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Nella progettazione di strutture in calcestruzzo cementizio armato, il controllo delle deformazioni gioca un ruolo fondamentale per il soddi- sfacimento degli stati limite di esercizio.

Per una determinazione accurata della loro deformazione, gli ele- menti fessurati costituenti le strutture in conglomerato armato, do- vrebbero essere descritti con le loro caratteristiche di rigidezza effettive, sia flessionale sia a taglio.

Nei sistemi strutturali compositi, la cui matrice presenta un com- portamento fragile, la fessurazione della predetta matrice e gli scorri- menti fra le fasi costituenti il composito causano gradienti di sforzo talmente grandi da rendere necessaria la modellazione, dal punto di vi- sta cinematico, di discontinuità forti nel campo degli spostamenti e de- boli in quello delle deformazioni, in aggiunta agli usuali fenomeni dissi- pativi descrivibili dal punto di vista costitutivo.

Inquadrando il problema in una scala di livello macroscopico, i due contesti più accreditati per modellare i meccanismi di nascita e propa- gazione di fessure appaiono quello della Meccanica della Frattura e quello della Meccanica del Continuo.

La Meccanica della Frattura ha come oggetto di studio la formazio- ne e propagazione delle fratture nei materiali fragili, in relazione alle

cause che le hanno generate.

Si occupa, inoltre, di definire quello stato tensionale, superato il quale i microdifetti si propagano in modo repentino, fino a che il mate- riale va in crisi per uno stato tensionale inferiore a quello di rottura.

Tali meccanismi macroscopici di degradazione sono governati oltre che da fattori che intervengono nella meccanica classica, anche da altri fattori, quali l’energia di frattura. Assume, poi, particolare importanza la presenza di difetti microscopici nel materiale, che possono costituire l’innesco di tali processi.

Come già detto in precedenza, nel calcestruzzo è tipica la presenza di micropori e discontinuità nell’interfaccia cemento-inerti, che deter- minano una concentrazione di tensioni, agevolando l’innesco e la propa- gazione di fessure macroscopiche. Tali fenomeni comportano la degra- dazione delle caratteristiche meccaniche di resistenza e rigidezza del materiale e sono caratterizzati da un comportamento di tipo softening, con diminuzione dello stato tensionale per successivi incrementi di ten- sione.

In relazione alla modellazione della frattura, in molti materiali, tranne quelli perfettamente fragili, la formazione di una fessura libera da tensioni è preceduta da una zona definita “di processo”, in cui si svi- luppano deformazioni anelastiche, responsabili del processo di softening e del degrado della resistenza.

Tali materiali si prestano ad essere descritti mediante il modello di frattura coesiva. Nei modelli a frattura coesiva gli effetti anelastici ven- gono concentrati in una interfaccia di discontinuità, dove il campo di spostamenti presenta discontinuità in qualche sua componente.

Il modello di frattura coesiva venne originariamente introdotto da Dugdale (1960) per i materiali duttili e da Barenblatt [2] nel 1962 per quelli fragili.

Le tensioni trasmesse attraverso tale interfaccia sono assegnate mediante una legge di softening, opportunamente tarata in funzione di prove sperimentali, che lega il vettore tensione all’interfaccia con il vet- tore salto di spostamenti nell’interfaccia stessa.

Pertanto, ad ogni incremento di salto di spostamento corrisponde un decremento di tensione, fino a quando si supera lo spostamento cri-

tico e si ha la formazione di frattura libera da tensioni.

Resta, tuttavia, il problema di quando si attiva la frattura; la stra- tegia che generalmente si segue è quella di introdurre un criterio di at- tivazione di interfaccia. Se viene verificato, la frattura si attiva e si hanno incrementi nel salto di spostamento, secondo le leggi considerate. Esistono in letteratura molti modi di approcciare lo studio della frattura e della localizzazione delle deformazioni e, pur se si vuole ten- tare di classificare tali approci in gruppi generali, i confini tra questi gruppi non risulterebbero completamente chiari, poiché tali metodi spesso si confondono per alcuni aspetti.

Dal punto di vista della Meccanica del Continuo, la frattura può es- sere definita come una instabilità del materiale, legata alla localizza- zione ed all’accumulo di intensa deformazione in ristrette bande di un solido (slip-lines nei metalli, shear bands nei terreni e cracks nei mate- riali quasi fragili come il calcestruzzo).

I processi dissipativi responsabili della degradazione del materiale, come il fenomeno della fessurazione, inizialmente vennero studiati per mezzo dell’introduzione di leggi costitutive tensione-deformazione non lineari, con comportamento di tipo softening, basate sulla teoria tradi- zionale della plasticità [45] o sulla teoria del danno continuo [56, 57].

L’introduzione nelle leggi costitutive locali di un comportamento

softening al crescere della deformazione consentiva di modellare i pro-

cessi di degradazione del materiale, senza abbandonare il formalismo teorico-numerico della meccanica classica dei mezzi continui. Tali mo- delli potevano, infatti, essere facilmente implementati nei programmi agli elementi finiti esistenti, consentendo di sfruttare gli algoritmi già sviluppati e disponibili in questi codici.

Successivamente, studi di stabilità e biforcazione del campo tensio- nale [82, 87] hanno dimostrato che detti modelli presentano problemi di cattiva posizione a livello delle equazioni del continuo; tutto questo si traduce, a livello numerico, nella mancanza di oggettività nella risposta rispetto alla discretizzazione spaziale.

Infatti, l’introduzione di leggi costitutive di tipo softening nel conte- sto della meccanica del continuo induce il cosiddetto fenomeno della lo- calizzazione delle deformazioni ovvero l’accumulazione dei processi dis-

sipativi di plasticità e/o danno entro bande di volume finito. Questo conduce a patologiche conseguenze nell’implementazione nel metodo degli elementi finiti, in cui si osserva che la dimensione della banda di localizzazione dipende in maniera forte dalla dimensione caratteristica dell’elemento.

Complessivamente, i principali metodi nati per la modellazione del- la nascita e della propagazione delle fessure nelle strutture in calce- struzzo armato possono raggrupparsi in tre grandi classi: il metodo al continuo con fratture distribuite (smeared crack approach), quello con fratture discrete (discrete crack approach), quello inquadrato all’interno del metodo agli elementi finiti con discretizzazione a fibre, cui possono aggiungersi le ulteriori classi dei metodi element-free; alcuni di questi vengono messi a confronto in [42, 72] e dal punto di vista numerico in [103], riuscendo a fare risaltare che la scelta del metodo va legata al ti- po di problema da trattare.

2.2. Classificazione degli approcci presenti

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