto la denominazione di «opera d’insieme», adottata anche da Macchi sebbene il suo ideatore non ne fosse del tutto convinto.55 L’espressione condensa efficacemente le molteplici

accezioni della natura partecipata che si voleva conferire a questi

53 Mastropietro, Introduzione, cit., p. XVI; il corsivo è nell’originale. Questa opzione si colloca per molti versi all’opposto dell’antitesi tra «opera» e «teatro musicale» delineata da Luciano Berio nel 1967; cfr. Luciano Berio, Problemi di teatro musicale, in Scritti sulla musica, a cura di Angela Ida De Benedictis, Einaudi, Torino, 2013, pp. 42-57. 54 Il compositore ha esposto le proprie riflessioni a riguardo in: Domenico Guaccero,

Un’esperienza di “teatro” musicale [1963-64], in Id., “Un iter segnato”, cit., pp. 143-160; Domenico Guaccero, Postilla sul teatro musicale [1966], ibid., pp. 161-171; Domenico Guaccero, Sulla tradizione del teatro musicale [1981], ibid., pp. 172-182.

55 «Si potrà dire “opera d’insieme”?»; Guaccero, Postilla sul teatro musicale, cit., p. 146; cfr. anche Egisto Macchi, Domenico Guaccero [1985], in Egisto Macchi, cit., pp. 143-148: 147.

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lavori, a partire dalla condivisione della responsabilità autoriale tra le varie figure artistiche coinvolte, passando per l’eliminazione di ogni gerarchia tra le componenti dello spettacolo, fino alla partecipazione attiva del pubblico nella realizzazione della performance. Com’è già stato ampiamente rilevato,56 tali nozioni appartengono al contesto

artistico-culturale romano tra la fine degli anni Cinquanta e il decennio successivo, dove la ricezione delle esperienze di John Cage e, successivamente, del Living Theatre ha dato luogo ad un clima particolare di collaborazione e reciproca influenza tra le discipline artistiche e letterarie.

Per quanto riguarda la produzione teatrale di Guaccero e Macchi, lo stato delle fonti è estremamente variabile, molto esauriente in alcuni casi (Scene del potere, Rot), meno completa in altri (Anno Domini, A(lter)A(ction)), in altri ancora consistente soltanto nella stesura della partitura (Parabola, Rappresentazione et esercizio, Novità assoluta).57 I materiali genetici rivelano un atteggiamento differente dei

musicisti nei confronti del testo verbale, sia tra di loro, sia all’interno della produzione di ciascuno nell’arco del decennio individuato. In particolare in tutti e tre i lavori qui esaminati Macchi ha continuato ad affidarsi a collaboratori interamente responsabili del confezionamento del testo, sebbene il compositore abbia partecipato in maniera attiva al processo creativo, mentre Guaccero ha sempre assunto in prima persona l’impegno di selezionare e combinare assieme le citazioni che costituiscono la componente verbale delle sue partiture. Ciò implica delle differenze tanto nella tipologia dei materiali genetici prodotti

56 Cfr. Daniela Tortora, Nuova Consonanza. Trent’anni di musica contemporanea in Italia (1959-1988), LIM, Lucca, 1990; Daniela Tortora, A(lter) A(ction): un tentativo di teatro musicale d’avanguardia, «Il Saggiatore musicale», V, 2, 1998, pp. 327-344; Alessandro Mastropietro, Nuovo teatro musicale fra Roma e Palermo, 1961-1973, LIM, Lucca (in corso di stampa). Si veda anche il contributo di Mastropietro nel presente volume. 57 Cfr. Tortora, Saggio, cit., pp. 40-54; Tortora, A(lter) A(ction), cit.; Alessandro Mastropietro,

L’interno/esterno della voce: su “Scene del potere” di Domenico Guaccero, in Voce come soffio. Voce come gesto. Omaggio a Michiko Hirayama, a cura di Daniela Tortora, Aracne, Roma, 2008, pp. 123-172; Alessandro Mastropietro, Ancora una ‘scena del potere’: Novità assoluta (1972), in Domenico Guaccero. Teoria e prassi dell’avanguardia, cit., pp. 297-316; Alessandro Mastropietro, Un teatro musicale danzato “polifonico” e polisenso: Rot (1970- 1972) di Domenico Guaccero, «Gli spazi della musica», V, 1, 2016, pp. 32-77.

