INVERSIONE DI ROTTA
INTRODUZIONE: UNA CORTINA DI FERRO SULL’EUROPA
Nel marzo del 1946 l’atmosfera in Europa era cambiata, tanto che Churchill dichiarò senza mezzi termini che una «iron curtain» era scesa sull’Europa, “From Stettin in the Baltic to Trieste in the Adriatic an Iron Curtain has descended across the continent,”177 continuando con una lista di capitali dell’Europa dell’est cadute in preda della sfera d’influenza sovietica. Non erano che i prodromi di una riorganizzazione del sistema di relazioni internazionali che stava accingendosi a diventare sostanzialmente bipolare. Per l’Occidente la minaccia principale era l’avanzata sovietica che, nella parole di George Kennan, allora capo diplomatico della missione statunitense a Mosca,, andava «contenuta» prima che potesse espandersi, “it
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will be clearly seen that the Soviet pressure against the free institutions of the Western world is something that can be contained by the adroit and vigilant application of counter-force at a series of constantly shifting geographical and political points. […] It is clear that the United States cannot expect in the foreseeable future to enjoy political intimacy with the Soviet regime,”178
soprattutto perché, nella visione del presidente Truman in una dichiarazione successiva di un anno a quella di Churchill, sarebbe stato caratterizzato in modo negativo se non distopico: “the seeds of totalitarian regimes are nurtured by misery and want. They spread and grow in the evils soil of poverty and strife. They reach their full growth when the hope of a people for a better life has died. We must keep that hope alive.”179
Per sottolineate la volontà di creare una zona d’influenza opposta a quella sovietica il segretario di Stato Marshall rese pubbliche, in un discorso ad Harvard, le linee generali del programma di aiuti americani all’Europa che avrebbe da una parte aiutato la ricostruzione, dall’altra creato un ampio mercato per gli Stati Uniti: era il Piano Marshall (ERP, European Recovery Program). Importante notare che anche l’Unione Sovietica era una destinataria degli aiuti ma Stalin rifiutò per motivi ideologici.
Dall’altro lato della «cortina» i rappresentanti dei partiti dell’Europa dell’est si incontrarono, unitamente ai comunisti italiani e francesi, per dare vita al Cominform, organizzazione internazionale di partiti comunisti con sede a Belgrado. Anche nel mondo comunista venne ribadita la divisione del mondo in blocchi contrapposti. Andrei Zdanhov, importante politico sovietico del tempo, ci dà un’immagine piuttosto coerente della discrepanza ideologica col mondo «imperialista e antidemocratico occidentale»: “The strategical plans of the United States envisage the creation […] of numerous bases […] designed to be used for aggressive purposes against the USSR and the countries of the new democracy. […] Economic expansion is an important supplement to the realization of America’s strategical plan,” continuando con un giudizio quantomeno critico del programma di aiuti agli stati europei, “American imperialism is endeavoring like a usurer to take advantage of the postwar difficulties of the European countries. […] American economic
178 Ó Tuathail Gearóid, Dalby Simon, Routledge Paul (a cura di), The Geopolitic Reader, London-New York, Routledge, 2003, p.64
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«assistance» pursues the broad aim of bringing Europe into bondage to American capital.”180
Nel 1947 era ormai emerso l’ordine mondiale che avrebbe preso il nome di «Guerra fredda», un sistema sostanzialmente bipolare diviso in due sfere d’influenza, quella capitalista e quella comunista. Prima di questa divisione l’Italia e il Giappone erano controllati, in misura diversa, dagli americani i quali agendo nominalmente in un’alleanza con Francia e Russia non intendevano instaurare dei regimi anticomunisti di sorta ma, evidentemente, soltanto esportare un poco di liberismo e democrazia relativamente scevra di ideologie. L’Italia era controllata da un organo affiancante il governo in attesa di Costituzione ed elezioni repubblicane mentre il Giappone era occupato dallo SCAP che ne controllava ogni riforma, sostanzialmente ideando ed approvando ogni mutamento dal punto di vista giuridico. Con il graduale esacerbamento delle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica anche per gli altri paesi del mondo l’atmosfera cambiò, soprattutto per le nazioni occupate dagli Alleati. A farne le spese maggiori fu senza dubbio la sconfitta Germania, smembrata e divisa come i cani fanno con le carcasse degli animali morti: perse la sua identità e divenne poi l’emblema della divisione Est- Ovest del mondo. In un certo qual modo a Italia e Giappone il destino riservò sorprese più gradite: in Italia gli americani decisero che il paese dovesse appartenere, come baluardo mediterraneo, alla sfera capitalista e l’ingerenza statunitense perforò numerose volte, le più nell’ombra del segreto di stato, la corazza di quella che avrebbe dovuto essere la sfera di sovranità statale; in Giappone la stretta americana si allentò per evitare un neutralismo che sarebbe stato deleterio per un paese strategico nel Pacifico; addirittura si cominciarono a raccogliere i rimasugli del militarismo tanto avversato nei primi anni, sdoganando politicamente individui che altrimenti avrebbero subito prigionia se non esecuzioni di stato. Tutto ciò per creare dei paesi amici, geopoliticamente strategici, baluardi anticomunisti nell’insieme delle tattiche per «contenere» il mondo sovietico.
