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[1] Sorgerà mai il giorno, o scelleratissimi cittadini, nemici della patria e sovvertitori della pace in Italia,1 in cui sconterete la pena conforme ai vostri crimini e il meritato supplizio? Accadrà finalmente che l’esempio della vostra singolare disfatta possa atterrire i vostri simili e far loro comprendere, in virtù delle vostre sciagure, quale pericolo essi stanno correndo, sì che la vostra disfatta non risulti solo una giusta vendetta ma anche un utile esempio? Saranno infine svelati e, quindi, sventati i vostri inganni, su cui fondate tutta la vostra forza, sì da far giustamente apparire prudenti gli altri popoli e voi, al contrario, completamente folli e ciechi?2

[2] Sarà così, ne sono certo; i tempi sono maturi, il destino sta per compiersi, a grandi passi si avvicina la disfatta della vostra superbia a lungo agognata dalle genti.3 Vedremo ─ e come se vedremo! ─ la vostra tanto decantata costanza e tenacia romana nel difendere quella odiosissima libertà, o piuttosto crudelissima tirannide. Siete soliti, infatti, farvi vanto di questo nome e dichiararvi a tutti progenie dei Romani. Mi riprometto di confutare questa vostra enorme menzogna in un’altra circostanza. Per il momento proseguo col dire che vedremo quella vana, insopportabile presunzione e insolenza fiorentina, e scopriremo quanto corrisponda davvero alla virtù quella lode di cui ─ più di ogni altro popolo ─ vi vantate ingiustamente.

[3] La gente non può più sentire il vostro nome senza provare un senso di nausea; l’Italia non può più sopportare che restino impuniti coloro che le hanno arrecato così tanti mali e persino tentato di costringerla a un’orrenda schiavitù; infine, non vi può più tollerare la stessa giustizia divina. Non vedo proprio come possiate resistere, se quasi tutti, ormai, auspicano e agognano la vostra rovina, se vi ha in odio l’Italia ─ da voi tormentata e che volevate schiava ─ e se, infine, la stessa ira celeste prende le armi contro di voi, irritata dai tanti misfatti. Anche lei — credetemi, scellerati — vi fa la guerra; anche lei brama il vostro sangue esecrando; anche lei pretende la totale disfatta di un popolo quant’altri mai pericoloso e criminale. Perciò essa ha ispirato una tale follia nelle vostre menti da farvi ordire perniciose congiure sperando di distruggere la Santa Madre Chiesa, mutare il governo dell’impero romano e far cadere il gloriosissimo duca. Che altro si dovrebbe infatti pensare se non

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che Dio stesso, ormai sdegnato per le colpe da voi commesse, vi abbia fatto perdere il lume della ragione, così da volgere nemici e milizie tali contro di voi da non poter resistere alla loro forza e nemmeno sopportarne lo splendore?

[4] E, per non parlare degli altri vostri nemici, i quali non vedono l’ora che precipitiate da quella vetta che avete raggiunto con la vostra superbia e i vostri delitti, ecco che contro di voi ─ perfidi ─ avanza un esercito con armi, soldati e comandanti di tal fatta da risultare temibile a una potenza assai più grande della vostra, benché ve ne vantiate tanto da rendere la vostra arroganza difficilmente sopportabile. E non avanza solo perché inviato con grandi speranze, quanto soprattutto perché richiesto e atteso dai vostri, se vostri possono chiamarsi coloro sui beni e i corpi dei quali esercitate un crudele e avido dominio pur senza averne affatto conquistato i cuori. Sperano infatti che grazie a questo esercito liberatore voi sarete finalmente resi schiavi ed essi potranno invece recuperare quell’antica dignità che, come lamentano, si sono vista strappata da voi.4 Attendono quindi questi soldati tutte le genti soffocate dalla vostra insopportabile tirannide, con la speranza di potersi liberare, appena se ne prospetteranno il momento e l’occasione opportuni, dal giogo della vostra schiavitù, sotto il quale nulla può essere per loro motivo di gioia. Del resto, quale conforto si potrebbe mai provare in una condizione di servitù senza sollievo alcuno, vedendo portati via, con immenso dolore, tutti i ricchi averi e i tanti beni accumulati, solitamente motivo di grande felicità, oppure vivere sempre col timore di perderli? Cos’è mai più dolce della sposa e dei figli? Ma come possono costoro rendere felici quando ci si accorge che le nozze tanto attese rischiano di esser rovinate da un insolente e i figli, a cui abbiamo dato la vita, da uno svergognato?5 La patria poi, che per tutti deve essere motivo di gioia, causa invece immensa tristezza e dolore quando la vediamo oppressa a tal punto che non soltanto non si ode nessuna voce libera, ma nemmeno le menti sono più libere. E se è triste che una persona infligga tutto ciò, ancor più lo è se sono molti, tristissimo, poi, se a farlo è gente che ha superato la perfidia di tutti i tiranni di cui si abbia memoria con la sua cupidigia, la sua intemperanza, la sua crudeltà. Ecco quindi che tutti coloro che sono da voi costretti a un’esistenza così misera sotto il giogo di un’insopportabile schiavitù stanno adesso all’erta, in trepidante attesa, desiderosi di cogliere finalmente l’occasione di riconquistare la libertà, tanto che è difficile dire quante speranze nutrano nella venuta di questo esercito. Sono infatti animati da un entusiasmo smisurato, davvero incredibile, e gli sembra di aver già ripreso possesso di quella libertà che credevano persa per sempre.

