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l’applicazione della disciplina in caso di appalto

1.5 IL TITOLO DEL TRASFERIMENTO E L’ESTENSIONE DEL CAMPO D

1.5.1 l’applicazione della disciplina in caso di appalto

Per quanto riguarda l’applicazione dell’art.2112c.c. alla tipologia contrattuale dell’appalto bisogna fare riferimento all’ultimo comma dell’articolo riguardante il trasferimento d’azienda, il quale recita: “nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’art. 1676” 85.

Questa norma definisce la tipologia di rapporto vigente tra appaltatore e impiegati, prevedendo che i dipendenti dell’appaltatore che vengono impiegati nell’oggetto di appalto, siano titolari del diritto di agire direttamente contro il committente per ottenere il pagamento di quanto dovuto.

Esiste, in questo senso, un limite che viene riferito all’ammontare del debito che il committente ha nei confronti dell’appaltatore al momento in cui viene proposta la domanda.

Sul tema in oggetto la dottrina si è espressa più volte, appare di rilievo fare una breve disamina del cambiamenti che si sono succeduti in questa disciplina, fino ad arrivare alle ultime modifiche avvenute.

Il decreto legislativo n.276 del 2003 conferma la distinzione fra appalto e somministrazione di lavoro già descritta dalla dottrina nella disciplina previgente. Con l’entrata in vigore di questo decreto, l’articolo 2112 c.c. ha subito una modifica sostanziale: l’aggiunta dell’ultimo comma, il sesto.

84 Comma 6 art. 2112c.c. .

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Quest’ultimo risulta di dubbia interpretazione e la dottrina, con la volontà di proporne una lettura maggiormente coerente, propone di fare riferimento alla legge delega n. 30/2003, intitolata “delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro”.

In questa normativa ritroviamo la volontà di prevedere una tutela aggiuntiva verso i lavoratori coinvolti nei processi traslativi dovuti ad esternalizzazione, dopo che le stesse tutele erano state colpite dalla modifica della considerazione dell’autonomia funzionale86. Quanto alla disciplina dell’appalto87 si ricorda che la

stessa prevede per il somministratore l’obbligo di procurare all’utilizzatore attività di lavoro.

Nella seconda parte dell’articolo 32 del sopracitato decreto88, viene dato rilievo

alla tutela accordata ai lavoratori che vengono utilizzati con contratti di appalto. Questa parte della normativa è stata del tutto ridisegnata a partire dal 2003 infatti, nella disciplina previgente89, i lavoratori che venivano impiegati in appalti

erano assicurati tramite due tipologie di tutela. Una prima tipologia riguardava il caso in cui si consideri la disciplina dell’appalto in generale, i dipendenti in questo caso potevano agire direttamente nei confronti dell’appaltatore per rivalersi dei

86 Rif. all’eliminazione del requisito della preesistenza dell’autonomia funzionale. 87 Art.1655c.c. .

88 Nel primo comma viene modificato il comma quinto dell'articolo 2112 del codice civile

con la seguente dicitura: «Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento e' attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento».

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propri debiti90; un altro tipo di tutela veniva data in caso di appalto “interno”91, i

lavoratori coinvolti in questa situazione si vedevano beneficiari di due ulteriori tutele quali, il trattamento economico e normativo minimo e l’obbligazione solidale tra committente e appaltatore per quanto loro dovuto92.

A riguardo, come già precedentemente citato93, merita attenzione il secondo

comma dell’art. 32 del D.lgs. 10 settembre 2003 n.276 il quale stabilisce “un regime di solidarietà di cui all’art.1676c.c.” , un rinvio che può considerarsi superfluo visto l’obbligatorietà di applicazione della normativa prevista in caso di appalto in generale ma che però deve essere attentamente preso in esame per chiarire la poco limpida disciplina che ,tra legge delega e decreto delegato, lascia non pochi dubbi in ambito di ratio normativa.

Il campo d’azione di questa disciplina comprende il caso in cui l’alienante abbia stipulato un contratto di appalto con l’acquirente e che questo contratto venga eseguito utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione. È questo il terreno in cui viene ad essere la cosiddetta “internalizzazione”, essa viene in essere quando la cessione del ramo d’azienda è posta in essere con l’obiettivo di far “tornare” l’attività ceduta nella disponibilità dell’azienda cedente per mezzo del contratto di appalto94. Questa disposizione95 lascia spazio ad un’interpretazione fin troppo

permissiva della norma, la quale sembra legittimare operazioni poco limpide dal punto di vista della loro funzione, con obiettivi solamente commerciali o di elusione della normativa di diritto del lavoro.

