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Intermezzo II: l’arte estatica di Skrjabin

3. Arte come procedimento

3.2 Intermezzo II: l’arte estatica di Skrjabin

Sebbene Ejzenštejn, come abbiamo visto, si riferisca abbondantemente all’Arte come procedimento di Šklovskij, in Teoria generale del montaggio indica quale esempio da un lato di arte estatica che fonde elementi linguistici eterogenei, dall’altro come esempio di arte che mette in scena i propri procedimenti di costruzione, le ultime opere del musicista russo Alexander Skrjabin, l’autore del Poema dell’estasi, e del visionario Prometeo: il poema del fuoco.

Detto per inciso, Ejzenštejn, riferendosi a Skrjabin, dimostra interessi quantomai eterodossi rispetto al diktat culturale della Russia sovietica di quegli anni: la musica di Skrjabin era considerata, in quell’oscuro periodo di sclerotizzazione culturale zdanoviana, come exemplum perfetto di “degenerata” arte borghese e reazionaria.

Come funzionano le ultime musiche di Skrjabin225 e perché interessano tanto

ad Ejzenštejn?

Scrive Ejzenštejn, mettendo in parallelo la musica di Skrjabin con il lavoro dell’attore di Stanislavskij:

“E’ questa la lezione che Stanislavskij dava ai suoi attori quando diceva che nella recitazione è necessario ricreare il processo e non limitarsi ai risultati. […]

E’ lo stesso compito che si pone Skrjabin.”

Ejzenštejn continua citando lo scritto di un importante musicologo russo226:

“Skrjabin mette a profitto la dinamica dello stesso procedimento creativo e la sua realizzazione nell’arte.

Da questo punto di vista ricorda Rodin, che tentò di ricreare nella scultura non solo il movimento delle forme, ma anche la loro formazione.

225 L’ultima e rivoluzionaria fase della produzione skrjabiniana si apre con la Quinta sonata per pf.

e con il Poema dell’Estasi (1908) opere in cui il cromatismo wagneriano viene piegato ad una sorta di esoterica coincidenza della dimensione verticale-accordale della musica con la dimensione melodica-orizzontale.

Tale nuovo linguaggio sincretico – che interrela verticalità e orizzontalità – viene poi portato agli esiti estremi del Prometeo e delle ultime sonate per pf (1914-1915).

226 Si tratta del grande musicologo russo Leonid Sabaneev (1881-1968), amico di Skrjabin e primo

grande studioso della sua musica. Straordinario – per l’epoca – il suo saggio sul Prometeo di Skrjabin, pubblicato nel 1912 sulla rivista espressionista “Der blaue Reiter”.

[…] nessuno come Skrjabin fa entrare l’ascoltatore nel laboratorio della creazione musicale”227.

Perché la musica di Skrjabin mette in mostra, palesa, evidenzia, la “dinamica dello stesso procedimento creativo”, mette in scena “il laboratorio della creazione musicale”, in una (šklovskijana) parola, mette in scena il procedimento di costruzione del testo musicale?

È noto come, nel momento in cui uno strumento o la voce (umana e animale) emette un suono, un’altezza, insieme all’altezza immediatamente percepita (che si chiama Fondamentale in linguaggio tecnico) risuonano altre altezze, altre note: sono i cosiddetti armonici superiori, che costituiscono lo spettro armonico e quindi il timbro di uno strumento (ad es. un clarinetto ha uno spettro armonico completamente diverso dal pianoforte).

Dagli studi di acustica conosciamo oramai la struttura dello spettro armonico che risuona in una determinata altezza: se prendiamo, ad esempio un “do”, insieme alla Fondamentale “do” noi sentiremo il “do” dell’ottava superiore, poi la quinta superiore (il “sol”), poi ancora il “do” sito due ottave sopra, poi il “mi” etc., fino agli armonici più acuti e lontani dalla fondamentale.

Riportiamo lo schema degli armonici:

(N.B: le altezze degli armonici parziali, essendo naturali, non sono “temperate”, non obbediscono alle “correzioni” del temperamento equabile: i suoni 7,11,13,14,16 sono d’intonazione imprecisa. I suoni 7 e 14 sono calanti, il suono 11 sta fra il fa e il fa#, il suono 13 sta fra il sol# e il la, il suono 16 è crescente verso il reb. Sappiamo come l’accordatura del pianoforte derivi da una divisione artificiale dei suoni naturali in ottave giuste divise in dodici altezze calcolate alla distanza di un semitono: tutto ciò in natura non esiste. Per questo motivo i suoni

parziali armonici che vibrano sincronicamente col suono fondamentale essendo naturali non obbediscono al temperamento equabile artificiale.)