[5] E non vantatevi di quella conquista di San Miniato (fortunata per voi, triste invece per gli abitanti del luogo),6 ma vi incuta, piuttosto, timore l’improvvisa rivolta immediatamente successiva, sì che il rischio corso allora vi possa far capire quali sentimenti animino gli altri villaggi e le altre

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città sottoposti alla stessa oppressione.7 Credetemi: l’esilio di quel magnanimo liberatore della patria, seppur forse troppo precipitoso (o piuttosto tradito e abbandonato), lungi dallo spengere la speranza per paura insegnerà loro a comportarsi con più cautela in ciò che gli sta a cuore.

[6] E arrivati ormai a questo punto del discorso, vi si mostri dunque in quali tremende difficoltà vi siete cacciati e in che guaio vi trovate, se siete così dementi e ciechi da non rendervene conto. Vorrei che mi diceste dove e da quali scorte prenderete il grano necessario per sfamare la popolazione, dato che tutto il vostro territorio è per natura ben poco fertile, tanto da non riuscire a soddisfare il fabbisogno della città neanche in tempo di pace.8 I vostri nemici appiccheranno incendi e faranno razzie ovunque, a meno che non pensiate che la Sicilia, granaio del popolo romano9 e vostro principale fornitore, vi verrà in aiuto in questa circostanza. Dovete però tenere presente che non potete più contare sul porto che era per voi di importanza capitale10 e pensare a quanto sia difficile portare cibo sufficiente a così tante persone dall’altra parte dell’Appennino partendo dall’Emilia Romagna, visto che è un percorso impervio persino senza gli impedimenti causati dalla guerra. Ma se alla naturale difficoltà delle strade si aggiunge la scarsa sicurezza, tipica di una guerra estesa su un vasto territorio, non so proprio come farete a non morire di fame, a meno che Giove in persona non vi faccia piovere grano dal cielo.

[7] Pensate forse di riuscire a difendere i vostri confini? Non mi pare proprio che abbiate forze a sufficienza da poter resistere a quattro legioni di cavalieri (tante, infatti, ne vengono ora armate contro di voi). “Ma gli alleati accorreranno in aiuto nel momento di massimo bisogno”. Niente vieta di invocare l’aiuto degli alleati quando la situazione è disperata. Ma avete mai avuto voi un alleato che non detestasse la vostra superbia? Ce n’è forse uno che non sia nauseato dai vostri tentennamenti? Che non provi odio per voi? Che non gioisca delle vostre sventure, così che, se solo potesse avvenire senza suo pericolo, non vorrebbe vedervi sconfitti una volta per tutte e scacciati dalla faccia della terra? Sono falsità, le mie, e pure invenzioni? Vorrei che a questo proposito rispondessero i Bolognesi, che ormai da nove anni si sono legati a voi con un patto di alleanza.11 Costoro, solo per il fatto di essersi uniti a voi e di essere diventati vostri amici, si sono trovati coinvolti in quel primo conflitto, contro la loro volontà e senza che vi fosse motivo alcuno di attrito tra di loro e il duca di Liguria; e mentre potevano fare da semplici spettatori delle vicende altrui standosene tranquilli e in pace,12 preferirono mettere a repentaglio la propria sicurezza per la vostra, e per di più in una guerra di cui era chiaro che essi avrebbero dovuto sostenere quasi tutto il peso. Quale altra accusa ha infatti mosso loro il duca ligure appena menzionato, dichiarando guerra, se non quella di essersi lasciati eccessivamente trascinare dall’amicizia per voi al punto da diventare vostri sostenitori in ogni circostanza? Nessuno perciò deve dubitare che se avessero sciolto