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dai due compositori, quanto nei loro contenuti, con una particolare inclinazione nel caso di Guaccero per la definizione dei vari aspetti della performance e della produzione, finché la scrittura scenica non è giunta a sostituire la stesura del “libretto” vero e proprio.

Procedendo in ordine cronologico, la genesi di Anno Domini (1962) è documentata con accuratezza nel carteggio prodotto da Macchi e Antonino Titone dal 1957 al 1963, conservato presso il Centro di Documentazione della Musica Contemporanea di Palermo,58

attraverso il quale è possibile ricostruire le fasi di lavoro affrontate dai due autori e delineare il contributo di ciascuno ai fini all’elaborazione del testo. Nel processo creativo e nelle modalità di collaborazione non si registrano deviazioni macroscopiche rispetto alle dinamiche tra librettista e compositore consuete nell’Ottocento. Innanzitutto, la genesi del testo precede in gran parte quella della partitura, visto che la stesura del primo ebbe luogo tra luglio e ottobre 1961, mentre quella della partitura fu iniziata ai primi di agosto e completata nel corso dell’anno successivo.59 Titone, che vi lavorava almeno dal

febbraio precedente, assunse la piena responsabilità nella redazione del testo, mentre Macchi intervenne con riflessioni e richieste su questioni drammaturgiche e sceniche che condussero a parziali modifiche del libretto, senza tuttavia alterare in maniera sostanziale l’impostazione conferitagli dall’intellettuale. Nel momento in cui lo ricevette e iniziò a metterlo in musica, il compositore trovò infatti il testo approntato da Titone «funzionalissimo»: portava «dentro una traccia precisa, sicura, un’indicazione da seguire, quasi una segnaletica stradale»,60 giacché attraverso il modo innovativo di

distribuire le parole sulla pagina predisponeva già alcune soluzioni da elaborarsi nella partitura.61

58 Cfr. Tortora, Saggio, cit., p. 19, n. 14; alcune lettere di questo carteggio sono riprodotte alle pp. 157-181.

59 L’intera cronologia è ricostruita in Tortora, Saggio, cit., pp. 40-42.

60 Lettera di Macchi a Titone datata 7 agosto 1961; trascritta in Egisto Macchi, cit., pp. 178-180: 179.

61 Tortora, Saggio, cit., p. 42.

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FIGURA . – Antonino Titone, Anno Domini, dattiloscritto del libretto; Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Istituto per la Musica, Fondo Egisto Macchi (per gentile concessione degli eredi e della Fondazione Giorgio Cini).

Se in Anno Domini il libretto svolse la funzione di una «pre- partitura che già implicava una disposizione della resa sonora»,62

durante la sua lavorazione Macchi iniziò a formulare una nuova concezione dei «rapporti tra fatto scenico e invenzione musicale, tra azione e musica», giungendo alla conclusione che il loro processo creativo dovesse svolgersi in parallelo e non più secondo una relazione

62 Scritto non identificato di Antonino Titone, citato da Egisto Macchi, Parabola. 2a composizione per teatro in un atto, su testo di Antonino Titone, «Collage », II, 1, dicembre 1963, pp. 39-44: 44.

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di antecedente-conseguente.63 Tali riflessioni, lì ancora in nuce,

furono ulteriormente sviluppate nel corso del successivo progetto di Macchi e Titone, Parabola, al quale i due iniziarono a lavorare nel 1963 senza tuttavia portarlo a termine oltre la stesura completa del testo verbale e quella parziale della partitura. Benché continuasse a persistere un modello di collaborazione compositore-librettista analogo a quanto sperimentato con Anno Domini, si impose stavolta l’esigenza di abbandonare la consueta concezione del testo verbale come elemento che precede e determina la messa in musica e di optare invece per una genesi condivisa dei due aspetti – anzi, tre, comprendendo anche la messa in scena. Pur essendo prodotti da soggetti distinti, dotati di specifiche competenze artistiche, l’obiettivo era di giungere a un’unione strutturale tra testo, musica e componente visiva, i quali a tal fine dovevano essere concepiti assieme e in termini paritari, senza subordinazioni di tipo gerarchico o cronologico, mediante l’elaborazione di nuove tecniche di notazione in grado di comprendere tutti e tre gli aspetti in un’unica immagine grafica:

