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Introduzione ai versi 42-

La scena si sposta ora sugli dèi dell’Olimpo. Essi vengono avvertiti dalla messaggera Iride del pericolo incombente; inizia così il confluire di tutti gli alleati chiamati a concilio da Giove.

Vs. 42: Iris: è la messaggera degli Dèi. Tendenzialmente viene vista come un’annunciatrice di situazione funesti, mentre il collega Mercurio è quel dio che pronuncia messaggi propizi. Nell’arte greca viene raffigurata, soprattutto nei vasi a figure rosse, sempre alata131. Essa viene citata nell’Iliade (8, 397),132 e all’interno della Theogonia di Esiodo (vs.780).

Praenuntia: è un sostantivo di utilizzo ciceroniano (Arat. Phaen. Fragm. Max, 66) e

ovidiano (Fast. 6, 207).

Vs. 43: Cinguntur: l’accezione utilizzata è quella di “prepararsi alla battaglia” con il significato del verbo accingo. Il medesimo senso di cingo lo riscontriamo in altre due opere di Claudiano: De consulatu Stilichonis (2, 102) e In Rufinum (1, 49).

Nel caso della Gigantomachia, i soggetti sono gli abitanti dei fiumi, delle lagune e i Mani, che si apprestano a raggiungere Giove in aiuto.

Manes: Con questa denominazione i Romani antichi designano le anime dei defunti

che sono ubicati nell’oltretomba, dalla quale risalgono, talvolta, per vagare fra i viventi sulla superficie terrestre. C’è da sottolineare, però, che essi solo dopo l’età di Augusto, con autori del calibro di Virgilio (Aen. 12, 646), vengono delineati come quelle anime placate degli antenati, trasformate in divinità di carattere quasi personale133.

131 TACCONE 1951, p.542.

132 Il. 8, 397: Ἶριν δ’ὄτρυνε χρυςόπτερον ἀγγελέουσαν “Và dunque, Iride rapida, falle tornare”. Traduzione PADUANO 1997.

65 Vs. 44 Proserpina: è introdotta attraverso un’apostrofe, figura retorica già presente al verso 35 (Porphyrion). La dea viene invitata a uscire dall’oltretomba per giungere al concilio degli Dèi. Proserpina è una divinità romana, corrispondente alla greca Persefone134. In quanto moglie di Ade, è la dea degli Inferi e regina dell’Oltretomba. Non si sa con esattezza quando e in quale modo il culto e il nome di Proserpina siano arrivati a Roma, ma una leggenda riferita dallo storico Valerio Massimo (2, 4- 5) ci racconta di come il culto di Dite e della Dea fosse stato istituito durante una pestilenza presso il campo di Marte135. Il suo culto, però, viene introdotto in forma ufficiale nel corso della prima guerra punica, accanto a quello dello sposo Dite136. Proserpina è la protagonista della seconda opera a carattere mitologico di Claudiano, il De raptu Proserpina. Il mito del rapimento di Proserpina/ Persefone è citato anche in Esiodo (Theog. 912-914), in trattazioni mitografiche e componimenti poetici (fra questi anche l’Elena di Euripide (vs. 1301)). Nel mondo latino viene descritta da Ovidio nei Fasti (4, 417-618), e solo in epoca tarda Claudiano le dedica il suo poemetto.137

Vs. 45 Umbrosae: riferimento dell’epiteto all’Ade. Ciò anche nel De raptu Proserpinae (1, 116): lucidus umbroso miscebitur axis Averno “Il luminoso cielo sarà mescolato all’ombroso Averno”.

134 Essa nella cultura greca viene tendenzialmente descritta come una divinità funerea e spaventosa sia nell’aspetto che nel volto (molte volte è raffigurata come Medusa), nemica della gioia e minacciosa nello stesso nome. BENDINELLI 1951, pp. 799-802.

