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5. Le rappresentazioni degli operatori d’aiuto rispetto ai genitori naturali di minori in affido

5.4 L’accoglienza durante il percorso di presa in carico

5.4.1 L’importanza dell’ascolto: l’ipotesi di uno spazio di confronto tra genitori

L’intenzione di dedicarsi, in queste pagine, ai temi di accoglienza e di ascolto vuole essere un’opportunità di riflessione intorno a quanto compone l’esperienza a contatto con le famiglie bisognose, sofferenti e in difficoltà. E’ opportuno soffermarsi brevemente sui due termini citati, così da chiarirne l’interpretazione data; con la parola accoglienza si fa riferimento alla disposizione ad ammettere qualcuno, ad accettarlo per ciò che è, “soprattutto con riguardo al modo, al sentimento, alle manifestazioni con cui si riceve [l’altro];”94 con ascolto s’intende l’atteggiamento sincero che ci fa tendere sinceramente

verso l’altro e così “ascoltarlo, non dargli, ma ricevere da lui il racconto della sua vita (…) ascoltarlo come elemento di una dimensione relazionale a cui fare posto.”95

Gli operatori sollevano tale questione, riflettendo sull’atteggiamento da adottare nei confronti delle famiglie di cui si occupano. Queste ultime convivono con importanti bisogni da chiarire, tra cui è necessario innanzitutto considerare quello di “essere riconosciute come persone, anziché soltanto come problemi.”96

Fabio Folgheraiter, a proposito, introduce il tema inerente la considerazione della famiglia quale motore importante di sviluppo non solo per i suoi membri, bensì per l’intera comunità sociale.97 L’accoglienza e l’ascolto dei genitori

naturali nel percorso di affido dei loro figli riveste per intervistati un ruolo non indifferente nel percorso di valutazione ed elaborazione della loro genitorialità. Claudio, ad esempio, nel focus group introduce questa riflessione liberamente, al di là degli argomenti discussi e degli spunti dati fino a quel momento:

Ma la parola, permettetemi la parola accoglienza, la dovremmo avere tutti (…). Ma questo è fondamentale, al di là del ruolo che tu hai in quell’ambito o in quel Servizio, al di là. Ma di partenza devi essere accogliente.

Tale dimensione s'insinua nella quotidianità dei professionisti, ma non solo: riveste un ruolo che accomuna gli operatori tra di loro e così gli operatori agli utenti. Questo crea una sorta di connessione tra persone che ricoprono posizioni differenti nella relazione d’aiuto, caratterizzata da un’asimmetria98

propria: da una parte vi è l’operatore d’aiuto, dall’altra l’utente, come in questo caso la famiglia in condizione di bisogno. Per i quattro professionisti rappresenta uno dei nodi, oltre all’accoglienza, su cui lavorare poiché elemento alla base di una relazione d’aiuto costruttiva in funzione della crescita e dell’auto-determinazione dell’altro.99

94

Disponibile da http://www.treccani.it. Recuperato il 05.09.2017

95

Ferruta, Anna, e Marcella Marcelli. 2004. Un lavoro terapeutico. L'infermiere in psichiatria. Milano: FrancoAngeli, p. 65

96

Ribner, David S., e Cigal Knei-Paz. 2004. Una buona relazione di aiuto secondo gli utenti. Lavoro sociale, vol. 4., Trento: Edizioni Erikson, p. 52

97

Folgheraiter, Fabio. 2006. La cura delle reti. Nel welfare delle relazioni (oltre i Piani di zona). Trento: Edizioni Erikson, p. 79

98

Realini, Danilo. 2016. Dispensa “Metodologia della pratica d’intervento del servizio sociale. Una strategia d’aiuto relazionale detta empowerment”, Manno: SUPSI, p. 19

