• Non ci sono risultati.

4.3 Preparazione all’intervista

4.3.5 Intervista ad una Psicologa

La Dottoressa Luisa Blasi è una psicologa pluriformata in psicologia, psicodinamica e in psicoterapia-familiare con un master in Psicologia del Lavoro. Le sue prime esperienze lavorative si sono svolte a Milano in un consultorio familiare presso il Dipartimento Famiglia ed Età Evolutiva, poi, per esigenze personali, ritornò a vivere e a lavorare a Venezia, città d’origine.

L’incontro con lei, svolto nel suo ufficio, è stato un colloquio interessante e didatticamente produttivo; la Dott. Blasi si è, a volte, anche imposta sostenendo teorie diverse da a quelle della scrivente e rapportandosi sempre con rispetto e professionalità. All’inizio è incuriosita e un po’ intimorita da quello a cui si vuole arrivare e chiede più volte “cosa si sta indagando?” Si comprende la sua posizione di dipendente di una struttura conosciuta a Venezia e la si rassicura che lo scopo di ricerca è esclusivamente universitario. Le si spiega inoltre che non ci si aspetta di arrivare ad una soluzione, né si ha la pretesa di voler dare una definizione al fenomeno studiato, ma, essendone interessati e avendolo provato in prima persona, si desidera approfondire il tema. Dopo aver compreso la spiegazione ci racconta che lavora al servizio Serd di Venezia da 14 anni e, anche se non ha inizialmente scelto lei tale settore, sostiene di trovarsi molto bene; prima di lavorare in questa realtà s’immaginava un lavoro tosto, ma non credeva che racchiudesse tanta ricchezza e si sente soddisfatta e appagata per ciò che fa, anche se ammette essere usurante. Nella comunicazione la troviamo molto diretta e trasparente e, fin da subito, non nasconde la sua perplessità sull’effetto positivo dello sconfinamento:

Le relazioni con gli utenti-clienti sono frutto di rispetto e fiducia perciò è importante che noi stessi in primis manteniamo il nostro ruolo perché se no rischiamo di illuderli e poi, di conseguenza, di deluderli. Non dico che bisogna rimanere chiusi nella proprio professione, ma sostengo che sia importante aprirsi all’interno dei confini del proprio ruolo. L’apertura dev’essere direttamente proporzionale alle proprie competenze; più giovane sei, meno sai e meno ti puoi permettere di muoverti all’interno dei confini; più esperienza hai e più riesci a destreggiarti nel tuo ruolo.

È capitato che sbagliassi e affrettassi un procedimento accorgendomi, solamente in un secondo momento, che era troppo per il mio soggetto, ma in quel caso è importante ammettere l’errore

davanti alla persona: “ho sbagliato io, non tu”; “errore mio”. Bisogna avere rispetto per la persona che si ha di fronte e per il contesto della situazione nella quale ci troviamo.

Luisa cita un film “L’attimo fuggente” di Peter Weir (1989) nel quale Robbie Williams interpreta il ruolo di professore all’interno di un college maschile:

Nel film il professore è andato oltre la sua professione e non ha rispettato la sensibilità del ragazzo, che alla fine si suicida. È sempre importante ricordarsi la fragilità delle persone che vengono a chiederci un aiuto.

Ripensando al film e alla sensazione di amarezza che scatena quando il figlio, non riuscendo a ribellarsi dal padre decide di uccidersi, ci viene in mente anche la frustrazione sentita quando la scuola incolpò il professore, vedendolo come colpevole. Si riflette sul ruolo del professore del film, stimolatore di pensieri rivoluzionari che sicuramente sconfina al di là del suo ruolo di insegnate d’italiano e li educa a vedere le cose in modo diverso e, altrettanto certamente, non riesce a comprendere e prevedere il gesto suicida del ragazzo commettendo un errore con conseguenze irreparabili.

Durante tale digressione, la Psicologa Luisa Blasi prosegue con il suo ragionamento: Se mi arriva una persona con difficoltà economiche non posso pensare di risolvere la situazione dandogli dei soldi perché farei del male a lui se gli passassi questo tipo di messaggio e inoltre non risolverei il suo problema. Bisogna stare attenti al metamessaggio che si trasmette; posso essere vicina ad una persona, ma mantenere parallelamente il mio ruolo. E devo essere schietta e sincera, non posso giocare sul rispetto delle persone; per supere un problema bisogna primo accettarlo e il modo migliore è mostrargli la realtà così com’è, nel bene e nel male.

