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IV Dopo Cimabue e il Maestro della Cattura, il Maestro di Sant’Alò

Per comprendere a fondo la cultura figurativa a Spoleto e il percorso dei suoi protagonisti bisogna continuamente rivolgere lo sguardo ad Assisi e in particolare alla Basilica di San Francesco. È perciò necessario seguire l’andamen- to di quel cantiere e coglierne i richiami negli artisti di cui ci si occupa ed in questo modo avere un traccia, anche cronologica, su cui lavorare1.

Si è visto come Cimabue dovrebbe aver lasciato la decora- zione del transetto intorno al 1280, a seguito della morte del pontefice NiccolòIIIOrsini, probabile committente di quell’impresa. I rari documenti relativi ai lavori della Ba- silica, o ad essi riferibili per altre vie, ci informano che nel 1281 arrivò a scadenza il permesso di utilizzare le elemo- sine degli altari per la decorazione della chiesa2. I lavori

dovettero riprendere solo nel 1288 quando salì al soglio pontificio Niccolò IV, al secolo Girolamo de’ Masci di Ascoli Piceno, già generale dell’ordine francescano. Il 14 e il 15 maggio di quell’anno, infatti, il papa dava nuova- mente facoltà ai francescani (nel dettaglio al neoeletto generale dell’ordine Matteo d’Acquasparta, al padre pro- vinciale e al custode del Sacro Convento) di utilizzare le medesime elemosine per “facere, conservari, reparari, aedificari, emendari, ampliari, aptari et ornari Ecclesias Sancti Francisci de Assisio et Sanctae Mariae de Portiun- cola”3. Immagino che sarà proprio a questa bolla che si

riferiranno i redattori del Religiosi viri, di cui si è discusso sopra, che indicavano come la decorazione della Basilica fosse responsabilità proprio di quel papa.

Il cantiere perciò poteva esser ripartito già nell’estate del 1288, a cominciare dalla parete destra della navata, in alto, con i primi affreschi di Jacopo Torriti4. Questi sarà il

pittore preferito del papa a Roma negli anni del suo pon- tificato e per tale motivo, immaginiamo, fu presto richia- mato in Vaticano, probabilmente ad impiantare il cantie- re di San Giovanni in Laterano5. Torriti, comunque, fece

in tempo a lasciare alcuni dei suoi capolavori, come il ri- quadro ad affresco con la Creazione e la volta della se- conda campata e ad impostare il percorso della decora- zione6. Questa doveva essere già completamente progetta-

ta, tanto che i richiami cronologici e iconografici interni alle storie aderiscono con precisione alla volontà della celebrazione di Francesco come Alter Christus pur nella

successione di artisti e botteghe diverse e di differenti pro- venienze. È chiaro che tutto sottendeva una linea comune e che i lavori dovevano procedere speditamente7.

La bottega di Torriti, quindi, abbandonò l’Umbria dopo aver lavorato alle prime storie dell’Antico Testamento del- le prime due campate della navata a destra e agli episodi della vita di Cristo all’interno del primo arcone della pa- rete di sinistra, ma doveva aver impostato, o comunque pensato, anche una parte delle scene seguenti, da un lato la Cacciata dei Progenitori, e dall’altro la Natività e la Cattura di Cristo. La Basilica Superiore di Assisi in quegli anni era di gran lunga il maggior cantiere pittorico d’Ita- lia e forse dell’intera Cristianità. Non solo si andava a de- corare la casa madre dell’Ordine più influente tra i men- dicanti, ma la commissione era direttamente papale. L’ab- bandono di quel lavoro, perciò, sembrerebbe piuttosto strano, anche perché, lasciando incompiute e forse solo abbozzate alcune scene, Torriti dimostrò di avere una gran fretta di andare via. Come è stato notato, il motivo è an- cora interno alla politica del papa e, per suo tramite, anche al disegno di valorizzazione del francescanesimo e del suo fondatore. NiccolòIV, infatti, dedicò i suoi sforzi di committente alla decorazione di San Giovanni in La- terano, impiegando il suo pittore favorito, la stessa chiesa che nel Sogno di Innocenzo IIIera stata salvata da Fran- cesco8. L’allontanamento di Torriti da Assisi, quindi, po-

trebbe non essere stato un cambio di programma, ma una scelta ponderata in un’ottica di propaganda francescana. Resta da chiarire, a questo punto, quale bottega seguì il lavoro dei romani sui ponteggi della Basilica Superiore. Il problema è tra i più spinosi e affascinanti della storia del- l’arte medievale in Italia centrale; è il momento in cui compare il giovane Giotto9 e si apre un mondo nuovo,

pienamente gotico. Sulla parete destra la decorazione del- la terza campata in alto inizia con la Cacciata dei Proge- nitori, una composizione che risponde pienamente ai ca- noni di Torriti, ma che se ne discosta stilisticamente, tan- to che, pur nel precario stato di conservazione che ne mina la leggibilità, Luciano Bellosi pensava fosse di Ci- mabue10. Al di sotto, sullo stesso arcone, inizia il percorso

di Giotto con le storie di Isacco.

