Anche in questo Rapporto 2009 emerge nettamente la puntualità dell’elaborazione e un indirizzo di analisi che costituisce un punto di riferimento complessivo nell’analisi delle politiche del Mezzogiorno.
Partirei da una considerazione di carattere generale sugli esiti negativi della crisi finanziaria internazionale. E’ del tutto probabile che questi, nel Mezzogiorno, possano essere percepiti successivamente. In maniera del tutto analoga anche gli esiti postivi dell’azione del Governo Berlusconi non possono essere percepiti nell’immediato. Il Rapporto analizza infatti il 2008 e contiene solamente un piccolo paragrafo con dei cenni sul primo trimestre 2009.
Condivido del Rapporto SVIMEZ il suo carattere di terreno di confronto che scaturisce da una puntuale analisi dello stato delle cose ma che indica soprattutto alcune scelte di prospettiva.
Intanto condivido due concetti fondamentali.
Il primo è quello di una politica di intervento che sia realmente di carattere nazionale, che stabilisca, nell’ambito dell’azione del Governo, una priorità, una visione, una strategia.
Il secondo è che si possa immaginare, nel quadro delle riforme tracciate dal Governo, quali possano essere gli elementi correttivi rispetto alle politiche e quindi ai risultati prodotti nel Mezzogiorno a tutt’oggi
Abbiamo di fronte lo scenario di un’analisi delle politiche del 2000-2006 e quindi dell’utilizzo delle risorse, delle modalità e dei risultati di tale ciclo di programmazione. Una seconda analisi riguarda la prima parte del “Quadro strategico nazionale” 2007-2013. Credo che questi elementi vadano inseriti in un contesto più ampio legato soprattutto all’ampliamento dell’Unione europea e al fatto che tutte le politiche di cui parliamo derivano da politiche di coesione dell’Unione europea; politiche che in questa fase andranno ridiscusse. Il 2013
∗ Ministro per i Rapporti con le Regioni.
infatti non è molto lontano. Sono molto vicine quindi le scelte che dobbiamo operare in questa fase.
Temo, di contro, che il rumore di fondo della campagna elettorale per il rinnovo dei consigli regionali possa divenire assordante falsando e forzando le analisi.
Intanto si potrebbe evitare di guardare all’immediato, al contingente e cercare di individuare alcune scelte strutturali, di immaginare una strategia che vada oltre la polemica quotidiana, che possa offrire contributi utili ad affrontare le questioni che incalzano.
Proprio in quanto membro del Governo non ho alcuna difficoltà a condividere l’esigenza, in questo momento non più rinviabile, che proprio il Governo ponga in essere politiche che portino a superare le difficoltà strutturali che in questo Rapporto 2009 emergono in modo chiaro.
Abbiamo due binari da seguire in un tracciato che deve mantenere non solo il parallelismo ma anche la sincronia. Il primo è quello dell’utilizzo delle risorse; il secondo è quello delle riforme che devono incidere in modo concreto. Su questo terreno mi permetto di citare la riforma del federalismo fiscale, che ha avuto una sua prima approvazione nell’ambito dei dibattiti parlamentare e che dovrà trovare, nella fase successiva dei prossimi mesi, nel decreto di attuazione, la sua piena concretezza.
Richiamo questi punti anche alla luce di qualche esperienza.
Sono stato Presidente di una Regione, mi sono confrontato con questi problemi, sono esponente di questo Governo, sono esponente del Mezzogiorno e penso che la prima considerazione che tutti dovremmo fare è quella di un’autocritica complessiva per cercare di comprendere tutto ciò che non ha funzionato, evitando di porsi in contrapposizioni che poi diventano alibi. I rimpalli di responsabilità finiscono con il sorvolare sul merito delle questioni.
Qual è il punto da cogliere nel Rapporto la SVIMEZ quest’anno?