Quindi, già in una semplice melodia cantata (monodica: ossia una sola linea senza “accompagnamento”, per dirla volgarmente) noi abbiamo una dimensione semplicemente orizzontale – ad esempio le altezze do-re-mi-do-sol – che però porta con sé una dimensione automaticamente verticale costituita dalla “torre” degli armonici che risuona sulla e con la fondamentale immediatamente percepita.

La musica di Skrjabin, mima, mette in scena, palesa questa presenza – operante nella mera orizzontalità del suono – di una verticalità insita nella natura stessa, nell’organismo stesso del suono “semplice” monofonico, dell’Ur-Klage, del suono originario.

La stessa musica di Skrjabin si costituisce a partire da un legame organico, strutturale fra orizzontalità e verticalità.

Skrjabin costruisce, infatti, la sua armonia, i suoi accordi sullo spettro armonico che risuona nell’attimo stesso in cui un suono riverbera vibrando nell’aria: rende orizzontale quello che è verticale, dipana nel tempo l’attimo sincronico del suono.

Scrive Faubion Bowers, in una eccellente monografia su Skrjabin inedita in Italia:

“Quando Mozer gli spiegò la serie dei suoni armonici [the overtone series], rimase colpito dall’analogia della loro natura con quella delle note dei suoi accordi e pensava che quanto meglio fosse riuscito a far risuonare i suoni parziali superiori [the upper partials], ossia a rinforzarli, tanto più brillante sarebbe diventata la “luce” emanata dai suoi accordi”228.

C’è da chiedersi: in che modo Skrjabin costruisce le sue armonie sulla serie degli armonici superiori di un suono? Quali sono i processi compositivi che avvicinano le strutture degli accordi skrjabiniani alla torre di armonici parziali risuonante in un singolo suono?

Nei pezzi scritti da Skrjabin dopo la Quinta sonata per pianoforte op.53 (1907) e dopo il Poema dell’estasi op. 54 (1905-1908), l’armonia si complica

228 Faubion Bowers, The new Scriabin. Enigma and answers, pag. 135, St. Martin’s Press, New

progressivamente, allontanandosi sempre di più dalle strutture della tonalità allargata post-wagneriana. Le configurazioni accordali cominciano ad abbandonare la disposizione in terze sovrapposte, tipica degli accordi di nona, di undicesima, e di tredicesima. Queste nuove configurazioni accordali che superano la strutturazione in sovrapposizioni di terze, vengono spesso definite come “accordi sintetici” (“synthetic chords”229) o “accordi mistici”. In realtà si

tratta di una generalizzazione della definizione data da Skrjabin all’accordo unico su cui è costruita l’intera partitura del Prometeo, accordo su cui ritorneremo a breve, che, appunto, Skrjabin definisce come “accordo sintetico” e “accordo mistico”230. Skrjabin, quindi, non ha mai parlato – rispetto alle configurazioni

accordali usate in altri pezzi – di “accordo sintetico” o “accordo mistico”.

Vediamo ora 1) come Skrjabin superi la configurazione per torri di terze degli accordi di nona, undicesima tredicesima, 2) e come tale operazione sia attuata mimando il procedimento degli armonici parziali che risuonano con la nota fondamentale.

Prendiamo un accordo di nona minore di dominante tipico dello Skrjabin della Quinta sonata e del Poema dell’Estasi: si tratta di un accordo che appartiene al vocabolario armonico corrente del linguaggio post-wagneriano di fine ‘800 con l’aggiunta, peculiarmente skrjabiniana, della quinta diminuita – con funzione armonica di IV grado aumentato – (il fa#).

229 Cfr. lo splendido volume d’analisi musicale (in cui vengono analizzate a fondo le strutture

armoniche e macroformali delle opere di Skrjabin) James M. Baker, The music of Alexander

Skrjabin, Yale University Press, Yale 1989, soprattutto il capitolo settimo dedicato al superamento delle strutture tonali nella musica skrjabiniana, Relations among Sets in the Atonal music.

