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Introduzione: il quadro generale di riferimento

normativi che hanno delineato l’evoluzione del sistema universitario italiano. - 3. Lo stato attuale del sistema italiano di istruzione universitaria. - 3.1. L’ultimo recente provvedimento riformatore: la legge n. 240 del 2010 e la nuova configurazione degli atenei italiani. - 3.2. La nuova governance. - 4. Il sistema di Higher Education come modello di quasi mercato. - 5. Le pratiche di strategic management nella gestione dell’università. - 5.1. Alcuni tratti distintivi dello strategic management accademico. - 5.2. Le esigenze di gestione strategica nelle università italiane. - 6. L’influenza delle classifiche di ranking sulla gestione strategica dell’università. - 7. Alcune riflessioni critiche.

1.INTRODUZIONE: IL QUADRO GENERALE DI RIFERIMENTO

La storia dell’università italiana risale a quasi mille anni fa. La ‘paternità’ della prima università nel mondo occidentale è, infatti, attribuita alla città di Bologna, nell’anno 108876. Dopo l’esperienza di Bologna, numerose città europee ne seguirono l’esempio, a dimostrazione dell’immediato riconoscimento che venne attribuito a tale istituzione da molte comunità.

In principio, in Italia come anche in Europa, le università erano libere associazioni accessibili a chiunque, principalmente corporazioni autonome di studenti o professori, riconosciute dall’autorità pontificia e generalmente distinte dalle autorità comunali in cui si erano sviluppate. I termini studia, studia generalia, universitas, designavano tali centri di cultura superiore, ad indicare dei luoghi di studi aperti a tutti. Lo studium generale nasce in modo indefinito da tradizioni di studi, scuole

76 Il nome dell’università fu inizialmente Alma mater studiorum, convertito poi in ‘Università degli studi

di Bologna’ dal Ministero con un decreto rettorale del 2000. La data del 1088 è stata scelta per convenzione da un comitato di storici guidato da Giosuè Carducci nell‘800. L’attribuzione della nascita della prima università alla città di Bologna, così come la data di riferimento, costituisce l’orientamento prevalente sul tema. Vi sono tuttavia altre opinioni dissenzienti circa la data e la città a cui è attribuito il sorgere della prima organizzazione accademica. Ad esempio, molti storici hanno considerato l’università di Salerno la prima università del mondo occidentale, per la sussistenza della scuola medica che rimase per circa due secoli il maggiore centro europeo di scienza medica, seppur fino al 1231, anno in cui venne riconosciuta dall’imperatore Federico II, non si seppe nulla della sua organizzazione. L’Università di Napoli Federico II, invece, è considerata la prima università statale europea. Cfr. Università, in

Treccani.it – Enciclopedie on-line, Istituto dell’Enciclopedia italiana. Si veda anche Di Renzo Villata, G.,

Nascimbene, B. e Sanna, C. (2006), Università ed Europa: un felice connubio attraverso i secoli (con

qualche ombra...), in Annali di storia delle università italiane, Volume 10, CISUI - Centro

Interuniversitario per la Storia delle Università Italiane. Si rimanda inoltre a Pedersen, O. (1997). The

First Universities: Studium Generale and the Origins of University Education in Europe, Cambridge

ecclesiastiche, personalità di singoli. Per questo motivo non è stato sempre agevole individuare la data certa di fondazione delle primissime istituzioni accademiche. Dopo la nascita delle prime università, invece, le successive iniziano ad avere un riconoscimento papale o dell’imperatore, per cui per quelle meno antiche rileva la data dell'autorizzazione imperiale o pontificia77.

