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alle realtà territoriali quell’autonomia statutaria persa nel 1934 e che di fatto, come vedremo poi trattandone brevemente, sarebbe rimasta inalterata fino agli anni Settanta4. Con questo

nuovo assetto, dunque, l’Associazione istitu- zionalizzava una realtà che di fatto si stava gradualmente consolidando e che vedeva numerose organizzazioni imprenditoriali rico- struirsi su basi volontarie e autonome già nei primissimi mesi successivi alla Liberazione. A titolo d’esempio è sufficiente ricordare quanto accadde a Milano dove, tra 1945 e 1946, oltre una cinquantina di nuove associazioni nazionali di categoria avevano contribuito a formare quello che più sopra è stato definito come l’asse verticale della nuova organizza- zione confindustriale5.

Al gruppo delle associazioni territoriali che riacquistarono quell’autonomia persa negli anni tra le due guerre, e che andarono invece a costituire l’asse orizzontale, apparteneva an- che l’Associazione Industriale Bresciana (AIB), nata dalle ceneri della vecchia Unione Indu- striale. Il processo che portò alla ricostituzio- ne della nuova associazione fu estremamente rapido, confermando pertanto un trend che, come abbiamo visto, aveva caratterizzato molte associazioni imprenditoriali. Già all’in- domani della liberazione della città (27 aprile 1945)6, infatti, il CNL provinciale chiamò a

commissario straordinario dell’Unione l’inge- gner Pietro Barboglio, membro della sezione dell’Associazione nazionale dei dirigenti di aziende industriali. Barboglio, volendo che l’AIB fosse espressione dell’autonomia deci- sionale di tutti gli industriali della provincia, in tempi brevi indisse le assemblee dei diversi comparti produttivi, per provvedere alla ele-

zione di quei delegati che avrebbero poi pre- so parte ai lavori della commissione incaricata di redigere il nuovo statuto sociale. Il 9 giugno 1945 si tenne l’assemblea costitutiva che por- tò alla nascita dell’Associazione. L’Assemblea elesse Barboglio come nuovo presidente e al contempo approvò il nuovo statuto7.

2. Il ruolo delle associazioni intermedie come strumento di crescita e sviluppo Tanto gli storici quanto gli altri scienziati so- ciali si sono interessati solo parzialmente alle attività delle associazioni di categoria, delle quali anche l’AIB fa parte. Per lungo tempo, infatti, l’impresa è stata la principale unità di analisi, con una conseguente limitata attenzio- ne nei confronti di queste forme più comples- se di organizzazione dell’attività economica. Questa visione marginale è stata gradualmen- te messa in discussione. Studi recenti ne han- no infatti evidenziato la capacità, in determi- nate condizioni e grazie al fatto di operare a un livello intermedio tra gerarchia e mercato, di incrementare l’efficienza di tutto il settore e, quindi, di andare oltre l’interesse dei singoli membri, favorendo il più generale processo di sviluppo economico8. Per questa ragione, sep-

pur lentamente, l’interesse degli scienziati so- ciali è costantemente cresciuto e con una sem- pre maggiore convergenza d’interessi9. Più nel

dettaglio, l’analisi storica ha evidenziato come le funzioni delle associazioni intermedie fosse- ro essenzialmente quelle di promuovere valori comuni e costruire una rete di relazioni, dotare la comunità imprenditoriale di una piattaforma di discussione, fornire informazioni e servizi ai propri membri e fare attività di lobbying in favo- re degli interessi del proprio settore. Altri studi

hanno poi fatto emergere come queste realtà, soprattutto nel corso del Novecento, abbiano gradualmente ampliato il proprio ruolo socia- le ed economico, rafforzando e al contempo andando oltre le funzioni sopra elencate, pur mantenendo come obiettivo finale quello di ac- crescere i benefici per i membri e l’efficienza del settore10.