230 In Boris de Schloezer, Alexandre Scriabine, Librairie des Cinq Continents, Parigi 1975. Il libro

di Schloezer è particolarmente interessante: lo studioso era fratello della moglie di Skrjabin, e in questo libello ha raccolto alcune importanti dichiarazioni dirette del musicista russo, in particolar modo riflessioni preziose sulla sua musica. Per quanto riguarda le dichiarazioni skrjabiniane su l’“accord mystique” e l’“accord syntétique” cfr. ivi, pag. 113-ss. Gli scritti di Skrjabin, infatti, vertono essenzialmente sulla sua fumosa filosofia, che unisce echi di Nietzsche con la Teosofia di Rudolf Steiner; non trattano mai di questioni puramente musicali e non accennano all’“accordo mistico”: cfr, Aleksandr Nikolaevic Skrjabin, Appunti e riflessioni: quaderni inediti, Studio tesi, Pordenone 1992. Per una sintetica ricostruzione del pensiero mistico di Skrjabin cfr. Luigi Verdi,

Skrjabin isola le singole altezze e le riorganizza spostandole di posizione: ne viene fuori un accordo che non è più strutturato in terze sovrapposte, come il vecchio accordo tonale, ma che è costituito essenzialmente da tritoni, da quarte aumentate. Si tratta dell’intervallo fulcro di tutti gli accordi “sintetici” di Skrjabin.

Per di più, l’accordo prodotto da questo piccolo esperimento di composizione armonica skrjabiniana, altro non è se non la complessa configurazione accordale – a cui sono state dedicate pagine e pagine di analisi231 – spostata un tritono sotto

rispetto all’accordo di partenza, che si trova a battuta 2 del Preludio op. 74 n° 1 per pianoforte (di cui ci occuperemo in seguito).

Ma se confrontiamo questo accordo “sintetico” e soprattutto l’accordo di nona da cui deriva con la serie degli armonici, ci accorgiamo come esso scaturisca direttamente dalla sovrapposizione degli armonici parziali 8-9-10-11-12-15 più l’aggiunta dell’armonico 16 che, come sappiamo non è un vero “do bequadro” ma tende verso il “re bemolle” (cfr. esempio musicale seguente).

Si spiega, in tal modo, la presenza anomala, squisitamente skrjabiniana, della quarta aumentata “fa#”, una vera nota estranea e non giustificata rispetto ad un semplice accordo di nona minore di dominante. Skrjabin la inserisce proprio perché il suo accordo deriva direttamente dalla sovrapposizione degli armonici parziali superiori, che risuonano in ogni Naturlaut, in ogni “suono della natura”.

231 Le analisi più rilevanti in F. Bowers, The new Scriabin. Enigma and Answers, pag. 137-138,

Ora ci è chiaro come Skrjabin, con i suoi accordi, metta in scena il procedimento stesso della produzione del suono: i suoi accordi nascono da un lavoro analitico-compositivo che Skrjabin applica alla serie degli armonici parziali che vibrano insieme al suono fondamentale. Gli accordi di Skrjabin sono costruiti sulle vibrazioni del suono naturale, sul processo di vibrazione dell’aria che genera gli armonici e quindi la “nota”, l’altezza.

Skrjabin crea una natura seconda che però obbedisce alla legalità stessa della natura: crea un “artificio” con le leggi stesse della materia sonora, degli organismi sonori naturali. Come poteva non interessare Ejzenštejn, con la sua idea di un’opera d’arte che si struttura secondo le leggi della materia (ossia la legge del salto estatico), e che, data la sua organicità, riconnette l’uomo con la legalità cosmica (il pathos in una delle sue più definite accezioni)?

Scrive Ejzenštejn:

“E’ tipico di Skrjabin prendere come base «la struttura del suono in

genere». Cioè un elemento originario della natura così com’è, e non un

elemento della natura elaborato preliminarmente dalla coscienza”232.

Abbiamo visto come la serie degli armonici definisca anche il timbro dello strumento: in una nota di un clarinetto noi percepiamo con più precisione armonici che sono diversi da quelli che percepiamo nel suono di un pianoforte. Skrjabin, costruendo degli accordi che mimano la legalità degli armonici naturali, fonde l’elemento armonico con quello timbrico: i suoi sono accordi-timbro che, come dice Sabaneev, imitano “il suono delle campane”, o, per dirla con più

precisione, si tratta di configurazioni accordali che, comportandosi come gli armonici naturali, generano un timbro specifico al di là della loro emissione strumentale.

L’accordo produce già di per sé un timbro, è già uno strumento che si va a sommare al timbro dello strumento reale che lo emette, in una sovrapposizione di risonanze in cui risiede il peculiare suono skrjabiniano: basti pensare a come il pianoforte, nelle ultime composizioni pianistiche di Skrjabin, alteri totalmente la sua fisionomia timbrica, trasformandosi in un ensemble di metalli risuonanti. L’armonia di Skrjabin, generando da sola un suo timbro specifico, va riconfigurare il timbro stesso del pianoforte.

