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Buongiorno a tutti.

Abbiamo anche noi provato a mettere giù un po’ i numeri di questi anni. I numeri dell’acco-glienza milanese sono contenuti, molto limitati. La raccolta dati ha riguardato infatti anche i primi anni di sperimentazione e all’epoca si voleva tenere un numero contenuto proprio per verificare e anche capire come procedere.

Nel biennio 2016-2018, un numero di ospiti che ammonta a 21 beneficiari ha usufruito di questa progettualità a fronte di 17 famiglie coinvolte. Le famiglie sono in numero inferiore rispetto ai beneficiari perché alcune di esse hanno voluto replicare l’esperienza, e perché il numero di ospiti include anche un piccolo nucleo famigliare che è stato accolto da una famiglia italiana.

Le nazionalità rappresentate sono molto variegate, le persone sono arrivate dal Mali al Ca-merun, ma anche da Costa d’Avorio e Gambia. Abbiamo cercato di dare un’idea molto generica dell’età e del sesso, la progettualità riguarda molti neo-maggiorenni, quindi ragazzi e soprattutto di genere maschile, con un’età inferiore a 21 anni. I beneficiari sono dunque donne, uomini neo-maggiorenni e piccoli nuclei famigliari; per quanto riguarda quest’ultimo caso, in realtà per ora l’esperienza di accoglienza di nuclei è stata soltanto una, un’eccezione che però potrà essere replicata.

I beneficiari dovevano già essere titolari di una forma di protezione, finora abbiamo mantenuto l’umanitaria ma, come diceva la collega prima, non sappiamo se si potrà rifare. Probabilmente, il Comune non lo permetterà, ma non ne siamo sicuri. Anche per noi, l’avere acquisito un discreto livello di italiano è stato indispensabile per poter intrattenere una comunicazione di base con la famiglia e per avviare un percorso di inserimento lavorativo formativo. In generale, le persone se-lezionate per il progetto dovevano aver già svolto un buon percorso di accoglienza nei centri. Ogni beneficiario comunque è stato sottoposto, come la famiglia accogliente, a diversi colloqui cono-scitivi, condotti anche da parte dell’équipe che lo ha preso in carico. Infine, i beneficiari sono stati scelti anche in base all’interesse manifestato per questo tipo di esperienza, la volontà di integrarsi e soprattutto di stare in una famiglia doveva essere presente.

Chi accoglie invece? Quali sono le famiglie che sono state coinvolte in questo progetto?

Le famiglie sono perlopiù residenti a Milano, questo era uno dei requisiti previsti dal bando;

successivamente, quando il progetto è andato avanti senza bando, è stato ritenuto opportuno che le famiglie accoglienti vivessero in città. C’è stata qualche eccezione ma teniamo ancora questo parametro. Abbiamo chiesto la disponibilità di una camera dedicata e una disponibilità a voler fare questa esperienza, ad aprirsi all’altro. Abbiamo ritenuto un punto a favore il fatto di aver già avuto qualche altra esperienza precedente di accoglienza, era importante che la famiglia avesse un po’ dimestichezza con l’apertura a nuove culture.

Il punto centrale di tutta la progettualità è proprio l’équipe, che è completamente dedicata al progetto e ha tra le sue funzioni quella di ricevere le segnalazioni dei centri e di valutarle. L’équipe è composta dal Comune di Milano, che purtroppo non è potuto essere presente in

quest’oc-casione; dall’assistente sociale del Servizio di Politiche dell’Immigrazione; dai rappresentanti dell’ente gestore, quindi la cooperativa Farsi Prossimo, che rivestono il ruolo di coordinatore per la gestione del progetto, di educatore - che in questo caso sarei io - e di psicologa, la collega Irene Carrano.

Il ruolo dell’équipe è centrale perché si occupa di tutto: dalla selezione, alla prima fase di accoglimento della domanda, dalla segnalazione da parte dei centri, a una prima valutazione. Si occupa anche di valutare la famiglia, di effettuare il matching beneficiario/famiglia e di accom-pagnare durante tutti i sei mesi di durata della progettualità. Abbiamo voluto evidenziare questo aspetto perché per noi è fondamentale l’accompagnamento in questa esperienza, vediamo fami-glie che faticano a vivere appieno e a capire alcune dinamiche.