Sempre più numerosi, dunque, sono gli studi che affrontano il tema in prospettiva storica e in chiave comparativa, senza tra- scurare realtà regionali o locali e con parti- colare attenzione al contributo dato in termi- ni di crescita economica. Questo però vale meno per il caso italiano. L’attenzione nei confronti dell’azione dell’AIB, soprattutto per un periodo storico chiave per il Paese come il secondo dopoguerra, rappresenta dunque un piccolo contributo per meglio comprende- re tanto il ruolo più generale giocato da que- ste realtà economiche, quanto le dinamiche che, nel secondo Novecento, hanno portato la provincia di Brescia a essere una delle più floride della Penisola. Per raggiungere questi obiettivi sono due le strade che dovrebbero essere percorse. In primo luogo evidenziare quanto fatto dall’AIB con riferimento al princi- pale scopo statutario, ossia fornire servizi ed esercitare azioni di lobbying in favore delle imprese aderenti, anche nei confronti di quelle associazioni di ordine superiore (federazioni regionali e soprattutto Confindustria) in grado di mediare quegli interessi più generali già ri- elaborati dalle associazioni di primo livello. In secondo luogo; provare a capire quanto fat- to dall’Associazione in favore dello sviluppo economico e sociale locale, andando pertan- to oltre quelle logiche di membership e dell’in- fluenza che rappresentano il cuore dell’attività

di ogni associazione di questa natura. In que- sto breve contributo, ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività, proveremo a inquadra- re entrambe le questioni, ma con particolare riguardo alle “esternalità positive” dell’azione di lobbying e a quelle azioni mirate al pro- gresso non solo strettamente economico della provincia bresciana.

3. L’organizzazione dell’Associazione tra tutela degli interessi imprenditoriali e rap- presentanza dell’industria locale: i dif- ficili anni della Ricostruzione

3.1. Gli obiettivi dell’Associazione: il tema caldo del rapporto tra capitale e lavoro La letteratura sulle organizzazioni di catego- ria considera l’organizzazione interna come un fattore decisivo nel condizionare l’abilità della stessa nel perseguire i primi obiettivi sta- tutari, ossia quelli di supporto burocratico e di attività di lobbying in difesa degli interessi im- prenditoriali. Tali attività sono infatti considera- te fondamentali per rendere attraente la parte- cipazione all’associazione. Tenuto poi conto della natura essenzialmente individualistica e concorrenziale dell’agire imprenditoriale, è pertanto estremamente rilevante analizzare non solo la questione dei requisiti organizzati- vi dell’associazione, ma anche quella dei rap- porti tra questa e i propri membri11.

L’analisi di queste tematiche è quindi indi- spensabile per capire il ruolo giocato dall’AIB nel contesto economico locale. Il primo pas- so, dunque, non può che essere quello di in- quadrare la nascita della nuova Associazione nel contesto più generale, al contempo dan- do uno sguardo ai primi statuti. Infatti, così

come l’organizzazione e l’azione delle asso- ciazioni di categoria possono influenzare le determinanti economiche di un’intera industria e dell’economia in cui questa opera, lo stato in cui queste determinanti versano ha inevitabili effetti sull’organizzazione e la potenziale effi- cacia delle associazioni stesse. In sostanza, il ruolo di queste ultime risulta più chiaro quando il contesto (economico, ma anche sociale, isti- tuzionale e politico) in cui si trovano a operare risulta essere meglio compreso (per approfondi- re sulla situazione più generale della provincia di Brescia si rimanda al saggio di Giovanni Lepore contenuto in questo volume)12. E questa

particolare attenzione vale soprattutto per i pri- missimi anni di vita dell’AIB, in un momento di rapidi cambiamenti e forti tensioni, in cui la ca- pacità di dotarsi di un’organizzazione efficien- te ed efficace, cioè in grado di rappresentare le istanze del mondo imprenditoriale bresciano adattandosi al cambiamento in atto, rappresen- tava il discrimine tra il successo e il fallimento dell’iniziativa associativa.

Lo statuto dell’AIB evidenziava fin da subito come la nuova associazione, costituita senza fini di lucro, negli obiettivi di fondo si collocas- se, seppur con i dovuti aggiornamenti, nel sol- co degli statuti redatti in età liberale. L’art. 2, infatti, evidenziava come l’AIB si prefiggesse di assistere e tutelare gli interessi delle aziende industriali, al contempo favorendo lo sviluppo dell’industria nel bresciano. In particolare, lo statuto mirava a disciplinare i rapporti coi la- voratori dipendenti delle imprese associate, anche stipulando accordi direttamente con le maestranze tanto a livello di categoria quan- to di singola azienda. Tale precisazione non solo metteva in evidenza l’ovvia rilevanza del-