135 GIANNELLI 1951, p. 347.

136 In onore di Proserpina e Dite vengono celebrati i Ludi Tarentini che si svolgono all’interno del Campo Marzio. La leggenda racconta che un personaggio di nome Valerio, durante un periodo di pestilenza e povertà, chiese agli dèi un modo per salvare i propri figli. Il responso fu di scendere il corso del Tevere e di dar loro l’acqua dell’altare di Proserpina e Dite; i figli guarirono. Venne quindi eretto un altare di ringraziamento, sotto il quale venne trovata una roccia con un’iscrizione dedicata alle due divinità. CAMPANINI-CARBONI 2007, p. 1379. 137 BENDINELLI 1951, pp. 799-802.

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Rex silentum: Si ha qui il riferimento a Plutone. Tale dicitura è di stampo ovidiano:

(Met. 5, 356) et rex […] ipse silentum.

Si apre una breve sezione nella quale si descrive l’arrivo di Plutone138 accompagnato da Proserpina. Il re delle anime silenti viaggia con il suo carro infernale mentre i cavalli si impauriscono per l’insolita luce cui si trovano di fronte.

I viaggi di Plutone vengono citati in particolar modo nel De raptu Proserpinae139, ove

le due divinità in questione sono i protagonisti indiscussi. Nel secondo libro dell’opera mitologica, si snoda una lunga sezione nella quale si descrivono l’arrivo dei cavalli infernali e in particolare modo la reazione che essi scaturiscono (2, 191- 192): audito palluit Atlas / hinnitu “All’udire il nitrito, Atlante impallidì”. A seguito di un elenco in progressione di comportamenti anomali di singoli astri terrorizzati (Arctos, Bootes, Orion) dal sopraggiungere di Plutone, l’apice della vicenda si focalizza sulla pavida reazione di Atlante che sorregge l’intera volta celeste140.

Al sostantivo carrus viene accostato l’aggettivo Lethaeus che, come in Orazio141, viene qui utilizzato con il suo significato di “infernale”.

138 È uno dei nomi dati al Dio degli Inferi, noto ai greci con il nome di Ade (Άίδης) e ai latini sotto il nome di Dis o Ditis. Figlio di Saturno e di Opi, viene associato nel culto sempre alla sua sposa Proserpina. SILVA 1951, p. 561.

139 (1, 276-279): Merserat unda diem; sparso nox umida somno / languida caeruleis inuexerat

otia bigis, / iamque uiam Pluto superas molitur ad auras / germani monitu. “L’onda aveva

sommerso il giorno; sparso il sonno, la notte umida aveva portato il pigro ozio con le cerulee bighe, e già Plutone prepara il viaggio nel mondo supero su monito del fratello”. 140 Tale immagine risente l’influsso della Tebaide di Stazio (1, 98-99) in cui si descrive l’uscita di

Tisifone dagli Inferi : procul arduus Atlans / horruit et dubia caelum cervice remisi “n’ebbe orrore da lungi il gigantesco Atlante e per poco fece cadere il cielo dal collo tremante”. Traduzione di TRAGLIA-ARICO’ 1980.

141 Hor. C. 4, 7, 27-28: Nec Lethaea ualet Theseus abrumpere caro / vincula Pirithoo. “Né Teseo può infrangere le catene infernali al Piritoo, suo diletto”.

67 Vs. 48 I cavalli si meravigliano per l’opposizione cromatica che trovano una volta lasciato il mondo dell’oltretomba. Per il rapporto “tenebre-luce” che i ronzini temono come una cosa insolita si deve ricordare anche Ovidio (Fast. 4, 449, 450):

Panditur interea Diti uia, namque diurnum / lumen inadsueti uix patiuntur equi

“S’apre intanto la via a Dite, poiché i suoi cavalli, non avvezzi alla luce, la tollerano a stento142”.

Naribus efflant: Clausola utilizzata da Virgilio e da Ovidio (Met. 2, 85; 3, 686; 7, 104).

Il poeta di Mantova fa riferimento a quei cavalli portatori di un nuovo giorno che nasce (Aen. 12, 113-115): Postera uix summos spargebat lumine montis / Orta dies,

cum primum alto se gurgite tollunt / Solis equi lucemque elatis naribus efflant

“Tingeva appena di luce le cime dei monti, sorgendo, il giorno nuovo, nell’ora che su dal gorgo profondo emergono i cavalli del Sole e sbuffano i raggi, le froge levate”.

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