Il compositore non può più illudersi di scrivere della musica su un testo per lui preparato, di servirsi quindi delle parole come di un «pretesto» […]. Bisognerà – credo – giungere col tempo a organizzare la narrazione lavorando contemporaneamente ai suoi tre elementi essenziali. Si dovrà arrivare a stendere insieme la partitura che dovrà strutturare suoni, parole e immagini entro una comune resa grafica. Solo così si potrà – per esempio – creare un testo che non sia letteratura e non sia pretesto. La parola dovrà essere considerata una delle dimensioni del discorso musicale e così l’immagine. Dovranno quindi essere trascritte, pensate e utilizzate come la dimensione intervallare o timbrica.64

63 Cfr. Tortora, Saggio, cit., pp. 42-43.

64 Macchi, Parabola, cit., p. 44; il corsivo è nell’originale.

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Il progetto di Parabola fu abbandonato da Macchi prima della piena maturazione delle idee teorizzate, ma questa esperienza risultò preziosa per A(lter)A(ction), il cui processo creativo si compì tra il settembre 1965 e il giugno 1966.65 Oltre allo stesso compositore

e a un nuovo “librettista”, Mario Diacono, la collaborazione si ampliò con l’inclusione di Daniele Paris, direttore d’orchestra, Sergio Tau e Franco Valobra, entrambi responsabili dell’«azione scenica». Per protocollare la forma pienamente condivisa per l’ideazione e la messa a punto del lavoro, i cinque redassero un documento nel quale dichiaravano «di volersi considerare effettivi “coautori” dell’opera stessa, attribuendosene dunque collettivamente la paternità e il diritto d’autore, e assumendo pluralmente i rischi e i benefici morali che all’opera deriveranno dalla valutazione artistica e dal giudizio culturale della critica, del pubblico, della società».66 Appare evidente

come sia qui giunto a compimento quel cambio di concezione dei rapporti tra le componenti e gli artefici dell’opera teatrale iniziato con Anno Domini, con un profondo rinnovamento, da un lato, nelle modalità di lavoro dei «coautori», ora considerati responsabili in maniera paritaria dell’intero progetto rappresentativo, e, dall’altro lato, nell’interazione tra i vari aspetti di uno spettacolo, la cui genesi non può che essere studiata congiuntamente su tutti i piani coinvolti.

Il passo più deciso verso l’«opera d’insieme» fu effettuato da Guaccero a partire da Scene del potere (1968). Tanto in questo lavoro quanto nei successivi tre, prodotti entro il limite cronologico qui dato del 1975, si osserva innanzitutto una nuova concezione del testo verbale, palese fin dai materiali genetici conservati, che riguardano però solo Scene del potere e Rot. Le fonti pongono in luce non solo la peculiare prassi compositiva di Guaccero, ma soprattutto la sua diversa concezione del “libretto” in sé e dei rapporti tra quest’ultimo e le ulteriori componenti dello spettacolo,

65 Cfr. Tortora, Saggio, cit., p. 51.

66 Il documento, citato in ibid., p. 48, n. 91, è attualmente conservato presso il Fondo Egisto Macchi della Fondazione Giorgio Cini; per uno studio più approfondito su A(lter)A(ction) si rimanda al contributo di Marco Cosci nel presente volume.

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con le quali interagisce fin dai primordi del processo creativo. Si individuano infatti repertori di citazioni, annotazioni di «Sequenze di azioni» ed «Elenchi di nuclei tematici» per le varie scene, schemi drammaturgico-musicali, canovacci della sceneggiatura, appunti con riflessioni sul lavoro nella sua interezza, compresi i vari dettagli della realizzazione performativa. Materiali di questo tipo hanno sostituito i consueti testimoni dell’elaborazione del testo verbale; esso non è mai considerato indipendentemente dagli altri aspetti, ma è sempre integrato nel progetto complessivo della performance.67 In particolare, tra i materiali preparatori per

Rot (1972) non ci è pervenuta alcuna fonte specifica per la genesi del testo, mentre sono presenti ampie annotazioni su questioni produttive, schemi di disposizione delle fonti sonore e dell’utilizzo delle luci, tavole sinottiche dell’intera articolazione del lavoro, matrici combinatorie per la definizione dei timbri, appunti sulla struttura del nastro magnetico. La stessa partitura d’altronde è stata elaborata direttamente a partire da tali materiali, senza attraversare fasi intermedie sotto forma di abbozzi e stesure: il processo compositivo si è attuato come «una combinazione di strutture temporali, relazionali (soprattutto le relazioni fra i media scenico-musicali) e simbolico-semantiche (testi compresi) predisposte» a priori, alla quale è poi seguita la «scrittura diretta, “informale” […], della materia sonora immaginata».68 È inoltre