99

Loro si sono infatti confrontati sulle componenti dell’intervento d’aiuto, elementi per loro imprescindibili al fine di non esaurirlo in procedure di intervento date e pronte da applicare. Questa loro consapevolezza permea la riflessione intorno ad un altro tema: l’attuale realtà di interventi a supporto dei genitori naturali, nonché la disponibilità dei servizi ad offrire spazi in cui esprimersi, dove potere affrontare ed elaborare i propri vissuti. Quest’ultima è per tutti un’essenziale arma propria di un’azione efficace. In tal senso, emergono da parte loro sostanzialmente due aspetti da curare al fine che questo effettivamente si realizzi. In primo luogo, vi è la prevenzione, qui intesa nella sua forma primaria100; essa è infatti intesa quale intervento a monte con ciascuna famiglia, pensato per un’individuazione prima, e un trattamento poi, dei possibili fattori di rischio101 presenti, a loro volta potenziali inneschi di situazioni vulnerabili in momenti futuri. Giorgia a proposito:

Quello che secondo me manca tantissimo, proprio a livello di politica, è un aspetto più di prevenzione. (…) Quindi secondo me a livello di prevenzione mancano dei servizi; adesso appunto hanno aperto questo progetto, che è proprio per le mamme o i genitori con bambini proprio piccolini piccolini, e quello è un progetto più basato sulla prevenzione. Però quello che manca è proprio la volontà, diciamo, anche di legge e quindi anche un po’ politica.

L’assistente sociale riconduce la riflessione ad una più personale, profonda rappresentazione: il compito di intervenire a sostegno di queste famiglie spetta all’intero sistema sociale, cappello entro cui i servizi territoriali agiscono: “il s’agit par exemple (…) de l’aide aux familles et des différentes formes d’assistance publique.”102

Giorgia sottolinea il rammarico rispetto al proprio potere di intervento nei confronti di famiglie che sono da tempo in una condizione di importante fatica:

Spesso noi nel nostro lavoro ci troviamo un po’ a tappare i buchi, perché ci sono già tanti buchi, e quindi lì dopo ti chiedi anche no… ‘’con un collocamento veramente poi risolvi la situazione o crei ancora più conflitto al bambino?’’

L’obiettivo di protezione e benessere del minore riaffiora sempre quale imperativo-guida di ciascun intervento, sia a suo sostegno sia della sua famiglia d’origine.

A partire da tutto questo è possibile introdurre il secondo tema inizialmente citato: l’ascolto. Quest’ultimo riveste uno dei nuclei, oltre all’accoglienza, entro cui si spiega la loro intera professionalità, nonché lo specchio in cui l’immagine della funzionalità delle loro azioni si riflette. Più precisamente, l’ascolto va inserito in una dimensione di apertura nei confronti dell’altro, per l’attenzione e la cura della sua fragilità. I quattro intervistati si addentrano in questa riflessione a seguito dell’in-put relativo rispetto all’ipotesi di uno

100

Con il termine prevenzione primaria si fa riferimento non solo all’attività che mira semplicemente a prevenire l'insorgenza delle malattie. Oggi essa è considerata come intervento atto a promuovere la salute e quindi a favorire il benessere, mirando alla considerazione delle cause e dei fattori che aumentano la probabilità di insorgenza della malattia o della condizione di disagio. Disponibile da http://www.treccani.it. Recuperato il 15.07.2017

101

Di Blasio, Paola (a cura di). 2005. Tra rischio e protezione. La valutazione delle competenze parentali. Edizioni Milano: Unicopoli

102

Bonvin, Jean-Michel, Pierre Gobet, Stéphane Rossini, et Jean-Pierre Tabin. 2015. Manuel de politique sociale. Lausanne: Éditions EESP, p. 65

spazio di confronto tra genitori naturali con esperienze analoghe relative all’allontanamento dei figli da loro, in cui potersi esprimere e così identificarsi prima come persone, poi anche come genitori.103

Ciò che risulta importante considerare e tenere sempre presente, è che l’esperienza di allontanamento del proprio figlio104 costituisce per questi genitori una sfida, connotata dalla necessità di rivolgersi ai servizi per farvi fronte. Per gli operatori che li incontrano direttamente, l’idea di questo spazio di ascolto neutro e meno formale, è interessante e quasi un imperativo.