la questione dei rapporti tra capitale e lavoro. Al contempo segnava anche la fragilità – o quantomeno la precarietà – del modello orga- nizzativo complessivo degli interessi imprendi- toriali messo in piedi dopo la fine del conflitto. In un contesto già sufficientemente turbolento, in cui nemmeno gli Alleati vedevano di buon occhio la ricostituzione del sodalizio industria- le, ciò che aveva spinto gli imprenditori a ri- organizzarsi così rapidamente era soprattutto la necessità di difendere e coordinare i propri interessi nei confronti del governo e del sinda- cato – che nel giugno del 1944 aveva visto nascere una nuova Confederazione generale italiana del lavoro quale successore della CGL socialista e della CIL cattolica. Ne era così emersa una formula organizzativa che prova- va a far coesistere accentramento decisionale da un lato e autonomia delle singole compo- nenti del sistema dall’altro. Una scelta dettata certamente dalle impegnative sfide alle quali gli industriali avrebbero dovuto far fronte, che avrebbe resistito fino all’inizio degli anni Set- tanta, ben oltre la fase di Ricostruzione, ma che di fatto, in quel delicato momento storico, lasciava nelle mani di Confindustria anche il tema delle relazioni industriali, con l’introdu- zione di importanti innovazioni. Gli artt. 3 e 6 dello statuto confindustriale del 1946, infat- ti, evidenziavano come, in tema di trattative sindacali, le singole associazioni dovessero attenersi esclusivamente alle direttive e alle au- torizzazioni provenienti dal vertice13.

Tale situazione, dunque, non avrebbe la- sciato margine di manovra a livello locale dove, soprattutto in quegli anni e in particola- re nella provincia di Brescia, tali problemati- che erano di cruciale importanza. Tra 1941

e 1951, infatti, Brescia si presentava come la terza provincia d’Italia in termini di disoccupa- zione, immediatamente dopo Napoli e Tori- no14. Ad aggravare la situazione pesava poi

un aumento del costo della vita doppio rispetto all’andamento dei salari e con un reddito per abitante nettamente sotto la media lombarda. Nei primi mesi dopo la Liberazione, secondo gli imprenditori, su un totale di circa 110 mila occupati nell’industria locale, solo 50 mila ri- coprivano un impiego realmente produttivo. Le conseguenze di una tale cruda realtà erano ben chiare al commissario Barboglio il quale, in un contesto di blocco dei licenziamenti, il 15 maggio del 1945 scrisse al prefetto pro- prio per denunciare la situazione15. Quando il

Comando alleato, pochi giorni dopo, decretò lo sblocco dei licenziamenti, le conseguenze furono pesanti. Seguirono infatti proteste e agitazioni da parte dei lavoratori, tali da de- terminarne il ripristino e il mantenimento per altri tre anni, fino alla metà del 1948.

Per comprendere la delicatezza della que- stione e le tensioni di quei momenti difficili, che vedevano comunque l’AIB già pienamen- te coinvolta, è sufficiente richiamare il grave episodio accaduto il 2 luglio del 1946. Da alcune settimane era infatti in atto una ver- tenza fra AIB e sindacato, con quest’ultimo a richiedere il pagamento delle festività infraset- timanali. Quando l’accordo sembrava ormai prossimo, tuttavia, giovani lavoratori di alcune fabbriche, tra cui quelli di un campione nazio- nale come la Breda Meccanica, stanchi per il dilungarsi delle trattative, occuparono i locali dell’AIB in via della Posta, dapprima malme- nando l’onorevole Felice Vischioni della Ca- mera del Lavoro, che tentava di fermarli, e,

poi, sequestrando il presidente Barboglio, che fu obbligato a firmare l’accordo. Non soddi- sfatti, lo portarono sull’arengario di piazza della Vittoria e lo costrinsero a dichiarare agli scioperanti lì riuniti il buon esito della trattativa. Si trattava di un fatto grave, che aveva spinto lo stesso Barboglio a rassegnare le dimissio- ni. Queste vennero respinte e accompagnate dalla ferma volontà degli industriali di scon- fessare quanto sottoscritto e bloccare le tratta- tive. Tuttavia Barboglio, che si trovava anche nella scomoda posizione di appartenere a una categoria, quella dei dirigenti, che aveva lasciato Confindustria, il 30 luglio comunque si dimise. Chiaro segno della grande tensio- ne venutasi a creare fu la difficoltà incontrata dall’AIB nel trovare rapidamente una figura disponibile alla sua successione; circostanza che la spinse ad affidarsi a un triumvirato com- posto da Emilio Franchi, Mario Pasotti e Paolo Zazio16.