Il punto è che la programmazione 2000-2006 non ha colpito nel segno, non ha prodotto i risultati che sarebbe stato opportuno attendersi. Ma c’è anche un’altra considerazione molto importante che dovrebbe essere oggetto di una riflessione serena, anche questa un po’ più distaccata dalla polemica politica: il fatto che anche la
programmazione 2007-2013 sta segnando il passo. Segna il passo sia nell’ambito delle Amministrazioni centrali, sia, soprattutto nell’ambito dell’azione delle Amministrazioni regionali. Per diverse ragioni. La complessità del sistema individuato, la scelta di puntare ancora una volta su un numero eccessivo di programmi di intervento senza guardare a quelle che possono e debbono essere invece le scelte fondamentali e strategiche per il Mezzogiorno. Emerge quindi la difficoltà complessiva a rendere omogeneo il “Quadro strategico nazionale” e a comprendere di volta in volta qual è il livello innanzitutto di qualità, ma anche di quantità, della spesa.
E’ vero, la crisi ha portato questo Governo a compiere la scelta di impiegare parte delle risorse del Fondo per le Aree Sottoutilizzate per alcune emergenze e ne cito due in modo particolare. Gli ammortizzatori sociali e il terremoto nell’Abruzzo. Le quote latte, invece, non sono state coperte dalle risorse del FAS: si tratta di una notizia passata sui giornali ma che non corrisponde alla realtà.
Va rilevato che, mentre si discute ossessivamente sulla quantità delle risorse nazionali del FAS, della programmazione 2007-2013, non ci poniamo alcuni problemi che restano ineludibili.
Qual è la percentuale di spesa del FAS 2000-2006? Potremmo verificare che la metà di quelle risorse ancora non sono state spese per una serie di ragioni innumerevoli.
Qual è la percentuale di utilizzo delle risorse comunitarie 2000-2006? Cento per cento: complimenti! Qui ci sarebbe un ragionamento molto delicato relativo ai “progetti coerenti”, ai cosiddetti “progetti sponda”, realizzati con altri finanziamenti che vengono rendicontati in forme tali da accontentare la burocrazia di Bruxelles ma che in realtà non sono stati impiegati correttamente rispetto agli obiettivi che erano stati indicati.
L’analisi, al punto in cui siamo, va fatta fino in fondo per costruire un percorso che metta insieme due elementi fondamentali: la responsabilizzazione dei pubblici amministratori e la qualità della spesa pubblica nell’utilizzo delle risorse.
Non ritengo possibile continuare a programmare le risorse del FAS o degli interventi complessivi destinandone una quota importante alla spesa corrente.
Credo che vada valutato positivamente che due Governi, uno di centro-sinistra e uno di centro-destra abbiano trovato un punto di convergenza nel non finanziare la legge regionale della Campania che prevedeva il reddito di cittadinanza. È un fatto molto positivo perché è esattamente l’opposto di quello che serve al Mezzogiorno d’Italia.
Perché non è possibile continuare a favorire nel Mezzogiorno la crescita della spesa corrente anziché privilegiare la spesa per investimenti. E’ questa che dovrebbe caratterizzare le politiche aggiuntive e che dovrebbe essere un elemento fondamentale per l’assegnazione di queste risorse. Questo è un tema sul quale dovremmo interrogarci. E questo tema si ricollega a un altro aspetto relativo ad altri fattori che incidono sulla qualità della vita nel Mezzogiorno.
Poniamo l’attenzione ad alcune questioni di acuta gravità nel Mezzogiorno. La prima quella della Sanità. Fa specie che in genere si parli poco di sanità, che nelle Regioni del Mezzogiorno esiste un deficit clamoroso nella sanità che induce queste Regioni ad aumentare a dismisura la pressione fiscale di competenza regionale. Tutto questo determina un saldo del tutto passivo per quelle famiglie che poi − andiamo al secondo tema − conseguentemente hanno un carico fiscale maggiore, per quelle imprese che hanno delle difficoltà strutturali oggettive nel Mezzogiorno, che si ritrovano in un contesto nel quale c’è una maggiore percentuale di mobilità passiva. Al danno si aggiunge la beffa. Ma allora il punto è il differenziale tra Nord e Sud di Welfare, perché quel differenziale è frutto di politiche corrette degli Enti locali del Nord che portano ad avere dei bilanci diversi e che portano ad integrare il trasferimento ordinario di risorse sul Welfare con risorse proprie. Da questo emergono quei dati che producono una migliore qualità della vita.