Mi soffermo un attimo sulla figura dell’educatore, la mia, che è peculiare e che consiste proprio nell’accompagnamento settimanale del beneficiario: ogni settimana sono previsti degli incontri dove si fa il punto sull’esperienza che sta vivendo e insieme si progetta il percorso per-sonale, formativo e lavorativo, che dopo qualche mese può anche diventare alloggiativo, con le ipotesi di alloggio per la fuoriuscita dal progetto. L’educatore, grazie agli incontri che intrattiene non solo con il beneficiario ma anche con la famiglia, può intercettare per tempo eventuali difficol-tà e criticidifficol-tà che possono emergere durante l’esperienza, e quindi può di fatto rimandare in équipe la problematica emersa e attivare delle risorse, o eventualmente programmare l’intervento dello psicologo, cosa di cui ora ci parlerà la collega.

Irene Carrano

Entriamo un po’ nello specifico di che cosa fa, in questa équipe multidisciplinare, lo psicologo. Io lavoro veramente a stretto contatto con l’assistente sociale del Comune di Milano, con lei svol-giamo tutte quelle fasi preliminari a poter mettere in atto il progetto. È con l’assistente sociale di Milano che faccio i colloqui di conoscenza, di cui parlava anche il collega di Torino, degli ospiti che ci sono stati segnalati. Gli ospiti ci vengono segnalati dai colleghi degli SPRAR tramite una relazione e quando noi decidiamo, sulla base della relazione stessa, che può essere interessante conoscere la persona, io e l’assistente sociale andiamo a incontrarla. Sempre io e l’assistente conduciamo le visite domiciliari delle famiglie che ci hanno contattato e hanno desiderio di par-tecipare al progetto.

Vedere insieme da un lato le famiglie che ospiteranno e dall’altro i beneficiari del progetto, ci consente poi di fare il lavoro di matching, una fase importantissima che spesso sostiene la buona riuscita del progetto. Vi riporto un esempio molto semplice. Lavorando con i ragazzi musulmani, ci capita molto spesso che alcuni di loro abbiano paura dei cani. Ora, se la famiglia che si è detta disponibile ha in casa un bellissimo cane, questo può creare dei problemi. Le famiglie che deci-dono di accogliere possono essere single, possono essere formate da una coppia di genitori con bambini piccoli, o da coppie un po’ più avanti negli anni, che magari hanno figli che sono già usciti di casa e hanno lasciato le stanze libere per poter accogliere. Andare a valutare che tipo di persona inserire nella famiglia a seconda delle caratteristiche della famiglia stessa aiuta dunque il percorso.

Un altro dei miei compiti consiste nell’organizzare dei momenti di gruppo: circa una volta al mese, incontriamo in gruppo o le famiglie o gli ospiti. Questo perché così sia le famiglie che gli ospiti hanno un proprio spazio dove poter conoscere qualcuno che come loro stia facendo quel tipo di esperienza. In particolare, quando il progetto andava per cicli, le famiglie o le persone che si incontravano stavano più o meno affrontando lo stesso periodo. Perché una cosa è essere all’i-nizio del progetto e confrontarsi con quelle che sono le criticità della conoscenza dello straniero, altro è invece essere nel momento della chiusura del progetto, con tutte le ansie su dove andrà dopo questa persona e come se la caverà senza di noi. Si tratta semplicemente di problematiche differenti e ci sembra importante che le famiglie in qualche modo possano aiutarsi e condividere queste fasi.

Entriamo ora un po’ più nello specifico del processo di accoglienza.

Con l’assistente sociale raccogliamo le disponibilità, conosciamo le famiglie e i beneficiari,

facciamo gli abbinamenti e, una volta che il match è stato fatto, ci siamo dati la prassi di avere almeno tre momenti in cui l’ospite e la famiglia si incontrano.