Scrive Sabaneev233 (citato da Ejzenštejn in Teoria generale del montaggio):

“La caratteristica principale del materiale armonico di cui si serve Skrjabin è la loro [delle armonie] «natura ultracromatica». Nella loro struttura Skrjabin vede intuitivamente un riflesso della struttura del suono in genere [ossia gli

armonici parziali che risuonano sulla fondamentale], come insieme

simultaneo di suoni o di parti costitutive di un unico evento acustico. A volte si tratta di organismi armonici, realizzati secondo il principio della struttura del semplice suono «musicale» che, come è noto, comprende serie di suoni complementari o di armonici superiori […]. Altre volte si tratta della riproduzione e ricostruzione intuitiva di quelle sonorità incomparabilmente più complesse che ci appaiono sotto forma di timbro di campane o di altri simili corpi sonori.

Con questo legame della struttura armonica con la struttura timbrica, con questo sistema, intuitivamente anticipato da Skrjabin, di creazione di complessi armonici a «immagine e somiglianza» dei timbri, si getta un ponte tra due concezioni acustiche che già da tempo si fondono: tra i complessi di suoni che si uniscono in un’unica percezione di «timbro sonoro» (zvukotembr) e i complessi di suoni uniti nel concetto di armonia”234.

233 Per i rapporti che legano Sabaneev a Skrjabin cfr. il vol. Giovanna Taglialatela, Alexandr Nikolevic Skrjabin nel Simbolismo russo, La nuova Italia ed., Firenze 1994, soprattutto il cap. III,

Reciproche influenze e punti di contatto nel rapporto di Skrjabin e i Simbolisti, pag. 94-ss.

234 S. M. Ejzenštejn, Teoria generale del montaggio, pag. 141, cit. Scrive Sabaneev a proposito

dell’“accordo mistico” che apre il Prometeo: “ anche prendendolo [l’accordo] in se stesso, al di fuori di ogni composizione, troviamo in quest’accordo una particolare Stimmung mistica, qualcosa che ci ricorda il suono di una gigantesca campana dal profondo rintocco”, L. Sabaneev, Vospominaija

o Skrjabin (Ricordo di Skrjabin), Musikalnije Sector, Mosca 1925 (ora in Luigi Verdi, Aleksandr

Skrjabin tra musica e filosofia, Passigli ed., Firenze 1991, pag. 86.). Scrive Bowers : “Skrjabin era affascinato dal carattere mistico delle campane russe, dette zvon in russo che significa

Ci scusiamo per la eccessiva lunghezza della citazione, ma le riflessioni di Sabaneev spiegano con innegabile chiarezza l’operazione con cui Skrjabin tenta di fondere “due mondi distinti” della musica, ossia l’armonia e il timbro, con la creazione di configurazioni accordali che producono già di per sé un timbro specifico.

Non è un caso che Ejzenštejn faccia riferimento così spesso a Skrjabin235.

L’armonia-timbro di Skrjabin si comporta – nei confronti del timbro strumentale – esattamente come l’elemento colore nei confronti dell’immagine audiovisiva. Abbiamo visto come l’elemento-colore riconfiguri, riorganizzi totalmente l’immagine – facendola estasiare, uscire “fuori di sé” – secondo le direttive di una specifica drammaturgia del colore. Allo stesso modo l’armonia-timbro di Skrjabin nel momento in cui entra in contatto con il timbro dello strumento, lo riorganizza, lo altera radicalmente: è come se si sovrapponessero due strumenti e si fondessero in una sola voce.

E non è casuale il nostro accostamento della teoria del colore di Ejzenštejn con l’armonia-timbro di Skrjabin.

Infatti, è di dominio pubblico – decantata e analizzata in una letteratura sterminata che unisce pubblicazioni esoteriche, teosofiche, para-filosofiche etc.236

– l’idea skrjabiniana di un’opera d’arte totale che unisca musica e colori, idea che, abbozzata nel Prometeo, avrebbe dovuto concretarsi integralmente nell’immane progetto del Mysterium, di cui non ci rimangono che abbozzi e appunti237.

Noi non ci occuperemo delle speculazioni filosofiche (intrise di un vaporoso misticismo esoterico) che Skrjabin dedicò al fine di elaborare una teoria delle corrispondenze cosmiche tra suono, colori e profumi (che spesso destano più

semplicemente “suono”. La campana, con la sua intonazione naturale [with its natural tuning] i suoi armonici [sharp overtones] e i decibel che si espandono senza fine”, in The New Skrjabin.

Enigma and Answers, pag. 111, cit.

235 Forniamo un piccolo elenco dei saggi ejzenštejniani che contengono osservazioni rilevanti su

Skrjabin: in Teoria generale del montaggio, Skrjabin è molto presente (pag, 141-ss, 167-ss, 364- ss), nel vol. Il movimento espressivo, cfr. il saggio Incarnazione del mito, dedicato alla messa in scena del Die Walküre di Richard Wagner che Ejzenštejn curò al Bol’šoi nel 1940, ne La natura

non indifferente, pag. 429-ss, etc.

