per la successione imprenditoriale
4. L’affitto e l’usufrutto d’azienda
nell’affrontare l’affitto e l’usufrutto di azienda come soluzioni alter- native per preparare/realizzare la successione dell’impresa di famiglia, si evidenzia subito che i due istituti presentano una medesima disciplina civilistica e tributaria. a questa singolarità della disciplina si aggiungono gli esigui riferimenti normativi ai due istituti in esame, ancorché la prassi aziendale ne faccia ampio ricorso.
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la disciplina civilistica è contenuta negli articoli 2561 e 2562 del codice civile, in base ai quali l’affittuario dell’azienda «deve esercitarla sotto la dit- ta che la contraddistingue», «deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione, in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e de- gli impianti e le normali dotazioni di scorte». all’affitto d’azienda si applica anche la normativa in materia di trasferimento d’azienda (art. 2112 c.c.) che assicura la continuità dei rapporti contrattuali in essere, compresi i contrat- ti di lavoro.
anche la disciplina tributaria è comune per i due istituti, risolvendosi nell’obbligo di registrazione dei relativi contratti (art. 3 dpr 26 aprile 1986, n. 131) e nella previsione che le quote d’ammortamento siano deducibili nel- la determinazione del reddito dell’affittuario (art. 67, nono comma, dpr 22 dicembre 1986, n. 917).
Gli unici aspetti differenziali rilevanti sul piano normativo e procedu- rale fra i due istituti consistono nella cessione dei crediti (solo per l’azien- da in usufrutto, ai sensi dell’art. 2559 c.c.) e nella circostanza che l’azienda concessa in usufrutto è destinata a riunirsi alla relativa nuda proprietà al termine del contratto, mentre l’azienda affittata – come si vedrà in seguito – viene più spesso ceduta o riscattata dall’affittuario (come si può facilmen- te immaginare).
il ridotto spazio attribuito dalla normativa ai due istituti in esame ha dato spesso luogo ad abusi e a contenzioso di natura interpretativa in me- rito alla applicazione dei relativi contratti: si consideri, ad esempio, il totale silenzio normativo in tema di potere decisionale sulla stipula di tali con- tratti. nessuna norma, infatti, prescrive quale sia l’organo sociale abilitato a concedere in affitto l’azienda, con la conseguenza di realizzare tale opera- zione con una semplice delibera consiliare, senza transitare dall’assemblea, luogo dove alcuni soci potrebbero essere contrari allo svuotamento della società o potrebbero eccepire in merito alla congruità del canone e/o del prezzo di riscatto10.
ricordiamo che i soggetti del contratto di affitto d’azienda sono:
• la società a cui si riferisce l’azienda oggetto del contratto d’affitto che, ai presenti fini, viene identificata nell’impresa di famiglia. per essa vige il divieto di concorrenza per la durata del contratto d’affit- to (ai sensi dell’art. 2557 c.c.). la società in esame assume pertanto il ruolo di affittante;
• la società che prende in affitto l’azienda. può trattarsi di una società all’uopo costituita da parte dei membri della famiglia nei confronti dei quali si intende realizzare la successione tramite la soluzione in esame. può alternativamente trattarsi di una società di un altro im-
10 in genere l’attribuzione di questa competenza viene definita in sede di statuto o all’atto del-
91 Finanza straordinaria prenditore, anche concorrente, che si riserva di acquistare l’azienda affittata alla scadenza del contratto.
l’oggetto del contratto d’affitto d’azienda (o di usufrutto) consiste gene- ralmente nell’intera azienda, ma nella pianificazione successoria è frequen- te identificare l’oggetto del contratto in un ramo aziendale: ciò si verifica soprattutto quando l’impresa di famiglia non sia mono-business, o quan- do, oltre alla azienda operativa, si trovino nell’impresa di famiglia anche altre attività facenti capo direttamente ai soci, come accade spesso con gli immobili. in generale, però, il ricorso al contratto d’affitto d’azienda pre- senta massima efficacia quando ha per oggetto una azienda in equilibrio economico, in grado perciò di far emergere un positivo risultato della ge- stione caratteristica.
ai fini della pianificazione della successione, il ricorso al contratto d’af- fitto d’azienda viene generalmente effettuato con l’obiettivo di trasferire la gestione operativa dell’azienda contenuta nell’impresa di famiglia a quei soggetti/eredi che hanno dichiarato o dimostrato l’intenzione e la capacità di gestire, a differenza di altri soggetti/eredi non interessati/non capaci ai quali comunque deve essere riservata una parte della eredità. la parità di trattamento fra gli eredi viene realizzata ponendo inizialmente tutti sullo stesso piano: perciò, se gli eredi interessati a gestire disporranno dell’azien- da che genera determinati risultati, i soci dell’impresa di famiglia non in- teressati a gestire l’azienda percepiranno un canone pari a quei risultati. si verifica perciò che, almeno al tempo «zero», tutti gli eredi percepisco- no il medesimo frutto. peraltro i gestori, che hanno accettato il rischio im- prenditoriale e si sono dichiarati disposti a «rischiare» i frutti dell’azienda, pagando un canone per poterla gestire, saranno ulteriormente remunera- ti appunto in relazione alla loro capacità di gestire l’azienda in affitto, in quanto i migliori/peggiori risultati economici oltre il canone saranno di lo- ro esclusiva competenza. Gli altri eredi, invece, percepiranno una sorta di rendita, coincidente con il canone. se poi nell’impresa di famiglia saranno stati trattenuti i cespiti (frequentemente di natura immobiliare) non stru- mentali all’esercizio dell’azienda concessa in affitto (o in usufrutto), gli ere- di/redditieri percepiranno anche il frutto di tali cespiti.
anche in merito alla determinazione della dimensione del canone, si rileva il più sopra citato silenzio normativo, nel senso che nessuna norma, né civile, né fiscale, stabilisce le modalità di calcolo del canone, né siste- mi di controllo. pertanto il canone viene determinato su basi contrattuali o su basi meramente convenzionali. tuttavia può identificarsi un cano- ne equo, che risponda alla logica economica su cui si fonda il contratto d’affitto d’azienda. esso può riconoscersi nel citato risultato della gestio- ne caratteristica dell’azienda, in quanto è indifferente, anche fiscalmente, gestire direttamente l’azienda, ovvero concederla in affitto per un canone corrispondente alla sua redditività gestionale. Quest’ultima viene rilevata
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a livello di gestione caratteristica in quanto generalmente i crediti/debiti rimangono nella società affittante e le poste straordinarie hanno carattere di aleatorietà. tuttavia sono frequenti i casi in cui l’affittuario si fa carico anche del capitale circolante e della struttura finanziaria dell’azienda pre- sa in affitto: in questo caso il canone viene più correttamente correlato al risultato lordo.
per quanto riguarda la durata del contratto d’affitto d’azienda, essa è generalmente breve (pochi anni), con correlazione o meno al ciclo produt- tivo dell’azienda affittata (o in usufrutto). nella problematica successoria, invece, si assiste a durate anche più lunghe, ovvero a durate di medio ter- mine con clausola di tacito rinnovo.
anche se la normativa in materia non ne fa alcun accenno, è frequente- mente prevista nei contratti d’affitto d’azienda, qui a differenza dell’usu- frutto destinato a «riunirsi» alla nuda proprietà, una clausola di riscatto che consente all’affittuario, ad una scadenza predeterminata e contro un corri- spettivo pattuito, di riscattare l’azienda fino ad allora condotta in affitto.