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l’alleanza fatta con voi essi non sarebbero mai stati costretti a sostenere quella onerosa guerra. Ma prevalse il senso di lealtà, prevalse l’affetto, prevalse il pregiudizio. E così, in un momento critico e quanto mai difficile, a un signore potentissimo e loro vicino preferirono voi, scegliendo il partito peggiore ed esponendosi a un grave rischio.

[8] Come, d’altro canto, vi siete comportati voi in tempo di pace rispetto a questi amici e alleati tanto benevoli, tanto fedeli, di così antica data e sicura affidabilità loro lo sanno bene e, non senza stupore, lo ha visto l’Italia tutta. Penso davvero che, malgrado la vostra incredibile sfacciataggine, non mi negherete quanto sto per dire: con questi alleati così fedeli avete avuto una controversia di non poco conto per colpa vostra e siete quasi arrivati al punto di risolvere la questione con una guerra, prendendo le armi uno contro l’altro; la sola cosa che vi ha trattenuti dal farlo non è stato un antico legame di amicizia, il ricordo dei successi e delle fatiche sperimentati in comune ─ motivo che più di ogni altro tende a unire le persone ─ o il desiderio di pace, il senso di amicizia, e nemmeno, infine, il sacro vincolo dell’alleanza, ma la paura. Questa soltanto vi ha indotto a deporre, furenti, le armi e non muovere, al contempo, contro i vostri alleati, contro i patti, contro tutte le leggi umane e divine.13

[9] E adesso questi alleati dovrebbero intervenire per salvarvi dalla rovina? Non credo siano così folli da prendere le armi per aiutare quegli stessi che vorrebbero, non senza motivo, vedere sconfitti e distrutti. “Ma verranno”, dirà qualcuno, “per allontanare un pericolo e spengere un focolaio di scontri che minacciano anche loro”. Innanzitutto, sanno benissimo che questo pericolo e questa guerra non minacciano anche loro, dato che li avete innescati voi con la vostra follia, e riterranno pertanto, non a torto, che voi soli dobbiate fronteggiarli. Se poi inizieranno a nutrire qualche dubbio e avrà successo uno di quegli intrighi che ordite di continuo, la loro prima preoccupazione sarà allora rafforzare la difesa del proprio territorio piuttosto che venire a liberare il vostro.

[10] Non capisco, d’altronde, quale aiuto voi speriate da tre tiranni, dei quali uno è ormai così povero da essere quasi rovinato e l’altro deve ancora rimettersi in sesto, tanto da avere piuttosto tutt’e due bisogno di sostegno. Dal terzo poi avete così poco da aspettarvi aiuto che sarà invece lui, una volta preso fra mille fuochi nell’imperversare del conflitto, a chiedere inutilmente rinforzi ai Fiorentini e il rispetto degli accordi.14 Smettetela quindi di nutrire queste grandi e inutili speranze sui vostri alleati e pensate piuttosto in che modo, con quali probabilità di successo e, infine, con quale sorte e fortuna voi affronterete da soli una guerra così impegnativa.