Dalle parole di Pablo questo traspare:

Sarebbe interessante. Pensare a dei gruppi che favoriscono la ri-acquisizione delle caratteristiche, delle competenze genitoriali. Aiutano la presa di coscienza. Perché è un aiuto, no?

Giorgia esprime poi la propria condivisione circa tale punto di vista, sollevando un’ulteriore questione: i genitori biologici si sentono talvolta giudicati e si percepiscono osservati dalla lente dei servizi, non liberi di esprimersi di fronte all’assistente sociale che riveste un ruolo ambivalente nei loro confronti: di aiuto, ma anche di controllo.105

Questo, secondo me, è legato al fatto che il genitore, se viene per esempio in un servizio come il nostro, oppure se va in ARP o così, comunque si sente giudicato tante volte. Quindi la condivisione del proprio problema diventa più difficile (…). Per noi è difficilissimo veramente sapere come si sente l’altro e quindi, secondo me, trovano questa condivisione, questo sentimento, molto di più in gruppi di genitori che hanno passato le stesse cose. Quindi si sentono molto più accolti e questo secondo me favorisce il lavoro su se stessi.

Anche Claudio e Sonia condividono quanto detto dai colleghi. Tuttavia, traspare una qualche resistenza, principalmente legata alla difficoltà di dare una lettura generalizzata e uniforme dei genitori naturali e delle loro. Sonia a proposito si esprime come segue:

Ci sono fasi di vita no, di genitori, di esperienze e… che possono portare ad un miglioramento, a dipendenza però da cosa ci sta dietro. Se c’è, ecco, una forte dipendenza, sarà veramente molto difficile.

Claudio, dal canto suo, sottolinea nuovamente l’importanza dell’accoglienza e, contemporaneamente, della presenza di famiglie, di genitori, che hanno vissuto tali esperienze, poi elaborate e superate. In altri termini, famiglie per cui il rientro del minore è avvenuto. Ciò, a suo dire, perché potrebbero trasmettere agli altri genitori la speranza, mostrare loro che, anche se il percorso è colmo di ostacoli e sofferenze, è possibile giungere alla fine superandolo:

103

Kaneklin, Livia S., e Ivana Comelli. 2013. Affido familiare. Sguardi e orizzonti dell’accoglienza. Milano: Vita e Pensiero, p. 151

104

Parisi, Giuseppina. 2015. Genitorialità fragili. Counselling in gruppo con genitori a cui è stato allontanato un figlio.

Psicologia di comunità

105

Catalogo missione e prestazioni. 2015. Ufficio dell’aiuto e della protezione. Settore famiglie e minorenni: missione e prestazioni. Bellinzona: Divisione dell’azione sociale e delle famiglie, pp. 9-10

Secondo me lo puoi fare se prima, almeno alcuni di questi genitori hanno fatto un percorso e hanno riconosciuto a loro volta delle difficoltà e sanno offrire ai nuovi genitori che arrivano, con dentro tutta la loro rabbia e tutto, immediatamente un’accoglienza (…). (…) avere comunque genitori naturali che han fatto esperienza, ma che hanno capito, hanno potuto recuperare.

Infine, si può dire che gli elementi costituenti la relazione d’aiuto ed il suo andamento sono legati ad una profonda soggettività106: il processo di cambiamento è promosso dall’operatore sociale e va oltre le tecniche, che certamente non possono e non devono essere abbandonate, bensì riempite di umanità, per non dimenticare che chiunque può incontrare momenti di sconforto, e così le famiglie di cui ci occupiamo: il lavoro dell’operatore sociale è prima di tutto presenza.

106

6. Conclusioni