Franchi, Pasotti e Zazio, che posero le basi per un dialogo proficuo con le forze ammini- strative e politiche della Provincia, governaro- no l’Associazione fino al settembre dell’anno successivo, quando lo stesso Mario Pasotti fu eletto nuovo presidente. Industriale del legno, Pasotti si trovava su posizioni più intransigenti con riguardo alla linea da tenere nei confronti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e doveva operare in un contesto estremamente complesso. Nei suoi oltre sette anni di man- dato, fino all’elezione di Pietro Giuseppe Be- retta nel 1954, Pasotti si trovò ad affrontare i molteplici problemi posti dalla riconversione industriale, con la sua inevitabile coda in ter- mini di riduzione dei livelli occupazionali e conseguenti tensioni sociali. Un dato su tutti

può dare il polso delle difficoltà del momento e di quanto delicato fosse il tema del rapporto tra capitale e lavoro. Tra 1943 e 1951 l’occu- pazione nell’industria bresciana passò da circa 130 mila addetti a poco meno di 99 mila, rag- giungendo i livelli prebellici soltanto nel 1959 (circa 130 mila unità, compresi circa 22 mila artigiani), all’alba di quel “miracolo economi- co” che toccò anche la Provincia e del quale parleremo nei paragrafi successivi17.

Quello del rapporto tra capitale e lavoro fu un tema cruciale nel dettare l’agenda dei primissimi anni dell’Associazione, ma in pro- spettiva non era certamente l’unico. Tra quel- li elencati nel nuovo statuto ne emergevano infatti molti altri, a partire dall’offerta di una serie di servizi che rientravano pienamente nel solco dell’azione di una realtà associativa come l’AIB e che sarebbero entrati definitiva- mente in scena una volta superata la delicata fase della Ricostruzione, nel momento del ri- lancio. Troviamo così riferimenti alla necessità di offrire assistenza alle aziende associate nei rapporti con le autorità pubbliche e gli altri enti statali e parastatali; la volontà di racco- gliere dati statistici ormai indispensabili alla corretta elaborazione, anche in collaborazio- ne con i competenti organi privati e pubblici, di programmi e piani per la produzione in- dustriale; la pubblicazione di periodici, riviste e monografie tanto a fini informativi quanto per promuovere l’industria e l’imprenditoria; l’impegno ad adoperarsi per la risoluzione di tutte quelle questioni e vertenze che sarebbero sorte tra le varie attività e le singole imprese associate; l’impegno a mantenere i collega- menti con le altre associazioni territoriali e, più in generale, quello di adempiere a tutti quei compiti che, di volta in volta, adattandosi

all’evoluzione del contesto, l’Assemblea gene- rale avrebbe suggerito. Si trattava di azioni che l’AIB non mancò di portare avanti. Solo per fare un esempio è sufficiente ricordare la quantità di studi, ricerche, approfondimenti, bollettini, notiziari e altre pubblicazioni di va- ria natura costantemente messe a disposizio- ne, per tutto il secondo dopoguerra, non solo dei soci, ma dell’intera comunità. Nel quadro dell’attività svolta dall’Associazione, infatti, non andava dimenticata la vasta azione svol- ta nel campo dell’informazione e dell’orienta- mento dell’opinione pubblica. L’obiettivo era quello di riuscire a suscitare «un clima di com- prensione, di fiducia e di simpatia» intorno all’Associazione, «naturalmente tenendo ben fermo il principio della serietà e della corret- tezza dell’informazione»18. Impossibile elen-

care in questa sede tutto quanto è stato fatto in questo campo in oltre settant’anni di attività. Si rimanda pertanto alle dettagliate descrizioni fatte in sede di Assemblea generale e pub- blicate nelle relative Relazioni annuali, esse stesse un prezioso strumento conoscitivo per gli associati e la comunità locale.