Inizialmente, quindi, le università furono istituzioni private indipendenti dal potere statale, e per lungo tempo rappresentarono i centri primari di sviluppo e diffusione della cultura78. Nel corso degli anni, poi, hanno progressivamente consolidato la propria struttura e, nel contesto italiano in particolare, la maggior parte di esse divenne col tempo parte dell’amministrazione pubblica. Il sistema, infatti, si caratterizzò gradualmente per una marcata centralizzazione e per forti vincoli tra potere statale e atenei79, condizioni divenute poi, seppur con alcune eccezioni, caratteristiche dominanti

di tutto il sistema per tutto il periodo della prima Repubblica. La maggior parte degli atenei allora costituiti assunse dei connotati pubblici, mentre alcune università rimasero al di fuori dell’orbita statale, configurandosi come istituzioni private80.

Si ritiene opportuno precisare che quando, nel proseguo del lavoro, verrà utilizzato il termine ‘università’, il riferimento sarà esclusivamente alle istituzioni accademiche pubbliche. Verrà trascurato il contesto delle università private, in particolare perché presenta meccanismi di finanziamento e caratteristiche nettamente differenti.

77 Cfr. Di Renzo Villata, G., Nascimbene, B. e Sanna, C. (2006), Università ed Europa, op.cit.

78 A tal proposito, si veda si veda Brizzi, G. P, Del Negro, P., Romano A., (a cura di) (2007), Storia della

Università in Italia vol. 1, Messina: Sicania.

79 Nel periodo fascista la forte concentrazione di potere in capo allo Stato impose il modello di ricerca

umanistica, malgrado le spinte dettate dal processo di industrializzazione muovessero verso i nuovi settori della ricerca scientifica e tecnologica. Il dominio dello Stato si tradusse anche nella volontà di conferire maggiore importanza ad alcune università e minore ad altre, evidenziando la dicotomia tra università di serie A (quelle regie) e di serie B. Per vari anni il sistema fu basato su un’università che si adattava alle aspettative della piccola borghesia intellettuale, soppressa da un ruolo pesante dello Stato che con una rigida burocrazia «regolava profondamente ritmi e identità» delle università. Cfr. Ricuperati, G. (2001), Sulla storia recente dell'università italiana: riforme, disagi e problemi aperti, in Annali di Storia delle

Università italiane - Volume 5, CISUI - Centro Interuniversitario per la Storia delle Università Italiane.

80 Si pensi, a titolo esemplificativo, all’Università Bocconi, nata nel 1902 per opera dell'imprenditore

milanese Ferdinando Bocconi; alla Libera Università Internazionale degli Studi Sociali – LUISS Guido Carli, nata nel 1977 dalla trasformazione dell’università Pro Deo, precedente istituzione romana costituita nel 1966; all’Università Cattolica del Sacro Cuore, nata nel 1921, in seguito alla costituzione nel 1919 dell’Istituto Giuseppe Toniolo di studi superiori, divenuto poi l’ente promotore dell’Università; all’Istituto Universitario di lingue Moderne - IULM, fondato nel 1968dalla Fondazione Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori; ma anche all’Università di Urbino, università privata fino al 2006, fondata nel 1506. Ad oggi le università italiane non statali risultano essere 29, contro un totale di 67 università statali.

Nel corso della sua evoluzione, il sistema universitario italiano ha subito dei profondi rinnovamenti che hanno mutato radicalmente gli aspetti finanziari, organizzativi e strutturali delle istituzioni accademiche. Tali cambiamenti, in parte, riflettono il processo di riforma che ha interessato tutto il settore pubblico dai primi anni ’80.

Attualmente, l’Italia presenta un sistema universitario in cui lo Stato stabilisce obiettivi e indirizzi strategici e provvede all’assegnazione delle risorse pubbliche agli atenei, coerentemente con le attività da loro svolte e con la valutazione dei risultati da loro conseguiti. Gli atenei, d’altra parte, rispondono dell’amministrazione del sistema universitario con i loro organi, nell’ambito degli indirizzi indicati dal Ministero.

