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Cosa fai subito dopo la liberazione?

Tutto, era da rimettere in piedi, l'unica cosa che c'era, era la lotta di Liberazione e l'impegno dei vari partiti con un contenuto unitario di questi. Io vengo accorpato alla Federazione veneziana. Conosco Luciano Marchi segretario della Federazione; la sede si trovava in piazza San Marco, sopra il bar americano [sede della sezione del Pci di S. Marco, la sede della Federazione era in Calle del Doge a S. Maurizio].

Che cosa fai in quel periodo? Lavori?

Io caricavo e scaricavo i rifornimenti dell'ottava armata inglese, nell'ex stabilimento delle Leghe leggere a Porto Marghera. Ritorno dove avevo lavorato da ragazzino.

Per quanto tempo ci lavori?

Sei, sette mesi.

C'erano altri compagni?

No, solo dei giovani che non conoscevo fino ad allora.

Come mai questo impiego?

Dovevo trovarmi un lavoro, sapevo che lì stavano cercando dei giovani per assumerli; c'erano dei camion che andavano in giro a cercare dei giovani per questi lavori. Durante il lavoro, noi prendevamo anche questi rifornimenti. Eravamo diretti da un sergente tedesco prigioniero, a sua volta diretto da un sergente inglese che lo usava perché non conosceva l'italiano. Il tedesco era socievole, mentre l'inglese più serio.

583 Vinicio Morini, partigiano, comunista. Dirigente della Federazione nel periodo clandestino. Subito dopo la Liberazione non fece parte, attivamente, della Federazione; si riavvicinò verso il '47 per diventare poi dirigente sindacale. Fu consigliere comunale di Mirano dal '51 al '75.

In questi sei mesi hai contatti con la federazione?

No, sono solo iscritto ma non avevo nessun compito. D'altra parte doveva essere ricostruito tutto. “Spino” [Marchi] prima io non lo conoscevo. Con la caduta dello stato fascista, doveva essere ripresa l'organizzazione e il funzionamento delle istituzioni locali, le scuole, gli ospedali, le province, i comuni. La direzione fu diversa e nuova, gestita dai partiti, con i loro vari rappresentanti e funzionari.

Come finisce questo lavoro?

Mario Balladelli con il quale ero in contatto, mi chiede di andare a Milano per un corso di formazione politica per il partito; c'era bisogno di giovani.

C'erano altri di Venezia?

No, io ero l'unico di Venezia, ma c'erano altri compagni di altre città.

Cesco Chinello parla nella sua autobiografia di un corso di formazione politica, ma a Roma. Come mai questa diversità?

Il suo corso era più specialistico e più qualificato; la sua formazione è più rigorosa e durava di più. La loro era più impegnativa di scuola. A Roma c'era il governo, e c'era più personale disposto e utilizzabile per queste attività.

Cosa studiavate durante questo corso?

Noi non studiavamo il marxismo, ma ne recepivamo i principi fondamentali: la lotta di classe, la rivoluzione francese, anche se è una rivoluzione borghese; poi viene avanti subito un discorso sulla rivoluzione russa, sull'industrialismo, sulla prima guerra mondiale. Lenin e la polemica con la socialdemocrazia tedesca. È un corso sulla storia del potere del partito bolscevico, e come ci arriva. Tutta la storia precedente alla storia russa serve a capire la storia russa! Il manuale di Stalin, tradotto in tutte le lingue del mondo. La scissione del Pcd'I.

Il ruolo di Gramsci anche?

Si, il ruolo di Gramsci, i vari partiti comunisti europei.

Sì. I nemici chi sono? La socialdemocrazia, lo zarismo, e gli antistalinisti come Trotsky. Noi ascoltavamo e basta! Non avevamo una conoscenza reale e approfondita.

Tu però prima della Resistenza, con Balladelli e gli altri avevi acquisito una certa conoscenza, no?

Sì ma era poca cosa, il nostro problema era la guerra. Noi sapevamo poco o nulla; la nostra posizione era determinata dalla guerra: eravamo contro il nazifascismo, ma non sapevamo come stavano esattamente le cose in Unione Sovietica. Lo sapevano i dirigenti nazionali, ma quelli locali non sapevano nulla. Non potevano sapere. Nutrivamo del fascino per la rivoluzione russa, i suoi principi, per il superamento dello sfruttamento, del mercato, della povertà a prescindere dai Trotsky, Stalin, Lenin, ecc.