[11] A meno che non vi renda più animosi15 il patto stretto coi Galli.16 Mi stupisco di tanta stoltezza, al punto da riporre tutte le loro speranze in un popolo così incostante,17 da parte di uomini

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che vogliono passare per prudenti e scaltri. Mi stupirei di riscontrare negli Italiani una cosa tanto strana come fare affidamento sui Galli se non sapessi che voi per gli Italiani siete una macchia,18 la feccia dell’Italia e da tempo ormai nemici del suo bene. Ma sant’Iddio, quando un esercito forte e potente vi devasta il territorio, quando avete i nemici accampati dentro i vostri confini, quando state ormai per difendere le vostre stesse case e dalle mura sentite il cozzare delle armi,19 che novità vi giungono dalla tanto decantata Gallia Transalpina? Giungono, immagino, ogni giorno voci e lettere; ma, chiedo, di che tenore? Gli ambasciatori sollecitano la corte e il re, implorano l’aiuto previsto dagli accordi, mentre gli eventi ormai precipitano, e supplicano di non essere abbandonati da quel grandissimo re — da essi fortemente voluto come unico sostegno e signore, disprezzando la maestà imperiale e ignorando la Chiesa romana — di fronte a un pericolo così grave e imminente. Il nemico è in armi e devasta le terre di sua proprietà;20 se non si presta soccorso, affermano, in breve tutto sarà perduto. È lui l’unico re al mondo che può salvarli, non ve n’è altro. Pregano e scongiurano il re, per la sua santissima corona, di non lasciarli soli e indifesi alla mercé del nemico, di quel nemico, aggiungono, che è loro particolarmente ostile proprio perché hanno affidato se stessi e le proprie fortune alla sua reale maestà, mostrandogli la più grande devozione.

[12] Si impegnano quindi in tutti i modi immaginabili ad adulare i Galli, per loro natura volubili e superbi, a spronarli con tutte le lusinghe possibili; se volessero fare giusto un piccolo sforzo, sono maturi ormai i tempi e quanto mai propizia l’occasione non solo di conquistare l’Italia ma anche di impossessarsi dell’impero e richiamare all’ordine la Chiesa; dalla loro parte è Genova e, con essa, ormai gran parte dell’Italia; una volta sconfitto il duca di Liguria non vi sarà più nulla che, per terra o per mare, potrà opporsi alla sua potenza; lo stesso duca, del resto, benché dia un’impressione di forza, cadrà al primo attacco. Pertanto, a quegli stessi che hanno poche speranze e pochi mezzi per difendere il patrio suolo,21 essi promettono il completo controllo dell’Italia e il dominio sul mondo intero.

[13] Non dubito che tutto ciò susciti risposte affabili e gradite, del tipo: il re ha a cuore la sicurezza dei suoi amici e non dimentica i patti da poco stipulati; gli intima di non perdersi d’animo, ché la maestà del re non mancherà mai di venire in loro soccorso. Può anche darsi, benché abbiate bisogno di legioni di soldati, che i Galli ritengano opportuno intervenire prima in vostro aiuto inviando ambasciatori, vale a dire il massimo che possiate ottenere con le vostre suppliche. Nel frattempo continueranno a dedicarsi ai loro svaghi, a godersi le loro ricchezze beati e in pace,22 mentre voi, sventurati, vi dibattete nella morsa di un terribile conflitto. Ma insomma: poniamo che vogliano

difendere non soltanto a parole ma con le armi! Non dico ora come la prenderebbero l’imperatore e la Germania intera se i Galli si accingessero a muovere verso l’Italia, dato che per difendere la

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dignità dell’impero — la cui capitale è in Italia — si vedrebbero costretti a scendere in campo. Non lo dico, benché di per sé basterebbe non solo a frenare qualsiasi velleità bellicosa dei Galli ma a eliminarla e domarla. Vengano pure i Galli e soffi per voi da Occidente quell’aura benefica che vi permetta di respirare assillati dai peggiori tormenti; verranno, certo, ma una volta arrivati non gli toccherà difendervi bensì piangere la vostra sorte e celebrare il vostro funerale.