236 Riflessioni serie sulla teoria dei colori di Skrjabin possiamo trovarle nel vol. di Luigi Verdi, Kandinskij e Skrjabin. Realtà e utopia nella Russia pre-rivoluzionaria, Akademos ed., Lucca 1996, in particolare tutta la Seconda parte: Suoni e colori (pag. 43-95).

237 Ora confluiti, seppur non integralmente, nel vol. Aleksandr Nikolaevic Skrjabin, Appunti e riflessioni: quaderni inediti, cit. (cfr. il quaderno n° 4 di appunti [pag. 95-ss], l’ultimo quaderno scritto da Skrjabin, in cui troviamo l’Atto preparatorio (Acte préalable), il poema che doveva introdurre al Mysterium).

interesse e producono più letteratura – paradossalmente – della musica stessa di Skrjabin). Noi, invece, ci atterremo il più il possibile alla musica, e all’analisi strutturale.

Ma ci permettiamo di notare, en passant, un appunto skrjabiniano che recita:

“le cose si distinguono unicamente per il grado di intensità della loro attività, cioè per il numero di vibrazioni in un’unità di tempo data”238.

Ricordiamo come, per Ejzenštejn (cfr. capitolo 2.1), la vibrazione delle particelle di luce del colore fosse il trait d’union, il punto di connessione dell’immagine filmica con il suono, con l’altezza della nota in quanto vibrazione di particelle sonore (mentre il movimento dei corpi all’interno dell’immagine – ad esempio la marcia dei soldati – era il corrispettivo del ritmo). Quindi il fenomeno naturale della vibrazione, sia per Ejzenštejn che per Skrjabin, unisce e rende comparabili se non assimilabili colore e suono: per Ejzenštejn il colore rappresenta il punto di connessione più importante per fondere in un organismo unico immagine filmica e musica.

Ripetiamo: non è un caso che Ejzenštejn faccia così spesso riferimento a Skrjabin e che conosca a fondo la letteratura più accorta sul compositore (a partire dagli scritti “fondativi” di Sabaneev). I punti di contatto tra le concezioni di due, come stiamo vedendo, sono profondi e capillari.

Anche per Skrjabin, dunque, colore e suono non sono che due aspetti complementari – come in uno Janus Bifrons – della vibrazione integrale che freme nella materia cosmica: il colore come vibrazione delle particelle di luce e il suono come vibrazione delle particelle dell’aria. Quindi è possibile istituire una corrispondenza organica tra il suono e il colore239. Skrjabin si accorse ben presto

di sentire le note come colori e di vedere i colori come suoni, secondo precise

238 M. Scriabine, Notes et refléxions, carnets inédits, Klinckseck ed., Paris 1979, vol. III, pag. 95. Si

tratta di un massiccio volume che riunisce inediti skrjabiniani e saggi della figlia del compositore, Marina, nonché studiosa delle opere del padre.

239 Scrive Isaac Newton “I differenti spessori dell’aria tra le lenti, in quei punti in cui gli anelli sono

successivamente formati dai confini dei sette colori seguenti, secondo l’ordine che io do loro qui, il rosso, l’arancione, il giallo, il verde, il blu, l’indaco e il violetto sono rapportati tra loro come le radici cubiche dei quadrati delle otto lunghezze di una corda musicale, che danno le note di una ottava”, in I. Newton, Traité d’optique, Paris 1722, pag. 241, cit. in A. Collisani, Il Prometeo di

corrispondenze che cercò di mettere a fuoco negli anni. Infatti, durante il suo soggiorno a Londra nel 1914 per la prima inglese del Prometeo, Skrjabin volle essere visitato dal Dottor Charles Myers, psicologo dell’Università di Cambridge, allo scopo di testare la sua capacità sinestetica.

Si legge nel resoconto del dottore:

“Durante il suo breve soggiorno in Inghilterra il celebre compositore russo Aleksandr Skrjabin mi permise gentilmente di sottoporre il suo udito ad un esame cromatico.[…] I colori rappresentano per Skrjabin una parte essenziale nella percezione complessiva dei suoni […]. L’attitudine di Skrjabin a percepire visivamente i suoni fu presa sul serio la prima volta durante un concerto a Parigi quando egli, sedendo vicino al compositore Rimskij-Korsakov, notò che il brano musicale che stava ascoltando (in Re maggiore), gli appariva giallo, alla qual cosa il suo vicino replicò che anche a

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