L’Italia era a rischio dal punto di vista politico, il partito comunista era forte e gli americani temevano un exploit alle prime elezioni: propaganda e finanziamenti segreti al partito conservatore filo-americano, la DC, nei mesi prima delle elezioni erano all’ordine del
180 Ibid., p.67
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giorno. Il Giappone non aveva sostanziali pericoli interni, la sinistra era debole181 e il partito conservatore era sostanzialmente filo-americano; l’avanzata comunista era il problema: la Russia era vicina, la Repubblica Popolare Cinese, dal 1949, si era aggiunta a questa ondata ideologicamente contraria.
Quello che si formò nel 1947 e durò per decenni fu una sorta di partnership asimmetrica in cui la politicamente ed economicamente egemone America riteneva necessaria un’alleanza con Italia e Giappone, la quale in qualche modo fu un gioco win-win ma non a livello nazionale: da una parte c’era il governo americano, dall’altra i partiti conservatori i quali “effectively ceded to the United States the ability if not quite the right to intervene in their domestic politics for as long as the Cold War lasted,”182
le quali fazioni governative imperarono per tutto il quarantennio senza alternanza, cioè la Democrazia Cristiana in Italia (1948-1993, periodo del “bipartitismo imperfetto”183) e il Partito Liberal-Democratico giapponese (1955-1993, definito come “one and a half party system”184).
Il 1947 in entrambi i paesi è un discrimine fondamentale, da paesi sconfitti diventarono alleati, fu il cosiddetto «cambio di rotta»: “many of the most progressive constitutional reforms were undone. […] Although they [Italy and Japan] were painted over with democratic colors, some of the features of the fascist era continued to be operative after 1945. This outcome can be attributed in no small measure to the fact that by 1948, the United States once avid about democratization, now preferred stability in its confrontation with communism.”185
Il capitolo prende in esame il periodo iniziale della «Guerra fredda» analizzando i cambiamenti delle politiche americane nei riguardi di Italia e Giappone. Ciò che credo, al contrario di studiosi come Richard Samuels186, è che il singolo individuo all’interno del
181 Fu al potere per poco tempo e mai più per tutto il periodo precedente alla caduta del Muro di Berlino.
182 Samuels Richard J., Machiavelli’s Children: Leaders and their Legacies in Italy and Japan, New York, Cornell University Press, 2005, pp.185-6.
183 Galli Giorgio, Il Bipartitismo Imperfetto: Comunisti e Democristiani in Italia, Bologna, Il Mulino, 1966. 184 Hrebenar Ronald J., Japan’s New Party System, Boulder-Cumnor Hill, Westview Press, 2000, p.6.
185 Samuels Richard J., Machiavelli’s Children: Leaders and their Legacies in Italy and Japan, New York, Cornell University Press, 2005, p.185.
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“It is obvious that leaders matter,” esordisce, “indeed, it is so obvious that it is puzzling that so many intellectuals routinely subordinate the choices made by individuals to large and impersonal forces. Few embrace
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sistema internazionale nel periodo e ambito analizzato in questo elaborato non abbia fatto la differenza, egli era soltanto il simbolo, l’emblema e talvolta il burattino di forze che gli stavano alle spalle. Egli è grande in statura in quanto porta da solo il fardello della responsabilità politica. Potrebbe sembrare il capitolo di De Gasperi, in Italia, e di Yoshida, in Giappone: in realtà trattando di loro si intende trattare del pensiero generale dei loro partiti. Se il viaggio di De Gasperi in America fu il simbolo del cambio di direzione politica in Italia, esso non fu dovuto al seppur carismatico leader trentino ma dai fattori esterni, quali la pressione americana e altri interni, quali i dissidi fra partiti; se Yoshida riuscì ad instaurare una linea politica che prese il suo nome non fu il risultato del suo valore politico, seppur innegabile, ma frutto di compromessi e contrattazioni con forze ben più grandi di lui. Il determinismo storico dovrebbe essere stato superato da tempo, il leader non si crea il proprio destino ma lo subisce.
Senza dubbio è bene sottolineare la volontà del capo politico in questione di emergere, cercare di prevalere sulle forze esterne ma, come si vedrà, questi sforzi risultarono vani: in parte surclassati da Washington, in parte modificati da contingenti compromessi.