[14] Che follia è mai questa, un vaneggiare privo di qualsiasi senso e ragione, da indurvi a credere che un re così importante — dimenticandosi dei tantissimi beneficî, di un patto sacrosanto e dei legami di parentela — voglia esporsi a dei rischi, per difendere e accrescere gli interessi dei Fiorentini, al punto da occuparsi soltanto della vostra sicurezza e della vostra gloria trascurando tutto il resto? E se pensate che sia così incostante un re da considerare nemico quello stesso cui suo nonno ha tempo addietro conferito un titolo nobiliare, imparentandolo inoltre alla sua casa reale,23 che fino a poco prima lui stesso riteneva alleato e amico, a cui, infine, ha concesso (pegno illustre e durevole del suo straordinario affetto) le insegne regie a eterna lode della stirpe e del sangue viscontei,24 se credete appunto che questo re sia così incostante da essere all’improvviso cambiato a tal punto, tanto da voler muovere guerra — senza che ve ne sia alcun motivo concreto, se non stornare dal vostro capo una minaccia incombente — a colui cui è legato non solo per parentela ma anche da un patto di recente stipulato, vi consiglio di fare attenzione a non commettere un grave errore.

[15] Può darsi che la vostra astuzia e quella irrefrenabile licenza25 di tramare e mentire — a cui ricorrete, più di ogni altro popolo, in tutte le faccende pubbliche e private — sia riuscita a istillare un minimo di dubbio nella mente del sovrano e, quindi, ad allontanarlo, seppur poco, dal duca ligure. Ma Dio non voglia che tale vostra temerarietà e impudenza riescano a sortire l’effetto che il re prenda le armi e cominci una guerra a vostro piacimento. Avrà ben presente il patto da poco stipulato a difesa della dignità di entrambi i principi, senza mirare a offendere o ledere gli interessi di chicchessia. Si ricorderà del suo antenato, quel re a suo tempo nobilissimo e sapientissimo, a cui anni addietro, in circostanze quanto mai difficili e incerte, il padre del presente duca, il magnanimo Galeazzo, si offrì del tutto spontaneamente per aiutarlo e lo fece in ogni modo possibile.26 Penserà alla duplice parentela che lega a lui la sua stirpe regale.27 Ritornerà con la mente, che credete di aver distolto con le vostre menzogne, all’amicizia di lunga data e si accorgerà finalmente di cosa state tramando e si renderà conto di tutte le menzogne che avete raccontato, per raggiungere il vostro turpe scopo, a proposito di quell’ottimo duca e illustrissimo principe.

[16] Pertanto non solo non penserà che voi dobbiate essere difesi dalle sue truppe (no!),28 ma vi riterrà degni delle peggiori torture, e sarà così lungi dal venirvi in soccorso nel momento del

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bisogno che vorrà piuttosto sconfiggere quanti tentassero di farlo. E se poi quella frode che state tramando alla corte transalpina avrà la meglio sull’onesta e leale condotta del nobilissimo duca e i vostri inganni riusciranno a cancellare il ricordo di tutti gli obblighi e gli affetti che li legano l’uno all’altro, credetemi: è nostro proposito opporci ai Galli in modo da far loro comprendere ciò che tantissime volte hanno sperimentato i loro antenati, ossia che è assai facile per i Galli venire in Italia, difficile tornarne vincitori. Da ciò, com’è noto, deriva il proverbio diffuso fra noi: l’Italia è la tomba dei Galli.29 Non è ora il caso che vi richiami alla memoria le antiche storie e gli esempi di romano valore; mi limiterò a riferire quello di cui noi stessi siamo stati recenti testimoni. Venne in Italia quel famoso duca d’Angiò, insigne non solo per il titolo reale del padre ma anche perché, investito dell’autorità regia, da lungo tempo vantava tali ricchezze e tesori che gli altri principi delle Gallie lo tenevano nella massima considerazione; venne, inoltre, con al seguito così tanti cavalieri galli e un tale esercito potente e famoso che non sperava di conquistare solo le terre del regno su cui marciava ma l’Italia intera.30 Non si riusciva a immaginare, infatti, chi mai avrebbe potuto resistere a così tante legioni armate, a un nome così illustre, a una tale disponibilità di mezzi. Dall’altra parte vi era chi poteva contare soltanto sul proprio coraggio e sul proprio valore, ossia quel Carlo ottimo sovrano, gloria suprema dei re; più illustre di lui nulla il sole ha mai visto in terra. Aveva, poi, da poco preso la guida del regno, né era questo saldo, bensì lacerato da lotte intestine e dalle discordie

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