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12. RISULTATI

12.5. Interventi

Esistono varie strategie di prevenzione di un attacco aggressivo, anche prima che questo si manifesti (Heckemann et al 2016).

Vi sono tecniche per evitare che la persona provi rabbia nei confronti del personale durante la degenza e attui meccanismi di difesa aggressivi contro quest’ultimi.

Queste sussistono nell’ascolto attivo, nell’accogliere i bisogni dell’altro e dargli un senso pratico, limitare la sua dipendenza da terzi, attuando un’educazione terapeutica al fine di permettere al paziente di implementare la propria autonomia, sia in casi di malattia acuta,

50 sia e specialmente nei casi di patologie croniche debilitanti (Heckemann et al. 2016). Inoltre è necessario che si parli al paziente in termini a lui comprensibili, richiedendo continui feed-back per valutare il grado di comprensione della situazione, in modo da cominciare un approccio terapeutico al fine di raggiungere, in primis, una compliance terapeutica e lavorare, in un secondo momento, sullo sviluppo di un’aderenza terapeutica (Heckemann et al. 2016). È utile che si espliciti al paziente ogni atto che si va ad effettuare su di lui, specialmente quelli detti “atti invasivi”, che si presentano come una minaccia della sfera personale (Hahn et al. 2016).

Un approccio interdiscilinare aiuta il paziente a sentirsi preso a carico nella maniera più ottimale possibile (Hahn et al. 2010), egli infatti percepisce il recupero graduale della propria autonomia attraverso la collaborazione tra figure professionali diverse e, la sua giornata, all’interno di una struttura ospedaliera, viene occupata in maniera differente e in funzionale della guarigione. Pertanto, il paziente percepisce un benessere psicofisico che lo aiuta ad affrontare i momenti di sconforto (Hahn et al. 2010).

Se gli accorgimenti sovraesposti, non sono sufficienti a prevenire un’escalation violenta e si presentano i primi triggers, è comunque possibile attuare delle strategie per bloccarli sul nascere e ri-costruire una relazione terapeutica.

Se compaiono i segni premonitori, sovraesposti nel capitolo precedente, il personale curante, che si trova coinvolto nella situazione, può mettere in pratica i seguenti interventi per cercare di tranquillizzare il paziente (Heckemann et al. 2016).

Ad anticipare un episodio di violenza fisica spesso è la violenza verbale, essa infatti compare sotto forma di comunicazione offensiva, insulti o minacce (Chapmann et al. 2009b), è importante che il personale non faccia di questi commenti una questione personale (Heckemann et al. 2016) e mantenga una tipologia di atteggiamento assertivo e tranquillo, in quanto spesso, quella del paziente, è una comunicazione determinata da uno stato emotivo alterato (Heckemann et al. 2016). Importante è che l’atteggiamento verbale aggressivo del paziente venga innanzitutto accolto, per identificare il disagio e poi bloccato attraverso una politica di tolleranza zero (Opie et al. 2010).

In primis, quello che è possibile fare, è allontanare immediatamente più persone possibili dalla stanza, per salvaguardare la salute fisica di chi è nelle vicinanze diminuendo così la tensione all’interno della camera e poter parlare con tranquillità proteggendo sé stessi e gli altri (Heckemann et al. 2016).

Una volta che nelle immediate vicinanze il numero di persone presenti è il minore possibile è necessario che il curante mantenga un tono della voce calmo e sicuro, così come l’espressione del viso che deve trasmettere fiducia e tranquillità al paziente (Heckemann et al. 2016).

Per quel che riguarda la postura da assumere, è utile che il personale coinvolto mantenga una postura rilassata, con una posizione del corpo all’incirca a 45°, rivolto leggermente su un lato in modo da essere pronto a lasciare la stanza nel più breve tempo possibile oppure in modo che il paziente non percepisca, con postura dritta e composta, una minaccia alla sua persona (Heckemann et al.2016). È preferibile che le mani siano poste in vista, ma pronte all’autodifesa se si rivela necessario (Heckemann et al. 2016). Questo per tranquillizzare il paziente sul fatto che in mano non si ha nulla e che quindi la situazione non risulta essere a suo discapito (Heckemann et al. 2016). Sempre per la stessa ragione è utile che la gesticolazione sia ridotta al minimo e che sia lenta e composta (Heckemann et al. 2016).

Come infermieri, nella professione, si è abituati ad interagire fisicamente con il paziente, anche solo un minimo contatto fisico aiuta ad entrare in contatto con quest’ultimo e a stabilire l’inizio di una relazione terapeutica, anche se taciturna (Heckemann et al. 2016; Hahn et al. 2010). È fondamentale, però, che in una situazione di tensione che

51 preannuncia un agito aggressivo, l’infermiere coinvolto eviti nel limite del possibile il contatto fisico con il paziente e ne usufruisca solamente in caso di difesa personale (Heckemann et al. 2016; Hahn et al. 2010)

Heckemann et al. (2016) nella loro ricerca consigliano, se la comunicazione comincia ad assumere toni minacciosi o aggressivi, di reindirizzare il focus su qualcosa di differente dal motivo per il quale è originata la discussione. Questo permette alla persona di concentrarsi su altro e, come specificato da Trahan & Bishop (2016), distogliere l’attenzione dall’evento negativo, impegnando la mente altrove facendo sì che il paziente plachi gli istinti aggressivi scaturiti dal focus precedente.

Se le tecniche comunicative e gli accorgimenti sopracitati messi non dovessero sorbire l’effetto desiderato, si può provare a spiegare al paziente che, allo stato attuale, si ha paura di lui e che si percepisce la sua rabbia e le sue intenzioni violente (Heckemann et al. 2016). Questo dovrebbe far intendere al curato che si accoglie il suo stato d’animo. La conseguenza dovrebbe essere una presa di coscienza della situazione da parte del paziente che farà abbassare il livello emotivo e aumentare quello razionale, permettendogli di prendere atto il suo atteggiamento e adeguarlo di conseguenza (Heckemann et al. 2016).

Non sempre però queste tecniche per tentare una de-escalation della violenza sono funzionali, pertanto Heckemann et al. (2016) consigliano di tenersi il più possibile in prossimità delle vie di fuga in modo da poter lasciare con facilità la stanza e togliersi fisicamente dal contesto e salvaguardare in primis se stessi e il paziente.

Kvas & Seljak (2014) propongono, sempre in caso in cui le tecniche non coercitive siano disfunzionali, un approccio farmacologico alla risoluzione della situazione.

Opie et al. (2010) inoltre consigliano l’applicazione di una politica di tolleranza zero, che dice di non permettere né al paziente né al parente di parlare al personale infermieristico in modo offensivo in quanto, il lasciar perdere, fa intendere che un agito aggressivo di qualsiasi tipo è accettato in sanità. Far capire fin da subito alla persona che non si è disposti a tollerare nessun tipo di volenza mette dovrebbe bloccare sul nascere eventuali agiti.

Non è detto che gli interventi da attuare siano funzionali per ogni tipo di paziente e purtroppo, la violenza a volte non può essere bloccata e le conseguenze degli agiti aggressivi possono essere più o meno importanti per la vittima.

12.6. Impatto fisico, psicologico, sociale, economico e lavorativo che un agito

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