3.2. Maggiore apertura per una migliore appresentanza

Allo scopo di favorire il raggiungimento de- gli scopi statutari e di migliorare la tutela degli interessi delle ditte aderenti, l’AIB si era inizial- mente data un’organizzazione che prevedeva la costituzione dei cosiddetti Sindacati di ca- tegoria (art. 3). In questo modo si dava un’u- nica voce ai settori industriali più importanti, ma senza trascurare le imprese appartenenti a quelle aree produttive che in sede provinciale occupavano posizioni più marginali, che ave-

vano comunque diritto alla tutela e ai servizi offerti dall’Associazione. A ogni socio parte- cipante all’Assemblea generale, che avrebbe dovuto deliberare a maggioranza assoluta, spettava infatti un voto. Tuttavia, le imprese di più grandi dimensioni potevano beneficiare di voti aggiuntivi, direttamente proporzionali al numero dei loro dipendenti (art. 16). L’a- go della bilancia era quindi spostato verso le imprese maggiori, operanti in alcuni dei set- tori tradizionali e strategici dell’industria bre- sciana. Una posizione rafforzata anche dal- la composizione della Giunta esecutiva alla quale, oltre al presidente e al vice presiden- te, potevano partecipare solo i presidenti dei Sindacati di categoria (art. 19). Inutile dire come la Giunta rappresentasse il cuore stra- tegico dell’Associazione. Oltre a nominare il presidente e il suo vice, infatti, aveva anche il compito di provvedere all’amministrazione, alla gestione e allo svolgimento dell’attività as- sociativa (art. 21). È vero che il presidente di ogni sindacato doveva essere scelto tra i soci titolari di aziende con meno di 100 dipendenti (art. 31), ma il ruolo delle imprese e dei settori maggiori era evidente, seppur in un contesto industriale in cui la piccola e media impresa era un soggetto tutt’altro che marginale. Il cen- simento industriale del 1951, infatti, calcola- va in provincia di Brescia un totale di oltre 12,5 mila unità industriali e 104 mila addetti, con una media di circa 8,3 addetti per unità. I primi quattro settori in termini di unità produt- tive erano quelli dell’abbigliamento/calzature (3.045 unità e 5.257 addetti), metallurgico/ meccanico (2.963 unità e 35.275 addetti), del legno/mobili (1.608 unità e 5.023 ad- detti) e tessile/affini (1.010 unità e 26.558 addetti), con una media dunque che andava

dagli 1,7 addetti del settore abbigliamentario fino ai 26,3 di quello tessile e ai quasi 170 della sola metallurgia19.

Questa situazione rappresentava un punto di debolezza dell’Associazione, confermando come una errata costruzione organizzativa pos- sa contribuire a ridurre la forza attrattiva di una associazione d’interesse. Infatti, non appena venne ristabilita la libertà associativa, non solo i dirigenti d’azienda, gli artigiani e i proprie- tari di immobili lasciarono Confindustria e le relative organizzazioni di primo grado (come la stessa AIB), per formare associazioni autono- me. Anche le piccole e piccolissime imprese, quelle con meno di dieci addetti, che costituiva- no lo scheletro del sistema industriale nazionale e che non si sentivano adeguatamente rappre- sentate, diedero vita nel 1947 a una loro asso- ciazione di categoria, la Confederazione ita- liana della piccola e media industria (Confapi). Allo stesso modo di Confindustria, che rispose alle defezioni costituendo un apposito comitato per la piccola impresa, concedendogli formale rappresentanza negli organismi esecutivi, an- che l’AIB si mosse nella stessa direzione. Bi- sognerà attendere le modifiche statutarie del 1948, ma la costituzione di un’apposita sezio- ne Piccola industria dava più spazio alle real- tà minori anche all’interno dell’AIB. La sezione avrebbe avuto un proprio Consiglio, compo- sto da sei membri nominati per elezione tra i partecipanti la Sezione stessa, tutti ammessi a partecipare alle riunioni della Giunta esecutiva insieme al presidente, al suo vice, e a tutti quelli dei singoli sindacati di categoria. L’AIB dava così voce a una realtà economica rilevante non solo a livello nazionale, ma anche dentro i con- fini dell’industria bresciana.

4. L’avvio del “miracolo economico” e la ripresa dell’industria bresciana

4.1. La situazione alla vigilia del boom: numerose questioni sul tavolo

Nel 1954 Pietro Giuseppe Beretta, indu- striale armiero valtrumplino già vicepresiden- te, sostituì Mario Pasotti alla guida dell’AIB, restando in carica per quasi un decennio, fino al 196320. Beretta ebbe così il gravoso impe-

gno di guidare l’Associazione in un periodo storico decisivo per la trasformazione dell’eco- nomia italiana da agricola a industriale, collo- cato tra la fine del Piano Marshall (1948-53) e gli anni del cosiddetto “miracolo economico” (1958-63)21. Un periodo di transizione anche

per l’economia bresciana e per l’Associazio-

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