Finito il corso, che fai?

Quando sono tornato a Venezia, mi dissero che potevo diventare funzionario. L'aver fatto il corso mi metteva in una situazione di candidarmi a funzionario o dirigente locale del partito. Noi eravamo destinati a lavorare per un esercito popolare comunista, che doveva contestare il sistema capitalistico. Il partito cercò anche gli appoggi culturali giusti: il cinema, il sindacato. Tutto era da mettere in moto.

Quindi?

Mi mettono in un ufficio nella sede della federazione veneziana in campo San Maurizio; io avevo il compito di aiutare l'altro compagno, nel conoscere le motivazioni di possibili agitazioni, che però non si realizzavano. Dovevamo promuovere in ogni ambiente le rivendicazioni presenti. L'ufficio si chiamava “lavoro di massa”; andavamo a incontrare vari compagni, per dare consigli, spiegazioni.

Come si chiamava l'altro che lavorava con te?

Era di Vicenza, ma non ricordo il nome!

C'erano altri che lavoravano con voi?

C'erano anche altri compagni che si occupavano di altri settori, noi due eravamo incaricati di questo.

Quanto tempo dura?

In questo periodo ti incontri con i tuoi amici Balladelli e Lucchetta?

No, non li vedevo!

Cosa pensavate dell'amnistia Togliatti?

Noi ammiravamo in Togliatti, l'abilità con la quale cercava di presentarsi in maniera unitaria al popolo italiano; l'amnistia era un tentativo di accollarsi tutto l'apparato statale, e di consolidare la pace ottenuta in maniera nazionalista e antifascista. Serviva un Partito forte capace di contestare i sostenitori del fascismo, e dall'altra, serviva dare alle masse popolari un partito sul quale potessero contare. Il Pci non abbandonava il legame con il partito bolscevico, nonostante la collocazione dell'Italia sotto il blocco occidentale e americano.

Ricordi se ci furono proteste alla decisione dell'amnistia?

No, non ricordo proteste e grossi problemi causati dall'amnistia.

Il lavoro di funzionario com'era?

Era un lavoro impegnativo, faticoso e lungo.

Venivate retribuiti?

No, però avevamo dei bollini, che dipendevano dai contributi volontari dei compagni, ecc. Altro che precari! Eravamo iperprecari: lavoravamo quindici ore al giorno per pochi soldi. Mentre il dirigente veniva pagato dal centro, noi invece ricevevamo solo i soldi racimolati dalle sottoscrizioni volontarie della gente.

Dove abiti in questo periodo?

Abitavo a Venezia con altri compagni, con i quali condividevo la casa.

Successivamente a questo lavoro, che fai?

Lavoro nell'ufficio “organizzazione”, che teneva i rapporti e le relazioni tra la Cgil e le varie categorie; io avevo il compito di constatare la situazione e la condizione delle categorie.

Si certo, era un ruolo di una certa responsabilità.

Come avete vissuto l'uscita dei comunisti dal governo nel '47?

Noi l'abbiamo vissuta come una manovra americana, sostenuta e appoggiata dal governo italiano. La colpa di questa rottura era delle forze moderate, che non volevano avere rapporti con i comunisti; noi eravamo affiliati all'Unione sovietica e ciò era inevitabile.

E la vittoria della Dc alle elezioni del '48?

La vittoria della Dc, nelle elezioni del '48, l'abbiamo vissuta come una sberla, come un colpo che ha reso tutto più debole. Ci fu una divisione in tutto: nei sindacati, nelle cooperative, nell'Anpi che indebolì queste organizzazioni. Non la vivemmo come una vittoria, ma come una sconfitta perché c'era bisogno dell'unità dei partiti per la ricostruzione del paese.

Però c'erano delle divergenze, no?

Si, c'erano delle divergenze che ci portarono alla rottura. Il massimo del compromesso fu la Costituzione, per tutti i partiti.