Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, RAF (Royal Air Force) e USAF (United States Air Force) sganciarono complessivamente un milione di bombe sull'Italia (piu` di 350 000 tonnellate di esplosivo). Le aree con importanti obiettivi strategici quali ponti, linee ferroviarie e zone industriali vennero ripetutamente attaccate, ma molte bombe non esplosero come previsto ed una frazione consistente (10%) non esplose del tutto.
Nel migliore dei casi, una bomba su quattro potrebbe essere ancora da recuperare, ovvero l’equivalente di 250.000 ordigni per il territorio nazionale. Un recente studio per la zona circostante obbiettivi sensibili dei bombardamenti aerei quali ponti stradali, ponti ferroviari, magazzini munizioni, ecc., ha mostrato come una frazione significativa (15-18%) delle bombe d’aereo lanciate fosse dotata di spolette a tempo ritardato. Queste ultime erano preparate a scopo terroristico per causare danni anche a distanza di giorni dalla data del bombardamento, quelle inesplose sono tuttora di particolare pericolosità in caso di spostamento accidentale. Qualche anno fa, nel comune di Ostiglia (Mantova), si è verificata l’esplosione di una bomba d’aereo armata con spoletta a tempo ritardato sotto una strada asfaltata, successive verifiche hanno stabilito che la spoletta si era riattivata a causa della realizzazione di sistemi well – point nell’area attigua, che abbassando la falda d’acqua avevano provocato lo spostamento dell’ordigno e la riattivazione dello stesso. È piuttosto recente la notizia che un operaio specializzato, nel demolire un pilastro con un martello pneumatico, attiva e fa esplodere una granata che era accidentalmente annegata nel calcestruzzo. Il 1° Febbraio del 2007 a Bologna un operaio è rimasto gravemente ustionato dall’esplosione di un ordigno al fosforo finito casualmente in un frantoio tritasassi; ancora, il 31 Ottobre 2007 sempre ad Ostiglia, un gruppo di operatori dell’Italgas impegnati nel riordino delle tubature di rete rinvengono fortuitamente una bomba da mortaio.
Questi pochi esempi sopra (fra i tanti documentati), non sono stati scelti a caso, essi mostrano chiaramente come i lavori edili, di qualunque genere, possono interferire facilmente con ordigni residuati bellici attivandoli accidentalmente.
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Obiettivo di questa analisi è mostrare la necessità ed il relativo obbligo previsto per legge di valutare il rischio residuo su territorio nazionale derivante dalla possibile presenza d’ordigni residuati bellici inesplosi, dovuta ai massicci bombardamenti avvenuti durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, al fine di analizzare gli interventi di natura progettuale ed operativa, seri e credibili, che coinvolgano l’intero processo costruttivo, al fine di definire un cantiere realmente sicuro.
In questo senso, la rete legislativa intessuta in Italia per risolvere il fenomeno infortunistico ha costituito un primo modello preventivo finalizzato all’isolamento degli elementi costitutivi il cantiere e che ha portato, sulle orme della Legge n° 51/90, alla produzione di un notevole ventaglio normativo, da leggersi tipo ''istruzioni d’uso'' di macchine, attrezzature, luoghi di lavoro, dotazioni di protezione individuale, ecc.
Successivamente, il modello indicato dal D.Lgs. n° 494/96, ha configurato il Piano di Sicurezza e Coordinamento (già analizzato al paragrafo 2.1) come lo strumento di ricomposizione della frammentazione indotta dal modello precedente, incentrato su una attenta valutazione dei rischi del processo produttivo e dei suoi elementi di singolarità.
Dal punto di vista della legislazione in materia di bonifica ordigni residuati bellici (che verrà studiata nello specifico al paragrafo 4.3) non esiste una normativa che obblighi espressamente ad eseguire le attività preventive di bonifica nei cantieri, ma sorge inequivocabilmente una responsabilità diretta dovuta alla mancata previsione a carico del Coordinatore della Sicurezza, derivante dalla mancata diligenza nella predisposizione progettuale e dalla relativa mancanza di previsione espressa di tali attività. Quindi è richiesta la massima attenzione, vista la delicatezza delle operazioni, nel prevedere tali adempimenti che, ove non previsti, comportavano una specifica responsabilità.
E’ decisamente innegabile che nell’approntare un cantiere di carattere edile, stradale, ferroviario, o altro, si può incorrere in un rischio residuo, sempre poco stimato in sede progettuale e spesso in sede esecutiva, consistente nell’attivazione di ordigni esplosivi residuati bellici interrati.
Il territorio nazionale, come si è detto all’inizio di questo capitolo, è stato sottoposto, pressoché nella sua totalità, ad attività belliche risalenti al 1° e 2° conflitto mondiale, con varie tipologie di bombardamenti (aerei, navali, da terra) di conseguenza i processi costruttivi che vanno ad intaccare il terreno originario risalente al periodo bellico, possono in qualsiasi momento interferire con un ordigno inesploso, attivandolo, per questo motivo tali attività sono definibili a rischio.