Ora su questo non c’è da innescare polemiche. Non servono.
C’è da fare un ragionamento serio, un’analisi corretta, per capire come non ripetere gli errori compiuti.
Non mancano i luoghi nei quali cominciare a ragionare, in cui cercare di costruire un processo che sia innanzitutto culturale. Perché è di questo che parliamo. Perché tutte le questioni su cui ci confrontiamo hanno una valenza sostanzialmente culturale. E per
questo che non possiamo continuare in contrapposizioni generiche o in polemiche tanto chiassose quanto sterili.
Dobbiamo parlare di cose solide, concrete. Dobbiamo leggere i dati del Rapporto 2009, capire questa crisi che in questa fase sta incidendo di più in altre parti del Paese e che dopo inciderà inevitabilmente sul Mezzogiorno.
Non è un caso che gli ammortizzatori sociali diano una risposta molto più nelle aree del Centro-Nord del Paese, là dove la crisi internazionale sta incidendo concretamente su quelle aziende che vivendo molto più di export e quindi di concorrenza internazionale, registrano in questa prima fase andamenti negativi.
Il Mezzogiorno quindi deve reagire e in tempi rapidi, molto rapidi.
Com’è noto sono stato relatore del provvedimento sul federalismo fiscale, ne ho seguito la genesi che è passata anche per il testo elaborato dalla Regione Lombardia.
Qualcuno parla ancora di quel testo come se fosse il testo che è stato votato dal Parlamento.
Quello è stato un testo. La verità è che, nel Governo prima e nel Parlamento poi, quel testo è stato profondamente modificato. Oggi parliamo di un federalismo fiscale che rappresenta in modo molto chiaro i principi dell’ equilibrio territoriale. Il concetto di solidarietà all’interno di quel testo è rimarcato in modo inequivocabile ed è un principio che va sostanziato nella fase attuale di confronto, di raccolta dei dati, di predisposizione dei decreti legislativi di attuazione. E’ un principio che afferma la responsabilizzazione dei pubblici amministratori e il principio del potere sostitutivo dello Stato qualora non ci sia la capacità di incidere concretamente. Tanto per fare un esempio: non è possibile immaginare di rivendicare risorse aggiuntive per tappare i buchi che si aprono sul fronte della spesa corrente. Le risorse aggiuntive si sono ridotte e su questo c’è da fare una riflessione.
Ma non solo su questo. Dobbiamo riflettere sui tempi, sulla differenza fra le aree territoriali nei tempi del progettare e appaltare un’opera.
Anche questo è un tema sul quale cercare forme e modalità di dialogo, di confronto e non certamente sterili ed inutili polemiche.
Trovo preoccupante il fatto che i dati di fine 2008, del primo biennio delle politiche di coesione, quindi degli interventi dei Programmi operativi regionali e complessivamente del “Quadro strategico nazionale”, diano a tutt’oggi un’indicazione di spesa dallo 0,7%
all’1,9% degli impegni.
Il 31 dicembre 2009 leggeremo i dati di spesa della prima fase di questo programma e temo che questi dati o saranno profondamente modificati da progetti sponda oppure diversamente non testimonieranno alcun tipo di intervento concreto.
Questo è un problema, o non lo è ? Vogliamo continuare a discutere e polemizzare?
C’è un richiamo forte che viene fatto e che non deve apparire in contrapposizione al percorso di riforma in senso federale dello Stato: è quello di un momento di sintesi della politica nazionale nelle scelte per il Mezzogiorno.
