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Studiare la posizione del fotografo all’interno dell’industria del cinema e dell’editoria lungo gli anni Trenta e Quaranta significa, in primo luogo, accettare di delineare un quadro epistemologico le cui categorie storiografiche sono sfumate e i cui contorni non sono ancora del tutto definiti. In un contesto in formazione come quello dell’industria cinematografica italiana del periodo indicato, è parso pertinente osservare ogni fotografo in quanto soggetto autonomo, ma anche come tassello di un ampio e variegato mosaico. Non esistendo allora veri e propri diritti legislativi né quadri professionali formalmente riconosciuti, all’epoca le modalità di lavoro del fotografo ‘cinematografico’ sono state studiate caso per caso. Alcuni esempi, con il passare degli anni, risultano singolari nella storia dell’industria culturale, mentre altri casi di fotografi costituiscono l’eccezione che diventerà regola. Nonostante la figura e le funzioni del fotografo di scena siano altrettanto ambigue quanto le mansioni che è chiamato a svolgere nell’ambito del set cinematografico, è parso opportuno distinguere tale ruolo da quello riservato al fotografo ritrattista, che opera invece quasi esclusivamente in studio. Esistono tuttavia dei casi in cui questa netta separazione di compiti e di carriere non dev’essere valutata in modo troppo rigoroso: Arturo Bragaglia, ad esempio, la cui peculiarità lavorativa verrà presa in considerazione all’interno del presente capitolo, si trovò a operare negli anni Trenta sia nel proprio atelier, come ritrattista, sia come fotografo di scena sul set di numerose produzione italiane. Altri possibili stadi di indeterminatezza sono indotti anche dall’assenza di un quadro legale atto a proteggere il fotografo in quanto lavoratore autonomo o dipendente, ma soprattutto in quanto ‘autore’ delle sue opere.

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L’analisi dello statuto professionale del fotografo coinvolto nell’industria cinematografica italiana degli anni Trenta e Quaranta comincia a complicarsi allorché si proceda, in prima istanza, all’esame delle questioni legate alla tutela giuridica delle sue creazioni, e in particolare alla problematiche connesse alla nozione di diritto di autore. La natura ibrida della fotografia deriva dal fatto che essa si costituisce, dal punto di vista ontologico, come forma di espressione umana che beneficia di un procedimento tecnico; nondimeno, ciò non ha impedito che, sul piano giuridico, siano state formulate diverse ipotesi tese a distinguere il valore estetico di un prodotto fotografico, e quindi meritevole di essere salvaguardato sotto il profilo legislativo, dal mero esercizio di riproduzione della realtà tramite un dispositivo ottico-meccanico. La distinzione proposta da Gloria Bianchino tra “opera d’arte” e “fotografia semplice” va proprio in questa direzione183. Nella definizione conferitagli in Italia in occasione della legge n. 633 del 1941 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), il diritto di autore protegge “la forma espressiva dell’opera”, distinguendosi dal brevetto, che invece “mira a tutelare una soluzione innovativa passabile di applicazione industriale”184. Inoltre, stando ancora al discorso giuridico e sfiorando un po’ la tautologia, il diritto di autore:“è per così dire ‘automatico’: l’autore acquisisce il complesso dei diritti

sull’opera con la semplice creazione della stessa”185. Quest’ultimo principio, però, non si

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Cesare GALLI, “Fotografie, proprietà delle opere e titolarità di diritti d’autore e diritti sull’immagine: i possibili conflitti”, in Gloria BIANCHINO (a cura di), Di chi sono le immagini nel mondo delle immagini?, Skira, Milano, 2013, p. 20. Per quanto riguarda le cosiddette “fotografie semplici”, l’autrice intende: “quelle prive di carattere creativo, in quanto ritraggono semplicemente persone, aspetti, elementi o fatti della vita naturale, oppure opere dell’arte figurativa, senza contenere una traccia interpretativa (e quindi creativa) del fotografo, - amettendo però - per quanto sottile possa essere la distinzione tra le 2

categorie”.

184 Simone ALIPRANDI, Capire il copyright. Percorso guidato nel diritto d’autore, Edizioni Primaora, Lodi,

2007, p.49.

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attualizza in modo univoco all’interno di uno scenario – come quello dell’industria culturale italiana degli anni Trenta e Quaranta – caratterizzato da molteplici sfumature e ambiguità.

Una prima difficoltà di interpretazione e di applicazione del diritto di autore nasce dal rapporto che s’instaura tra il creatore e il fruitore del prodotto fotografico. La fotografia risponde a finalità di tipo sociale, culturale ed economico, le quali fanno nascere ulteriori problematiche relative alla sua tutela giuridica186. In effetti, sia la fotografia di scena che il ritratto in studio sono forme espressive che si inseriscono in un contesto lavorativo che implica altre forme di tutele legislative, contrattuali e commerciali. Mentre al fotografo di scena possono essere applicati statuti lavorativi diversi, da collaboratore esterno a dipendente subordinato, il fotografo che esegue i ritratti nel proprio atelier è considerato un libero professionista. Nel primo caso, inoltre, il ruolo del committente, che nel contesto operativo del set cinematografico coincide solitamente con la figura del produttore, crea ulteriori conflitti di attribuzione professionale. D’altro canto, gli interessi dei fruitori, cioè i consumatori dell’immagine fotografica – così come tutte le figure definite alla stregua di committenti o acquirenti (proprio come avviene quando il fotografo si trova a dover operare per conto di un produttore cinematografico o di un editore di una testata giornalistica) –, devono essere valutati con cura in quanto l’insieme di questi soggetti è coinvolto da un punto di vista legale e economico nel lavoro del fotografo187.

Un’ulteriore questione riguarda i soggetti raffigurati dal fotografo. Gli attori e le attrici immortalati dall’obiettivo fotografico dispongono anch’essi dei propri diritti sull’immagine. In questo caso, “alla disciplina del diritto sulla fotografia si aggiunge e si

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Salvo DELL’ARTE, Fotografia e Diritto, Experta, Forlì, 2004, p. 5

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sovrappone quella del diritto della persona sul proprio ritratto”188. Di fatto, il proprietario del ritratto fotografico è l’attore effigiato. Una volta acquistato il ritratto nello studio fotografico, l’attore è libero di farne l’uso che vuole. Come si è visto, tra gli anni Trenta e Quaranta, numerosi ritratti di dive italiane compongono il corredo iconografico delle campagne promozionali della Palmolive. Benché spesso la firma dei fotografi più rinomati sia spesso presente sulla fotografia, lo sfruttamento commerciale e pubblicitario dell’immagine era frutto dell’iniziativa dell’attrice ritratta.

In materia di diritto, e in particolare di diritto di autore, non deve essere sottovalutato il ruolo economico della fotografia. La stampa cinematografica rappresenta un chiaro esempio di come la fotografia serva da convincente strumento pubblicitario, sia che si tratti della comunicazione del prodotto filmico che del prodotto cosmetico.

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APITOLO QUINTO

VII. Il ritrattista “free lance” :