90 Maria Teresa Carinci, La tutela dei lavoratori negli appalti di servizi, in Commentario al

D.lgs. 10 settembre 2003 n.276 facente parte della collana Leggi e Lavoro diretta da Franco Carinci.

91 Inteso come inerente al normale ciclo produttivo del committente e quindi da eseguire

nell’ambito dello stabilimento.

92 Sono esclusi da questo trattamento tutelare i lavoratori di appalti interni che svolgono

specifiche attività di cui all’art.5 della legge n. 1369/1960.

93 Riferimento alle prime righe dello stesso sottoparagrafo “applicazione della normativa

in caso di appalto”.

94 In Passalacqua, Patto per l’Italia: sviluppi e prospettive in tema di trasferimento

d’azienda, in Dir. Lav., ed. 2002, pag. 220 e ss.

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Prima di tutto è doveroso fare una considerazione in relazione al rinvio, fatto dalla dottrina, all’articolo che disciplina i diritti degli ausiliari dell’appaltatore verso il committente96in tema di responsabilità diretta dell’appaltante per i

crediti dei dipendenti dell’appaltatore: la giurisprudenza non ha chiarito i dubbi legati alla condizione nella quale possa essere ravvisata la connessione tra il trasferimento del ramo e la successiva stipula del contratto di appalto richiesta dalla legge delega. Non viene disciplinato se questa vi poteva essere quando l’appalto aveva ad oggetto solo una parte dell’attività(prima svolta dal ramo ceduto) oppure, quando veniva stipulato in un momento successivo al trasferimento.

L’attuale normativa ha cercato di risolvere il problema alludendo ad un appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo97 oggetto di cessione.

La nuova normativa98 cancella il precedente riferimento alla distinzione tra

appalti esterni ed interni e non inserisce una tutela specifica della parità di trattamento per i dipendenti coinvolti in un appalto.

Rilevante è invece il ripristino della cosiddetta “regola generale” della solidarietà dell’appaltante con l’appaltatore per i trattamenti retributivi e previdenziali, ma solo entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell’appalto. Questo regime va attributo anche all’appaltante con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori.

Ai fini d’indagine sul tema risulta importante descrivere anche la normativa in merito alla liceità o meno degli appalti cosiddetti “dematerializzati”; gli stessi vengono distinti dagli appalti “in generale” visto che riguardanti appalti dove manca il requisito dell’esistenza necessaria di macchine attrezzature.

96 Art. 1676cc. che recita “coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro

attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”.

97 Riferimento all’intero ramo dell’azienda.

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Si ritiene comunque di interpretare la normativa attuale nel senso più amplio e comprensivo, non ponendo quindi ostacoli all’utilizzo di questa categoria di appalti che sono sempre più frequenti nella nostra economia. 99

Con il fine di descrivere il tema in esame può essere utile narrare la presa di posizione della Cassazione nei più recenti interventi in materia, la quale afferma che “sono leciti gli appalti di opere e servizi che, pur espletabili con mere prestazioni di manodopera, costituiscono un servizio in sé, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore”.

Come viene ricordato nel precedente capitolo e dalla normativa comunitaria che verrà richiamata successivamente, il ramo d’azienda che viene trasferito, in questo caso a seguito dell’appalto, deve continuare ad essere “un’entità economica che conserva la propria identità, sia organizzata in modo stabile, adeguatamente strutturata ed autonoma”.

99 Sul tema merita attenzione la citazione di De Luca Tamajo: “il comma 3 dell’art. 1 pone

fuori dell’area della liceità l’ipotesi in cui l’appaltatore utilizzi capitali, attrezzature o impianti di proprietà dell’appaltante, ma nulla dice in ordine alla diversa ipotesi in cui l’appaltatore, nella predisposizione dell’opera o del servizio, non impieghi tali strumenti di produzione ed esaurisca il proprio contributo imprenditoriale nell’organizzazione di beni immateriali e del fattore umano”, 2003.