I problemi di cui parliamo molto spesso trascendono il contesto locale, perché il tema dell’adeguamento infrastrutturale e delle scelte fondamentali per il Mezzogiorno richiede una visione assolutamente interregionale, e quindi non può essere concentrato in ambito locale, perché apparirebbe un paradosso utilizzare tutte le risorse di cui stiamo parlando, che pur ci sono al netto di quei tagli cui abbiamo fatto riferimento, senza realizzare le infrastrutture fondamentali per il Mezzogiorno del Paese. Questo è il tema e qui c’è da compiere una scelta, quella di ridurre, intervenendo in modo netto, la spesa corrente e cercare di concentrare le risorse sulle infrastrutture fondamentali per il Mezzogiorno.
Questo deve essere un impegno comune dei diversi livelli istituzionali.
Si rende indispensabile una valutazione complessiva di quelle che sono le scelte da compiere tanto a livello nazionale quanto a livello regionale e questo ha bisogno soprattutto di una tempistica adeguata.
Il tema dei tempi è fondamentale perché le procedure ipotizzate, immaginate, i ragionamenti costruiti, il tentativo di dare l’avvio a questi interventi ci consegnano un quadro molto preoccupante sulla programmazione precedente che lascia supporre per la programmazione 2007-2013 lo stesso percorso e la stessa direzione.
La necessità che oggi abbiamo è quella di comprendere come velocizzare e attuare la spesa. Questione che è culturale ma anche di riforma complessiva delle procedure. E’ stata realizzata una parte del ciclo integrato dei rifiuti in Campania. Primo ed unico termovalorizzatore realizzato nel Mezzogiorno. Dove è stato realizzato un termovalorizzatore si può completare il ciclo dei rifiuti e ridurre il conferimento in discarica che, nel Sud, è ancora elevatissimo, con tutto ciò che comporta, con una differenza clamorosa con il resto del Paese.
Che ci siano diversi Mezzogiorno è nelle cose. Ci sono realtà dove emerge una volontà di cambiare marcia e penso che vadano colte in modo molto positivo. Su questo si deve giocare una partita importante e decisiva ed è la partita che deve mettere insieme complessivamente le considerazioni fatte perché ci dia anche un’indicazione di marcia sulla quale poter affrontare le emergenze ed i problemi che abbiamo.
Altrimenti il federalismo potrà rappresentare un problema per il Paese.
Alcuni ragionamenti critici sul federalismo hanno la particolarità di non essere altro che una fotografia dell’esistente. Quando si afferma che il federalismo porterà la divisione, la spaccatura del Paese, l’incapacità di dare delle risposte: ebbene, tutto ciò rappresenta la fotografia del Paese in questo momento. Va invece colta l’opportunità per cercare di mettere insieme una politica nazionale e regionale e qui il Governo deve fare la sua parte. Una politica nazionale che sia in grado di intervenire concretamente. Non è un caso che i tempi del federalismo siano stati scadenzati in un certo modo; evidentemente c’è stata una valutazione di questo tipo: si prevedono 12 mesi per il primo decreto di attuazione, 24 per il secondo, 5 anni per la transizione, per il passaggio a regime ordinario. Il che vuol dire che c’è un periodo che può garantire nel Mezzogiorno la realizzazione di processi virtuosi, di cambiamento, di riforma. Ma non con la contrapposizione, bensì con l’assunzione di responsabilità. Io penso che su questa partita si giochi il momento fondamentale del rilancio possibile del Mezzogiorno.
74
La SVIMEZ e le Associazioni che si interessano e si impegnano su questi temi, che danno un contributo importante, devono rappresentare un punto di riferimento.
In occasione della presentazione del Rapporto Svimez 2007 il Presidente Novacco lanciò un’iniziativa che purtroppo non ha avuto seguito, quella di una Conferenza nazionale, di un momento di confronto, di dialogo. Ritengo che questo richiamo, che ancora una volta è stato lanciato, debba essere colto.
E’ difficile fare da soli nel Mezzogiorno. E’ difficile per il Governo, per le Regioni, per gli Enti Locali e lo è ancora di più in contrapposizione preconcetta e settaria. Se un ripensamento delle politiche può essere elaborato e posto in essere lo si deve fare il più concordemente possibile, in un contesto complessivo nel quale SVIMEZ rappresenta un punto di riferimento ineludibile.