Per effettuare attività di ricerca in ambito subacqueo, vengono impiegati molto spesso dei veicoli ROV oppure AUV, capaci di immergersi anche a profondità abissali; uno dei loro grande vantaggi è che richiedono solo un controllo da remoto da parte dell’operatore, che quindi non rischia la sua incolumità durante la missione. Questi veicoli sono in grado di effettuare varie task come ad esempio il monitoraggio dei fondali, delle strutture sommerse oppure offrono la possibilità di potere eseguire studio o ricerca dei relitti inabissati. Quindi una buona parte del lavoro è effettuata grazie al sistema di visione di cui è dotato un veicolo di questo tipo; infatti, come detto in precedenza, dalle immagini di tipo ottico o di tipo acustico, è possibile compiere attività di analisi di aree che per vari motivi risultano inaccessibili all’uomo, effettuare una mappatura dei fondali o ricostruire l’intero sito di interesse (Fig. 3.1). Molto spesso per poter attuare operazioni di campionatura, di recupero o di pulitura, è necessario dotare tali robot subacquei di bracci antropomorfi, capaci di compiere una serie di task altrimenti irrealizzabili.
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Lo sviluppo dei manipolatori subacquei si è avuto grazie anche alla ricerca in ambito terrestre; infatti molti bracci robotici subacquei sono in prima approssimazione un riadattamento di quelli utilizzati ad esempio nel settore industriale. Tuttavia essi sono dotati di opportuni accorgimenti che ne consentono il funzionamento in ambiente marino, come ad esempio il contatto con acqua salata e a profondità elevate. Così come per i manipolatori terrestri, è possibile differenziare anche per quelli subacquei in funzione dei gradi di libertà (DOF), ovvero il numero di giunti che permettono la movimentazione delle varie parti dell’articolazione (link), oppure della sua parte terminale (end-effector). È possibile effettuare una suddivisione del manipolatore in funzione dei suoi componenti in cui il primo, detto link-0, funge da base e permette di vincolare la struttura del braccio robotico al veicolo. In funzione del numero DOF, sono quindi individuati i vari giunti e i vari link del manipolatore. Alla fine è posizionato l’end- effector che come una sorta di “mano” permette l’interazione con gli oggetti limitrofi, adattando il braccio robotico in funzione del tipo di lavoro da svolgere.
Per poter permettere la rotazione o la traslazione dei vari link, sono posti tra di essi, dei giunti prismatici oppure rotazionali. La movimentazione dei vari giunti può essere controllata dall’operatore in maniera visiva mediante l’utilizzo delle camere montate sul veicolo; tuttavia la gestione del braccio e dei suoi movimenti, risulta effettivamente poco accurata e soprattutto dipendente dall’esperienza del pilota ROV. La modalità più efficace, utilizzata soprattutto nei veicoli AUV che non prevedono l’intervento umano durante la missione, è quella di dotare ognuno dei giunti, di opportuna sensorizzazione in maniera tale che la loro lettura possa permettere di individuare il posizionamento di ogni link e dell’end-effector. Nota la posizione del sistema di riferimento della base del braccio, è possibile stabilire, mediante una serie di matrici di trasformazione, la posizione della mano, conoscendo i valori delle variabili di ogni giunto. Tipicamente i punti di snodo dei robot antropomorfi sono definiti in maniera crescente a partire da quello posizionato sulla spalla. L’ultimo link è sempre l’end-effector sul quale comunemente vengono posizionati almeno due giunti in maniera tale da permettere l’orientamento della mano in varie configurazioni.
La costruzione di questa sorta di polso, permette l’adattamento del manipolatore ad un target ben preciso. Infatti, muovendo esclusivamente gli ultimi link, si evitano laboriose
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manovre delle prime parti del braccio (tipicamente di dimensioni maggiori) o addirittura dell’intero veicolo; così facendo aumentano anche le configurazioni in cui il braccio può raggiungere determinate posizioni.
Ad esempio durante un’operazione di pulitura, la posizione mantenuta del ROV sarà più indietro e più in alto rispetto al task da raggiungere. L’operatore che movimenta o supervisiona l’intera strumentazione dal natante di supporto, godrà quindi di una più ampia visuale dello scenario di lavoro. Montando all’estremità del braccio una spazzola rotante, sarà possibile compiere attività di pulitura di architetture che si presentano in diverse configurazioni, come si evince dalle figure 3.2 di seguito ovvero posizionate in maniera frontale, laterale a destra o sinistra e parallela al ROV. L’azionamento dei giunti del braccio e dell’end effector, eviterà lo spostamento dell’intero veicolo; ciò vuol dire compiere le operazioni in meno tempo e in modo più accurato.
Figura 3.2 - Simulazione di pulitura delle strutture sommerse
Come detto l’end-effector è la parte di un manipolatore subacqueo mediante cui è possibile portare a termine i compiti richiesti. La tipologia più semplice consiste in una semplice pinza capace di afferrare e movimentare oggetti. Esistono tuttavia anche altri strumenti di cui è possibile dotare un braccio robotico per svolgere lavori più specifici, come ad esempio delle spazzole o strumenti per praticare fori o compiere operazioni di serraggio di bulloni.
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La movimentazione di un manipolatore subacqueo è garantita dagli attuatori che sono i componenti che generano il moto dei link intorno ai giunti. In questo scenario è possibile individuare due diverse tipologie ovvero quelli idraulici o quelli elettrici; essi vengono scelti, tra le altre cose, in funzione della tipologia di lavoro che dovrà essere svolta da un particolare veicolo. Il sistema necessario al funzionamento di un manipolatore idraulico è formato da una pompa e da un certo numero di cilindri da essa attuati. Il movimento del link ad essi collegati è garantito mediante la messa in pressione del fluido idraulico all’interno del circuito. Nel caso invece di braccio ad attuazione elettrica, un motore ha la funzione di azionare lo specifico giunto, prevedendo quindi anche la connessione elettrica ad una centralina di controllo. La potenza erogata da entrambi i sistemi, deve essere ovviamente superiore rispetto a quella necessaria alla movimentazione del insieme “a vuoto” ma anche all’eventuale recupero o spostamento di oggetti durante le fasi di utilizzo. Tipicamente, per poter compiere operazioni dove è richiesta una potenza maggiore, sono impiegati degli attuatori idraulici.
Il caso studio proposto, riguarda le fasi di riprogettazione e realizzazione di un manipolatore subacqueo, ed è stato svolto al fine di poter portare a termine le attività di ricerca richieste nell’ambito del progetto COMAS. È stato necessario infatti dotare il veicolo ROV Perseo GTV di un braccio robotico capace di effettuare, nell’ambito della archeologia subacquea, operazioni di pulitura di strutture e artefatti sommersi in maniera tale da preservare in maniera duratura il bene archeologico.