Negli ultimi decenni, infatti, come già argomentato nel capitolo precedente, i nuovi strumenti di matrice aziendale, introdotti quasi bruscamente nel settore pubblico, si sono scontrati con una realtà in cui predominava l’approccio adempimentale di “conformità alle norme”, ed hanno chiaramente stravolto il modus operandi delle unità pubbliche in termini strategici e operativi.

Le nuove filosofie di governo, di riflesso, hanno coinvolto anche l’ordinamento universitario, avviando un vero e proprio processo di cambiamento istituzionale, sia nelle attività amministrative e gestionali, sia in quelle di didattica e di ricerca.

Secondo i nuovi paradigmi riformatori, i concetti di efficienza ed efficacia divengono per le amministrazioni pubbliche ‘bussole’ in grado di orientare i processi decisionali e migliorare l’attività amministrativa. Il tradizionale modello ‘burocratico’81 che aveva guidato le amministrazioni pubbliche fino a quel momento, infatti, concentrava l’attenzione su regole e procedure piuttosto che su risultati e outcome, e si focalizzava su una gestione delle risorse umane totalmente disconnessa dalle performance. Per questi motivi si rivelò inadeguato e fu ben presto destinato a fallire: le amministrazioni pubbliche non erano più in grado di soddisfare adeguatamente le esigenze dei cittadini e questo rappresentò la fonte primaria delle successive traiettorie di cambiamento82.

81 Si veda il primo capitolo, in particolare il paragrafo dedicato alle pratiche di gestione strategica in

ambito pubblico.

82 Per un approfondimento sui cambiamenti caratterizzanti il modello di governance delle

amministrazioni pubbliche si rimanda a Giovanelli, L. (2000). Modelli contabili e di bilancio in uno Stato

Il New Public Management è il principale protagonista di questo processo riformatore (e modernizzatore) che ha mutato il ruolo, l’organizzazione e il management delle amministrazioni pubbliche (Hood, 1991). Le unità pubbliche, così, abbandonano il modello burocratico troppo rigido e vincolistico per convertirsi ad un “management per obiettivi”; spostano il proprio focus sulla soddisfazione dei cittadini, in linea con la promozione di una accountability a livello periferico, mirata a soddisfare in modo più adeguato ed efficace i bisogni della collettività83. In questo senso, il New Public management è stato spesso definito un “patto” tra i cittadini e le amministrazioni pubbliche.

Il governo centrale, d’altra parte, inizia a detenere un controllo più “debole”, esercitando una funzione di coordinazione e direzione piuttosto che una mera funzione di produzione. Uno dei più recenti orientamenti nel panorama scientifico, include una nuova concezione della posizione dello Stato, che vede mutare il proprio ruolo da ‘rowing’, ossia uno Stato «che disegna ed implementa i vari programmi focalizzandosi su singoli, definiti obiettivi politici» (ciò rappresenta il tipico approccio riconducibile alla Old Public Administration), a ‘steering’, cioè quello di uno Stato «catalizzatore che ‘sprigiona’ le forze di mercato» (secondo il paradigma del New Public Management, ma anche della Public Governance84); ma il vero ruolo innovativo che inizia ad affermarsi è quello di uno Stato ‘serving’, che «negozia e media gli interessi dei cittadini e dei gruppi della comunità, creando valore pubblico condiviso» (Denhardt, Denhardt, 2000)85. Il focus diventa il coordinamento di reti e relazioni, l’orientamento all’esterno, e un maggior coinvolgimento degli stakeholder nella definizione ed implementazione delle politiche pubbliche.

Il movimento di riforma, quindi, ha interessato anche il contesto italiano dell’higher education, anche se in un momento differito rispetto al resto delle organizzazioni pubbliche. Trascorsero numerosi anni, infatti, prima che alcuni importanti rinnovamenti – spesso preannunciati – potessero trovare concretezza nel

83 Si veda, a tal proposito, anche il secondo paragrafo del primo capitolo.

84 Per un maggiore approfondimento sui due paradigmi e per i relativi riferimenti bibliografici si rimanda

al primo capitolo.