Torriti e i suoi dipingono le prime quattro scene nei due registri della campata che incrocia il transetto, mentre gli episodi successivi, quello della Natività e della Cattura di Cristo sono il name piece di un altro pittore, lo sfuggente Maestro della Cattura11, il più riconoscibile tra gli inter-

preti di questo nuovo cantiere assisiate(fig. 1). A lui sono state accostate nel tempo numerose porzioni della decora- zione della Basilica, anche all’interno dei lavori di Cimabue e successivamente nella parte di maggiore spettanza giotte- sca. L’indicazione di un suo intervento continuativo sui ponteggi di Assisi si pone come un dato che dovremo poi tenere in debita considerazione. Il Maestro della Cattura è da sempre al centro di un vivace dibattito che cerca di spie- gare la sua provenienza, la sua patria d’origine, che qual- cuno considera romana, altri toscana e altri ancora umbra. Il fatto che questo pittore lavori a stretto contatto con gli affreschi di Cimabue e subito dopo l’intervento di Jacopo Torriti complica ovviamente la situazione.

Una possibile soluzione, però, è suggerita proprio dal complesso avvicendamento delle botteghe all’interno del cantiere francescano. Come si è detto, la maestranza ro- mana abbandona il campo molto presto richiamata dal Papa che, evidentemente, lascia la situazione assisiate in mano ad altri. È possibile, perciò, che i francescani richia- mino la bottega che aveva già operato nel transetto e quindi quella toscana di Cimabue. I ripetuti interventi di Luciano Bellosi sull’argomento, al di là delle specifiche querelles attributive12, hanno certamente dimostrato che

tutta la parte centrale del registro alto della navata di Assisi è di spettanza di pittori fortemente cimabueschi. Allo stesso modo, però, è stato notato come il confronto tra la sinopia della scena della Cattura e quelle degli affre- schi di Jacopo Torriti, sia piuttosto impressionante quasi da lasciar supporre un’identità di mano, o almeno di idee13. Una possibile causa dell’annosa questione sulla

provenienza del pittore e sulla sua appartenenza alla cul- tura fiorentina o romana14è il fatto che questi potrebbe

essere intervenuto su disegni di altri. Immaginando che Torriti avesse lasciato a metà il lavoro della terza campa- ta, si potrebbe pensare che il Maestro della Cattura, ap- partenente alla bottega cimabuesca, abbia lavorato su car- toni o quanto meno su disegni del romano.

Fig. 1. Maestro della Cattura, Natività e Cattura di Cristo, Assisi, Basilica Superiore di San Francesco (su disegno di Jacopo Torriti)

Fig. 2. Pittore cimabuesco-duccesco, Crocefissione, Assisi, Basilica Superiore di San Francesco

Fig. 3. Pittore cimabuesco-duccesco, Andata al Calvario, Assisi, Basilica Superiore di San Francesco

Quello che fa più impressione è che il portato dei romani in Umbria è praticamente nullo, nessun artista locale sem- bra essere folgorato dalla lucente bellezza degli affreschi di Torriti, mentre esiste un’intera generazione di pittori che discende dal Maestro della Cattura e dalla seconda fase del cantiere della navata15. La prova e silentio portata da

Bellosi a supportare la sua tesi di una breve permanenza di Cimabue ad Assisi, si può ben utilizzare per il lavoro di Jacopo e dei suoi. Il Maestro della Cattura, invece, sembra avere un impatto sui contemporanei umbri quasi esagera- to rispetto alla sua statura. Mi pare plausibile pensare che molti dei giovani artisti attivi ad Assisi e dintorni all’altez- za dei lavori in Basilica avessero potuto osservare da vici- no, magari collaborando, quelle pitture. Si spiegherebbe così la vicinanza dell’orvietano Maestro di Proceno16, del

Maestro della Croce di Gubbio17, del Maestro del Farne-

to18, di Rogerino da Todi19e dello stesso Marino di Elemo-

sina20, che unisce stimoli giotteschi ad uno stile tutto

superficiale e smaltato, “ghiacciato”, come lo ha definito la Romano21, tipico del Maestro della Cattura.

Non riesco a credere all’intervento diretto di Cimabue in questa fase dei lavori proposta da Bellosi22, ma è innegabi-

le che il suo magistero deve avere informato a fondo tutta la compagine dei pittori attivi in questa parte della navata. Confrontando la Cattura con le scene della campata accanto, la Crocifissione e l’Andata al Calvario,(figg. 2-3)

si capisce come ci sia un salto di qualità netto. Gli incar- nati freddi, le espressioni un po’ imbambolate dei perso- naggi, le linee fisionomiche abbreviate e lineari, i panneggi semplificati del Maestro della Cattura, non possono certa- mente accostarsi alle pelli calde, alle ombre scure che segnano i tratti dei visi delle donne, alle espressività più umane e agli sforzi naturalistici che sono già presenti in quella parte, come una risposta alle Storie di Isacco che Giotto dipingeva di fronte. Non è un caso che queste sce- ne fossero state attribuite da Roberto Longhi a Duccio23,

anche se questa idea forte non è più condivisa da nessuno. Ancora Luciano Bellosi, proprio nella scena dell’Andata al Calvario isolava la presenza di un altro aiuto che lui chia- mava proprio Maestro dell’Andata al Calvario24, più im-

mobile e freddo, di qualità senz’altro meno alta. L’équipe di pittori perciò sembra formata da almeno quattro figure

IV.3 IV.2

IV.4

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