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Per le osservazioni di cui sopra è immediato affermare che la Bonifica da Ordigni e Residuati Bellici Esplosivi e l’Indagine Strumentale Ferromagnetica, peraltro già previste nei capitolati di molte amministrazioni e committenze sia pubbliche che private, sono operazioni preventive da eseguire prima dell’inizio dei lavori principali (più precisamente prima delle indagini geologiche, in quanto anche queste ultime potrebbero interferire con residuati bellici presenti) e sono strettamente funzionali alla creazione di condizioni di sicurezza nei cantieri, in quanto permettono di valutare cosa è presente nel terreno al di sotto del piano campagna, fornendo quel parametro di sicurezza che ovvia ad una situazione incerta per definizione.
L’esecuzione di queste operazioni preventive consente di ottenere l’agibilità delle aree oggetto dei lavori edili, evitando che si creino situazioni di rischio molto elevato, come per esempio lo scoprimento di un ordigno durante fasi di scavo, o situazioni già compromesse, come esplosione di ordigni per urti accidentali durante altre fasi di lavoro ecc.
La scoperta accidentale di una bomba inesplosa in un cantiere provoca, per le imprese coinvolte nelle lavorazioni, onerosi ritardi e disagi legati all'interruzione dei lavori, ecco perché nella fase di pianificazione di infrastrutture ed interventi sul territorio, la disponibilità di una base dati e la stima della distribuzione spaziale del rischio possono permettere a soggetti pubblici o privati di ottimizzare ad esempio le attività di rilievo geotecnico e evitare il blocco dei lavori in fase di costruzione avanzata.
A tal fine riveste notevole importanza eseguire monitoraggi geofisici ed indagini strumentali preventive, in fase cioè di progettazione preliminare, su aree ove si sospetta possano essere presenti ordigni esplosivi residuati bellici, anche se l’analisi storico-documentale non ne fa presupporre la presenza.
Tali attività preparatorie sono volte a verificare la presenza o l’assenza di anomalie di campo magnetico riconducibili a presunti ordigni bellici interrati e sono effettuate mediante uno screening dell’area di indagine, eseguite da operatori specializzati e connesso uso di apparati rivelatori speciali.
Applicando procedure standardizzate si cercano mine, ordigni esplosivi residuati bellici interrati, i quali vengono poi affidati per la loro distruzione agli artificieri dell’Esercito Italiano, garantendo alla fine la messa in sicurezza del territorio.
È certamente vero, che per rendere sicura un’area dove è stata combattuta una guerra, è assolutamente necessario intervenire con preventive azioni di bonifica da ordigni bellici e con indagini strumentali ferromagnetiche regolate da standard che prevedono un’affidabilità del 99, 9%. Per raggiungere questi obiettivi si deve operare anche con interventi manuali affidati alla professionalità di specialisti appositamente addestrati e coordinati da personale qualificato esperto.
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In questo settore la specializzazione non può essere improvvisata ma è destinata a crescere con l’esperienza che di giorno in giorno viene maturata dagli operatori che svolgono attività operative sul terreno. Inoltre non si può pensare di raggiungere i risultati voluti in breve tempo, né ritenere che una volta effettuato un intervento siano stati eliminati tutti i pericoli.
L’esperienza infatti suggerisce che anche dopo molti anni dalla fine di una guerra il rischio di incappare in ordigni pericolosi è sempre latente, come ad esempio dimostrato in Italia, dove nel 1999, dopo sessanta anni dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale, sono stati effettuati quasi 3000 interventi per eliminare residuati bellici venuti alla luce durante lavori agricoli e di urbanizzazione. L’impegno economico sostenuto per applicare un programma di bonifica che contempli l’intervento operativo vero e proprio e le attività di sensibilizzazione per la popolazione, rappresenta un vero e proprio investimento per la comunità e garantisce alle imprese un sicuro guadagno in termini di costi, evitando gli incidenti sia in ambito lavorativo, sia dovuti alla fatalità, come il maneggio casuale di ordigni ritrovati in maniera fortunosa.
Impegnarsi economicamente nell’eseguire operazioni di Bonifica da Ordigni residuati bellici ed Indagini Ferromagnetiche oggi, significa eliminare con immediatezza la maggior parte di quegli ordigni che possono provocare ancora morti e feriti ed annullare, in tal modo, il rischio residuale dovuto alla loro presenza; inoltre vorrebbe dire non pagare gli oneri di natura economica (ma anche penale e civile) connessi a questo tipo di incidenti.
Basti pensare che il rinvenimento di un ordigno inesploso provoca gravi disagi alla popolazione, come le interruzioni delle linee di comunicazione; dei servizi quali acqua, gas, luce, telefono; e quindi costi sociali elevati. Le operazioni di evacuazione, come si vedrà in un successivo paragrafo, sono particolarmente onerose e mobilitano un numero elevato di personale addetto, tutto ciò fa capire come sia necessaria una bonifica preventiva e sistematica quantomeno dei siti oggetto di lavori edili.
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