Il primo incontro avviene in uno spazio neutro; il secondo incontro invece viene fatto a casa della famiglia, perché l’ospite prima di iniziare questa splendida avventura possa un po’ vedere qual è il luogo che lo accoglierà. E infine il terzo momento è quello in cui chiediamo alle famiglie di andare a prendere gli ospiti nei centri di accoglienza e di aiutarli a trasportare le proprie cose. Ci sembra importante che la famiglia possa in qualche modo vedere il luogo in cui le persone hanno vissuto negli ultimi mesi.

Durante tutto il periodo del progetto c’è il monitoraggio fatto dall’educatrice, ha una caden-za settimanale, almeno negli incontri con gli ospiti, ma lo psicologo resta a disposizione. Io non faccio delle vere e proprie prese in carico cliniche: essendo psicoterapeuta però, in caso di criticità posso condurre dei primi colloqui e poi riferire all’etnopsichiatra, che anche su Milano funziona.

Il processo di accoglienza si svolge dunque anche attraverso dei colloqui individuali, attraver-so la partecipazione a momenti periodici “di attraver-socializzazione” - cioè ai gruppi di cui vi parlavo poco fa-, e alla condivisione di quello che è il percorso.

Per quanto riguarda gli aspetti gestionali, il Comune di Milano mette a disposizione per le famiglie un contributo mensile di 350 Euro per coprire le spese dei beneficiari: anche se i ragazzi usufruiscono di una borsa lavoro o sono impegnati in un tirocinio, la famiglia deve comunque ga-rantire i pasti. Se il ragazzo sta per esempio fuori tutti i giorni a pranzo e non ha una sua liquidità, la famiglia può decidere di dargli dei soldi a partire da quel contributo.

Ho un’ultima cosa che mi piacerebbe condividere oggi con voi: sono molto contenta del-la contaminazione avvenuta tra progetti simili, in questa direzione va del-la scelta di attivazione del portale che abbiamo fatto a dicembre. Non so ancora dirvi come partirà, finora abbiamo lavorato col bando e con le associazioni, ma siamo molto lieti di avere questo strumento e speriamo sia l’occasione per portare avanti il progetto.

Annaviola TolleR -

Cidas Cooperativa sociale - Progetto Vesta Rifugiati in Famiglia Bologna e ferrara Grazie a Irene.

Chiudiamo questa mattinata con due parole aggiuntive sul progetto di Bologna e di Ferrara, en-trambi gestiti coi rispettivi enti locali, Comune di Bologna, ASP Città di Bologna, Servizio protezione internazionale e Comune di Ferrara da cooperativa Cidas. Non ripeterò le parti tecniche, che devo dire trovano abbastanza sintonia tra i diversi progetti, cerco invece di spendere due parole su quello che secondo noi ha valorizzato moltissimo questa esperienza di prossimità e che è stato in grado di dare risposte a più livelli.

Risposte ai ragazzi, non risposte in grado di risolvere e di gestire totalmente un fenomeno - non un problema, ma un fenomeno - che è quello della migrazione forzata. Risposte ai ragazzi arri-vati sul territorio da minori stranieri non accompagnati, che hanno già vissuto una fase in seconda accoglienza all’interno dello SPRAR, esperienza che però non è sufficiente per cavarsela poi da soli, dignitosamente, in autonomia. Vi ricordo che i progetti sperimentali di accoglienza in famiglia da Cidas sono rivolti in via prioritaria ai neo-maggiorenni, quindi a quel target delicato e specifico del dopo diciotto anni. Sono quindi ragazzi che, per quanto si orientino benissimo sul territorio e imparino a vivere la vita in modo straordinariamente rapido, hanno e continuano ad avere moltis-sime domande, anche dopo uno o due anni di accoglienza.

Risposte anche ai cittadini e alle cittadine, che hanno imparato credo moltissimo sulle mi-grazioni forzate e hanno avuto accesso a una serie di informazioni rispetto al fenomeno che non avevano mai avuto prima. Alcuni cittadini ci dicono “Io ho scoperto dell’esistenza del Gambia quando ho conosciuto Sidi, quando ho conosciuto Ahmed”, perché effettivamente tutto ciò che per noi addetti ai lavori può sembrare ordinario per molte famiglie non lo è.