85 L’ultima figura dello Stato menzionata, quella di Stato ‘serving’, è associata al paradigma del New

Public Service, che rappresenta, in un certo senso, l’estensione dei paradigmi anteriori del New Public

Management e della public governance. Per una trattazione più approfondita si rimanda a Denhardt, R.B, & Denhardt, J.V. (2000). The New Public Service: serving rather than steering. Public Administration

contesto universitario. Questo perché le università presentavano delle peculiarità che contrastavano il processo di aziendalizzazione: erano, innanzitutto, sottoposte a una forte ingerenza dello Stato, che determinava in modo stringente i modelli di governo e l’organizzazione delle università; presentavano, inoltre, un alto grado di dipendenza finanziaria dallo Stato86 e, in aggiunta, una scarsa propensione a comportamenti virtuosi dovuta alla limitata presenza della componente di merito per l’assegnazione dei finanziamenti statali (Cantele et al., 2011).

Negli anni più recenti, i cambiamenti che hanno interessato il sistema universitario italiano si sono verificati in concomitanza con le numerose politiche di riduzione della spesa pubblica, attuate per fronteggiare l’incombente crisi finanziaria che da vari anni affligge il sistema economico italiano. In questo quadro di austerità verso il quale si stanno muovendo le istituzioni pubbliche del nostro Paese, spesso associato a tagli netti delle risorse, quindi, una più efficiente amministrazione e allocazione delle stesse e in genere una razionalizzazione delle attività delle università sono divenuti temi di rilevante importanza. Di fronte ad una scarsità delle risorse sempre più frequente, il tema della razionalizzazione, di piena estrazione economico- aziendale, è diventato anzi, paradossalmente, un vero e proprio criterio utile per guidare i processi di crescita e migliorare le condizioni organizzative delle singole istituzioni pubbliche, comprese quelle universitarie.

Gli ultimi indirizzi riformatori, così, tendono in un certo senso a limitare l’autonomia delle università ancorando le stesse a parametri di efficienza ed efficacia (Maran, 2009), includendo meccanismi di valutazione delle performance e, di conseguenza, promuovendo la competizione. Recenti misure legislative, inoltre, hanno spinto verso l’adozione di strumenti manageriali, facendo sì che termini come strategia, pianificazione strategica, budgeting, sistemi di controllo manageriale, siano entrati a far parte del lessico comune nella gestione quotidiana delle università (Paletta, 2004).

In questo background di trasformazione ancora in corso, tuttavia, le università permangono come principali catalizzatori della cultura, e mantengono la loro fondamentale importanza in termini di creazione di valore pubblico e di sviluppo sociale dei Paesi. Oggi più che mai, però, si trovano davanti la difficile sfida di riuscire a

86 Tutt’oggi, la parte preponderante delle entrate degli atenei pubblici è rappresentata dai finanziamenti

conciliare le esigenze di razionalità indotte dall’attuale sistema socio-economico con il mantenimento di elevati livelli qualitativi delle prestazioni di didattica e di ricerca.

In questo capitolo verrà trattato il tema del management delle università che, in qualità di unità elementari del sistema, rappresentano l’oggetto del presente studio.

Dopo una breve analisi delle riforme-cambiamenti più rilevanti che hanno condizionato il sistema italiano dell’higher education negli anni più recenti, verrà presentato lo stato attuale del sistema con particolare riguardo ai meccanismi di finanziamento e alla regolamentazione vigente.

In seguito, affronteremo il vasto tema della gestione strategica delle università. In particolare, focalizzeremo l’attenzione sul ruolo della strategia nel management accademico, evidenziando i principali fattori che influenzano le decisioni strategiche delle università. Nello specifico, saranno oggetto di studio le varie forme di controllo a cui sono regolarmente assoggettate le università, che inevitabilmente dominano e condizionano il contesto strategico delle singole istituzioni universitarie.

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