significativo che il lavoro sulla partitura, inclusa la componente verbale, sia iniziato solo quando la coreografia era già stata definita, così come doveva esserlo l’impianto drammaturgico e la struttura “polifonica” di interazione dei vari aspetti dell’opera («azione», luci, interventi vocali e strumentali, «elettronica viva», nastro magnetico), impostati con precisione in due tabelle sinottiche risalenti a due fasi distinte del processo creativo.69 Il pensiero

di Guaccero abbraccia sin da subito l’intero spettacolo in una

67 Nel presente volume, Scene del potere è studiato nei dettagli da Simone Caputo. 68 Mastropietro, Un teatro musicale danzato “polifonico” e polisenso, cit., p. 42. 69 Per un’analisi di tali tabelle cfr. ibid., pp. 39-40.

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prospettiva complessiva dove le singole componenti, tra cui il testo, costituiscono tasselli interdipendenti sia dal punto di vista dei materiali genetici, sia negli esiti conclusivi: il compositore ragiona in termini di performance, che costruisce già negli stadi più remoti come una stretta cooperazione di elementi. Di conseguenza, non esiste più un “libretto” che possa avere una valenza autonoma rispetto alla sua messa in musica, né ha senso considerare il testo verbale in maniera avulsa dal contesto in cui agisce; nemmeno la partitura, in realtà, rappresenta l’approdo ultimo del processo creativo, ma è la realizzazione performativa, per Guaccero, a rivestire il ruolo di “versione definitiva” dei propri lavori.

Le medesime differenze di trattamento del testo si riscontrano anche quando si considera la partecipazione di questa componente alla drammaturgia delle «opere d’insieme» dei due compositori: mentre in Anno Domini e Parabola esso continua a svolgere una funzione primaria, tratteggiando una seppur labile vicenda che costituisce il fulcro attorno al quale si strutturano la partitura e la messinscena, a partire da A(lter)A(ction) e nei lavori di Guaccero la drammaturgia si esplica nell’interazione gerarchicamente paritaria tra i vari elementi della rappresentazione, nel cui novero il testo verbale non occupa più una posizione preminente, tantomeno autonoma. Ed è la consapevole valorizzazione della gestualità a collocarsi all’origine di tale nuova concezione del teatro musicale: Guaccero ne individua le radici nella produzione rappresentativa di Stravinskij e nel teatro espressionista, non necessariamente musicale, mentre l’influsso decisivo è rincondotto al contatto diretto con le esperienze di John Cage e del Living Theatre, ma con uno sguardo anche alle sperimentazioni dada e futuriste, a Grotowski e alle tradizioni asiatiche (Cina e Bali in particolare).70 L’«opera

d’insieme» trova il suo compimento ultimo nella performance, al cui centro non si colloca più «la mera attività creativo-percettiva

70 Cfr. Guaccero, Un’esperienza di “teatro” musicale, cit.; Guaccero, Postilla sul teatro musicale, cit.; Guaccero, Sulla tradizione del teatro musicale, cit.; [Intervista sul teatro musicale a] Domenico Guaccero di Paula Maurizi [intervista registrata nel 1980], in Guaccero, “Un iter segnato”, cit., pp. 454-457; Macchi, Domenico Guaccero, cit.

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delle funzioni di udire (suoni e significati logici) e vedere (mimiche e scene), ma il “vivere dentro un’azione”. Il teatro, cioè, è azione».71

In tale concezione tutti gli aspetti dello spettacolo diventano strutturali, compreso il coinvolgimento del pubblico, poiché ne determinano la drammaturgia interagendo a vicenda in un contrappunto dove, a turno, ognuno di essi diventa predominante.

Se il testo verbale viene così a perdere la funzione portante nella definizione della drammaturgia, la ricchezza del trattamento a cui è sottoposto in questi lavori gli conferisce un nuovo signi- ficato come efficace mezzo espressivo e semantico attraverso la proliferazione e la diversificazione dei livelli ai quali ora si trova ad agire. Rispetto alle consuetudini del teatro musicale si amplia la gamma delle possibilità in cui questa componente prende parte allo spettacolo e si moltiplicano le modalità di manipolazione alle quali è sottoposta: simili comportamenti non sono mai gratuiti, ma avvengono sempre nell’ottica di un piano artistico generale dove sono chiamati a svolgere un compito di volta in volta preciso e organico.