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CAPITOLOII

Sommario: 2 Il trasferimento d’azienda nella prospettiva comunitaria – 2.1 Esternalizzazione e delocalizzazione: le conseguenze normative del trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda – 2.2 Il trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda quale mezzo per esternalizzare, uno sguardo alla normativa comunitaria – 2.2.1 la direttiva 77/187/CE – 2.2.2 La direttiva 98/50/CE – 2.2.3 la direttiva 2001/23/CE.

ILTRASFERIMENTO

NELLAPROSPETTIVACOMUNITARIA

Il seguente capitolo si pone l’obiettivo di fare chiarezza sulle dinamiche riguardanti il tema del trasferimento d’azienda a livello comunitario spiegando primariamente le conseguenze normative dell’utilizzo dello stesso nei processi di esternalizzazione/delocalizzazione e successivamente descrivendo brevemente le direttive comunitarie correlate al tema del trasferimento d’azienda. Si andranno ad approfondire le motivazioni a sostegno dell’utilizzo della fattispecie trasferimento d’azienda nel nuovo sistema organizzativo che caratterizza la produzione moderna.

2.1ESTERNALIZZAZIONEEDELOCALIZZAZIONE:LE

CONSEGUENZENORMATIVEDELTRASFERIMENTOD’AZIENDAE

DIRAMOD’AZIENDA

Nel corso degli ultimi anni si è verificato un mutamento notevole nell’organizzazione dei sistemi produttivi, questo ha cambiato le prospettive di lavoro delle imprese e dei lavoratori dovuto per lo più alla sempre maggior diffusione di fenomeni di esternalizzazione e delocalizzazione.

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La competizione mondiale procede ad un ritmo frenetico, la nascita di nuovi strumenti di comunicazione globale istantanea e l’avvento di sempre nuove e più sofisticate tecnologie ha cambiato notevolmente il piano nel quale le imprese producono e il modo in cui i lavoratori sono inseriti e dialogano con il resto del mondo100.

La globalizzazione ha portato la sostituzione di un’economia che poteva considerarsi statica con una situazione che vede maggiore concorrenza e dinamicità. Le imprese per sopravvivere al cambiamento dovranno adeguarsi al nuovo contesto economico riducendo i costi di produzione ed il costo del lavoro. Questo ha portato alla necessità di cambiamento anche del diritto del lavoro, che deve adeguarsi ai cambiamenti ed al nuovo modo di operare delle imprese nel nuovo mondo globalizzato; esso è visto come il cardine di questa regolazione in quanto stabilisce le modalità e i relativi oneri di utilizzo delle risorse umane. Ma cosa deve essere inteso come delocalizzazione? Il termine fa riferimento al trasferimento di un’attività o di parte della stessa da imprese localizzate sul territorio nazionale ad altre localizzate in altri Paesi. Viene allora da chiedersi il perché si attuano questi progetti e la risposta a questo quesito è quasi sempre legata alla volontà di cercare sempre maggiori economie di scala, di sfruttamento del know how acquisito nel Paese di origine e riduzione dei costi. Quando si decide di attuare un processo di delocalizzazione bisogna tenere conto anche della problematiche che vi possono essere collegate le quali riguardano per lo più discrepanze sulla normativa contabile o fiscale e che comportano la convenienza o meno dell’operazione101.

Ai consueti fenomeni di riorganizzazione quali l’outsourcing e il downsizing si affiancano nuove tipologie di organizzazione produttiva quali l’internalizzazione,

100 Rif. al tema della globalizzazione: V. Boffo/ F. Torlone, L’inclusione sociale e il dialogo

interculturale nei contesti europei : strumenti per l’educazione, la formazione e l’accesso al lavoro , Firenze University Press, 2008.

101 Cit. Valente e Rizzardi “delocalizzazione migrazione societaria e trasferimento sede”,

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processo attraverso il quale 102 vengono riacquistati i beni e i servizi

esternalizzati.

In ambito di trasferimento d’azienda(o di un suo ramo) vengono ad essere rilevanti diverse tipologie di decentramento e di segmentazione produttiva/ organizzativa, determinando come conseguenza un possibile attrito tra le discipline del diritto commerciale e quello del lavoro; si collega a questo aspetto quanto verrà detto nel prossimo capitolo riguardante le tutele di lavoratori coinvolti nel trasferimento d’azienda.