Risposte anche agli operatori. Grazie allo sguardo dei cittadini che si approcciano e che en-trano da protagonisti nell’accoglienza, è innegabile che noi operatori abbiamo cambiato il modo di

vivere i progetti, ci siamo messi in discussione, abbiamo tentato di rinegoziare la logica di efficacia ed efficienza cercando di capire cosa fosse più importante nel lungo termine: avere l’ISEE in due giorni e mezzo o far sì che l’immigrato impari a fare l’ISEE da solo, per cui magari proviamo, sba-gliamo, riproviamo ancora, e quindi forse siamo un pochino meno efficienti ma siamo più efficaci nel lungo periodo.

E poi anche risposte agli enti locali, ai referenti degli enti locali, perché la prossimità con i cittadini del territorio nella costruzione di una comunità più allargata permette di avere il polso di quello che accade sul territorio in maniera sicuramente più autentica, più viva e precisa .

Oggi quindi l’obiettivo di costruire una comunità più accogliente deve superare la sfida pro-posta dai recenti cambiamenti nel panorama politico e sociale del nostro Paese. Come ci siamo già detti in più occasioni, spiegare ai ragazzi perché il permesso di soggiorno che hanno in tasca non esiste più non è facile. Non riusciamo noi e fanno fatica spesso anche i cittadini, perché que-sta rispoque-sta non l’hanno nemmeno loro. Ed ecco che il bisogno di partecipazione, di vicinanza di questi cittadini ai ragazzi, indipendentemente dal tipo di accoglienza (che continua presso l’abita-zione o che rimane una conoscenza), necessita anche della costrul’abita-zione di momenti condivisi di studio e di comprensione della normativa.

Ai cittadini, ai ragazzi, non basta forse solo ricevere la risposta alla propria domanda, sentono l’esigenza di riunirsi in reti, in comunità solidali ancora più allargate: ecco spiegato l’interesse per le famiglie accoglienti di Parma, di Milano, di Torino da parte di molti. Per riuscire a dare risposte ai ragazzi, in alcuni casi anche alternative, ma anche per avere risposte al nostro e al loro bisogno di partecipazione e di attivazione rispetto a quello che sta accadendo.

Per quanto riguarda la nostra esperienza di accoglienza bolognese, su 34 accoglienze iniziate sono stati 32 i ragazzi con la protezione umanitaria. Credo che non ci sia bisogno di andare oltre;

questo piccolo dato cambia la prospettiva con cui ci approcciamo al progetto. Crediamo però for-temente che avere prossimità e vicinanza con cittadini del territorio sia un valore aggiunto, forse di valore inestimabile rispetto al progetto dei ragazzi. Per questa ragione, si è costruita una équipe di prossimità e vicinanza solidale in grado di raccogliere quelle che sono le disponibilità dei cittadini anche oltre o prima dell’accoglienza in famiglia, quindi della convivenza per un periodo di tempo determinato.

Sono in corso progetti di prossimità di cittadini volontari che consistono nell’affiancamento in comunità per minori stranieri non accompagnati, secondo i tempi e le modalità decise insieme agli operatori, con il referente di ASP Città di Bologna e con i ragazzi stessi, al fine di costruire un percorso di conoscenza e inclusione sociale diverso da quello che nasce con l’accoglienza in famiglia. Stiamo anche cercando di potenziare la formula dell’affido famigliare all’interno dello SPRAR minori attraverso lo strumento di Vesta. Tutto questo va nella direzione di riuscire a dare le risposte più individualizzate possibili, in grado di integrare i bisogni di ogni beneficiario accolto.

Con questo si chiudono i lavori della mattina, vi invitiamo a spostarvi nella biblioteca Renzo Renzi per il pranzo, per poi ricominciare nel pomeriggio con il racconto diretto delle esperienze delle famiglie e dei ragazzi, ma anche con eventuali dubbi, curiosità, domande che vi possano essere venute, sollecitazioni che voi, rispetto ai territori di provenienza - e di azione, se colleghi -, pre-sentate all’assemblea in modo tale da aumentare ancora di più le suggestioni percepite in questa mattinata.

Grazie mille a tutti per l’attenzione.

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