La “parola” va dalla lettura muta (diapositive e cartelli), al parlato, al parlato cantato, al cantato, con passaggi continui (ad esempio, in una “relazione” una frase è parlata, un’altra mezza cantata, oppure, un’unica parola è cantata – non per empito lirico, dunque non per “straniamento”, sempre), oppure discontinui. La musica si trova anche ad affrontare in qualche punto la contemporaneità di linguaggio colto e linguaggio di consumo (o consumato?), quello “leggero”, ed è sempre un problema oggi, poiché tale dicotomia è lo specchio della dicotomia sociale e farli coincidere significa anche farli collidere.72

71 Guaccero, Un’esperienza di “teatro” musicale, cit., p. 148. 72 Ibid., p. 157; il corsivo è nell’originale.

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La commistione linguistica è uno di questi aspetti, presente fin da Anno Domini in una mistura di stili, registri e lingue che ritorna in gran parte dei lavori in questione, procurando la resa di maggiore impatto in A(lter)A(ction) e in Rappresentazione et esercizio. Nel primo caso assistiamo a una «combinazione verbale» che non è affatto «puro gioco, disimpegnato, ma contaminazione (anche contenutisticamente)» tra generi linguistici e musicali di diverso livello e provenienza, in quanto sul piano verbale Diacono immette nel testo un «senso di “fecalité” diffuso» e su quello musicale Macchi mescola al tessuto sonoro elementi estranei alla tradizione “colta” occidentale con «l’uso dell’orchestrina jazz, dei musical toys, della musica televisiva».73 In Rappresentazione et esercizio è invece

potenziata all’estremo la tendenza a intrecciare idiomi diversi, co- mune ai lavori di entrambi i compositori: alla costruzione del testo concorre non solo un numero particolarmente elevato di lingue, ovvero tre antiche (ebraico, greco, latino) e due moderne (italiano, spagnolo), ma persino «una sorta di dialetto artificiale, misto di elementi sardi (Nuorese) e pugliesi (Bari)», inventato appositamente da Guaccero «al fine di ottenere un tono arcaico, insieme classico e duro».74 Ne risulta un intarsio di lingue al quale si abbina un

analogo montaggio a tasselli di diverse modalità di enunciazione, di emissione della voce e di tipologie di canto, differenziate in base a una gamma estremamente ampia di possibilità, le quali possono sovrapporsi, intrecciarsi o alternarsi creando un variegato tessuto tanto semantico quanto sonoro-gestuale.

73 Tutte le citazioni provengono da Domenico Guaccero, Studio per A(lter)A(ction), in Id., “Un iter segnato”, cit., pp. 400-402: 401.

74 Domenico Guaccero, Premessa, in Id., Rappresentazione et esercizio, Ricordi, Milano, 1969, ripubblicata in Id., “Un iter segnato”, cit., pp. 474-476: 475.

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FIGURA . – Domenico Guaccero, Rappresentazione et esercizio, partitura, p. 3; Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Istituto per la Musica, Fondo Domenico Guaccero (per gentile concessione degli eredi e della Fondazione Giorgio Cini).

La ricchissima sperimentazione nel trattamento della componente verbale, tanto al livello della partitura quanto in quello della performance, costituisce un tratto distintivo di tutte le composizioni di Macchi e Guaccero qui prese in esame. In misura variabile a seconda dei singoli lavori, gli autori esplorano le possibilità di montaggio dei frammenti testuali in base a diversi

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FIGURA . – Domenico Guaccero, Rappresentazione et esercizio, partitura, p. 3; Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Istituto per la Musica, Fondo Domenico Guaccero (per gentile concessione degli eredi e della Fondazione Giorgio Cini).

La ricchissima sperimentazione nel trattamento della componente verbale, tanto al livello della partitura quanto in quello della performance, costituisce un tratto distintivo di tutte le composizioni di Macchi e Guaccero qui prese in esame. In misura variabile a seconda dei singoli lavori, gli autori esplorano le possibilità di montaggio dei frammenti testuali in base a diversi

gradi di continuità o disgregazione, in una scala che procede «in progressione graduale dal fonema puro (segnaletica linguistica) al discorso organizzato (poesia)».75 Vi si abbina un’analoga ricerca

sul piano della realizzazione sonora delle parole, ossia della loro enunciazione o intonazione applicando le più svariate possibilità di emissione della voce, così da procedere da un massimo di valorizzazione dell’apporto semantico (nella recitazione quasi

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