Il colloquio procede serenamente; la dottoressa Blasi non conosce personalmente la scrivente e pone molte domande perché interessata al tema di ricerca. Durante l’incontro si pensa che la parola maggiormente utilizzata sia stata “complesso”: “è un fenomeno complesso”; “la situazione è complessa”; ecc. Ed è proprio così; più ci inoltriamo nel tema e più ci incontriamo con variabili e punti di vista da decifrare. Paradossalmente, all’inizio dell’elaborato si aveva un’idea più chiara perché si vedeva solamente una parte della situazione; è come quando si ha in mano il cubo di

Rubik – gioco logico-matematico inventato dall’architetto Erno Rubik (1974) - e si guarda la prima faccia pensando che alla fine non sembra poi così difficile sistemarla, poi però ci si accorge che muovendo un pezzo, si muovono anche altri pezzi e altre facce e la questione diventa quindi più complessa di come ti si era prospettata. La Psicologa Blasi ci illustra una sua visione del mondo del sociale:

Penso che lavorare nel sociale sia una delle cose più difficili che si possa fare, perché devi investire tanto, anche emotivamente parlando. Ti scontri con emozioni forti: rabbia, sofferenza, malattia, ecc. e avere una supervisione sarebbe sicuramente utile per l’operatore sociale. Per lo stesso motivo, sono utili i confronti con gli altri operatori, le formazioni, gli aggiornamenti e il lavoro in equipe. Quest’ultimo penso sia un elemento fondamentale per l’operatore sociale, e, se usato in modo strategico, è essenziale anche per l’utente che si affaccia al servizio. La collaborazione e cooperazione tra i diversi professionisti è un elemento chiave che, se ben strutturato, valorizza la differenza professionale tra gli operatori creandone integrazione ed efficienza. In caso opposto invece abbiamo solo una gran confusione all’interno del servizio e anche nella testa dell’individuo che frequenta la struttura.

La conversazione sconfina ai margini del tema soffermandosi sulle problematiche attuali della società e si concorda sul fatto che nel sociale siamo carenti di pensiero organizzativo, non tanto noi come operatori e nemmeno i servizi, ma a livello di cultura e politica italiana che dovrebbe implementare la teoria nella pratica poiché la prima è incontrovertibile, ma alla fine non realizzata.

Non dilungandoci troppo su discorsi politici-filosofici, la Dottoressa Blasi torna sull’argomento spiegando che secondo lei ci sono tre alternative per l’operatore: sconfinare verso l’individuo, ed è rischioso sia per sé stesso, che per l’utente; distaccarsi dai suoi clienti per preservare sé stesso; utilizzare un’alta professionalità e trovare il modo giusto per operare. Nei primi due punti il professionista si trova davanti ad un bivio e ciò che sceglierà porterà sicuramente a delle conseguenze, negative o positive che siano. Nell’ultimo caso invece, l’operatore è nel mezzo e non esiste una linea guida che ti insegni come fare e fin dove ti puoi spingere; sei tu lo strumento e devi trovare tu il confine adatto per lavorare con la persona e con le risorse che disponi; Blasi sostiene infatti che sia principale evidenziare la realtà nella

quale si trova la persona in difficoltà e non celargli gli aspetti negativi della situazione:

Bisogna insegnare a vivere nella realtà anche se la realtà è sbagliata. Non si può fare eccezioni alle regole perché poi diventa tutto un’eccezione e sappiamo bene che la Legge viene applicata ai nemici e interpretata agli amici. Non ci dev’essere possibilità di arbitrio; bisogna vedere sempre i limiti del ruolo e della situazione.

Si vede nella dottoressa una persona competente, professionale ed un’operatrice esperta del settore nel quale lavora; incontrarsi è stato, all’inizio, un po’ complicato per un problema di impegni e orari, ma alla fine, molto stimolante e produttivo.

Prima di terminare il colloquio, le si chiede se desidera aggiungere altro e lei ci parla degli sconfinamenti ragionati a fini sociali:

Penso siano molto utili tutti quegli sconfinamenti verso la società, e non quindi verso un singolo individuo, che si sviluppano in azioni di sensibilizzazione collettiva. Intendo lo sconfinamento come azione di alta professionalità nell’impegno sociale e sul piano culturale per superare stereotipi e pregiudizi. Non credo che le persone siano né sorde, né cieche, perciò l’organizzare progetti quando mancano le risorse e la diffusione del sapere scientifico attraverso una corretta informazione, mi sembrano un ottimo sconfinamento di mediazione culturale ed antropologica.

Ringrazio la dott. Blasi per il tempo e i pensieri che ha condiviso e ci salutiamo. Mentre ci accompagna all’uscita ci chiede che altre figure professionali sono state intervistate, le si spiega che si è deciso di incontrare almeno un professionista per settore e quindi cercare di parlare con tutte le tipologie di operatori sociali: psicologo, pedagogista, educatore, assistente sociale, mediatore e operatore socio-sanitario. Sorride all’informazione ricevuta sostenendo tale scelta e dando un consiglio:

Cerca di rispettare tutti i diversi punti di vista e di vedere nelle opinioni un “e, e” e non un “o, o”.

Riflettiamo su tale opinione: alla base di un pensiero c’è un ragionamento personale e, per questo motivo, tutte le osservazioni vanno accettate e rispettate e se, analizzando le varie interviste, ci accorgessimo che alcune fossero discordanti, certamente non cercheremmo di capire qual è quella più corretta, ma le porremmo nello stesso piano come due visioni opposte dello stesso fenomeno.

Documenti correlati