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L’atteggiamento del Cristianesimo rispetto alle unioni omosessual

C UM VIR NUBIT IN FEMINAM : C RISTIANESIMO E UNIONI OMOSESSUALI

1. L’atteggiamento del Cristianesimo rispetto alle unioni omosessual

Ci si limiterà, in questa sede, ad evidenziare taluni aspetti dell’atteggiamento che l’ordinamento giuridico cristiano assunse nei confronti dell’amore omosessuale vissuto pubblicamente. Se si volesse affrontare il tema più ampio della relazione intercorrente fra Cristianesimo ed omosessualità tout court, non basterebbero tutte le pagine di questo ed altri cento lavori, trattandosi di un argomento che ha occupato l’attenzione degli studiosi (laici e non) di tutte le epoche. Per tale ragione, è d’uopo circoscrivere le premesse – che ci si accinge a tracciare – alle sole ipotesi in cui esse siano funzionali a comprendere se e come il Cristianesimo si ponesse rispetto alle figure di unioni omosessuali (specialmente convivenze e matrimoni) delineate nel capitolo precedente.

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Se da un lato è vero che, mediante la lex Iulia de adulteriis e la lex Scantinia, si erano già palesati segnali di insofferenza, dall’altro abbiamo osservato come sia altrettanto plausibile che questi provvedimenti non avessero ad oggetto la repressione dell’orientamento omosessuale tout court, inteso dai Romani come ‘fluido’, quanto piuttosto lo stuprum perpetrato nei confronti dei maschi liberi. Tale atteggiamento risultava riprovevole in quanto assimilato dai Romani in conseguenza dell’ellenizzazione, e quindi bollato come estraneo ai mores maiorum, di cui si auspicava un ritorno in auge.

L’eccessivo rilassamento dei costumi aveva infatti reso lo stuprum una pratica ormai diffusa, dotata di un certo fascino soprattutto per i più giovani, i quali cedevano alla suggestione di farsi sottomettere da un adulto (che spesso si lanciava in un corteggiamento spietato). Ma si reputava che in tal modo essi crescessero con una maggiore propensione all’effeminatezza e quindi venivano giudicati, già da piccoli, come degeneri.

L’ideale cristiano, secondo il quale l’atto sessuale è esclusivamente finalizzato alla procreazione, non risultava originariamente compatibile con alcun comportamento che assecondasse la mera libidine, priva di intento riproduttivo254.

Il matrimonio, infatti, veniva qualificato come la sola sede naturale in cui l’atto sessuale non costituiva mera fornicatio, di per sé peccato255.

254 Sul punto, L.SOLIDORO,I percorsi, cit.,37.Discorre in modo approfondito circa i risvolti

pratici e demografici della copulatio C. BELLEDENT, Critiques des dispositifs se sexualité entre

contrôle des populations et subversion des normes sociales, Saint-Etienne, 2013, 105 ss.

255 B.ANTOCI, Famiglie e convivenze: profili costituzionali, Catania, 2013, 20 ss.; approfondisce

di molto B.BIONDI, Il diritto romano cristiano, III. La famiglia – rapporti patrimoniali – diritto

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Aug. de nupt. 4: Copulatio itaque maris et feminae generandi causa bonum est naturale nuptiarum. Sed isto bono male utitur, qui bestialiter utitur, ut sit eius intentio in voluptate libidinis, non in voluntate propaginis. Quamquam in nonnullis animalibus rationis expertibus, sicut in plerisque alitibus, et coniugiorum quaedam quasi confoederatio custoditur et socialis nidificandi sollertia vicissimque ovorum dispertita tempora fovendorum et nutriendorum opera alterna pullorum magis eas videri faciunt agere, com coeunt, negotium substituendi generis quam explendae libidinis. Quorum duorum illus est in pecore simile homnis, hoc in homine simile pecoris. Verum quod dixi ad naturam pertinere nuptiarum, ut mas et femina generandi societate iungantur et ita invicem non fraudent, sicur omnis societas fraudulentum socium naturaliter non vult, hoc tamen evidens bonum cum infideles habent, quia infideliter utuntur, in malum peccatumque convertunt.

Dalle parole di S. Agostino emerge in maniera inconfutabile come l’unico atto sessuale legittimato dal credo cristiano sia quello finalizzato alla procreazione, con esclusione a contrario di tutte le pratiche sessuali prive di voluntas propaginis256. Anche

256 Una interessante disamina del passo è presente in I.DAVIS, Writing Masculinity in the Later

Middle Ages, Cambridge, 2007, 36 s. Curioso come il testo venga considerato, anche dalla

moderna letteratura scientifica, come un riferimento per la formulazione nella nozione di

copulatio, così come riportato in G.TOEPFER,voce ‘Bergattung’, in Historisches Wörterbuch der

Biologie, I, Springer-Verlag, 2011, 73: «Der Ausdruck Kopulation (lat. >copulatio<

»Verbindung, Vereinigung«) wird seit dem Latein der Kirchenväter für die fleischliche Vereinigung von Mann un Frau verwendet (Augustinus: »Copulatio itaque maris et feminae generandi causa, bonum est naturale nuptiarum«, das Verb >copulare< steht bareits bei Martial, also im klassischen Latein des I. Jahrhunderts für den Vorgang des

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l’omosessualità, in quanto inidonea ai fini della procreazione, si pone in contrasto con gli ideali cristiani. Le pratiche omoerotiche vengono considerate alla stregua di una qualsiasi deviazione che, in quanto tale, preclude all’essere umano peccatore l’accesso al Paradiso.

Paul. epist. I ad Cor. 6.9-10: […] µὴ πλανᾶσθε· οὔτε πόρνοι οὔτε εἰδωλάτραι οὔτε µοιχοὶ οὔτε µαλακοὶ οετὔ αρσενοκοῖται257, οὔτε κλέπται, οὔτε πλεονέκται, οὐ µέθυσοι, οὐ λοίδοροι, οὐχ ἄρπαγες βασιλείαν θεοῦ κληρονοµήσουσιν.

Il passo, in cui Paolo sostiene che gli omosessuali non sono destinati ad ereditare il regno di Dio, viene solitamente invocato – atteggiamento, questo, non esente da critiche258 – al fine di dimostrare in maniera inequivocabile la posizione

Geschlechtsverkehrs, das Substantiv >copula< wird scit Augustinus für die Beziehung von Mann un Frau verwendet)».

257 Il termine viene tradizionalmente tradotto con il sostantivo ‘omosessuali’. In realtà, nelle

innumerevoli traduzioni disponibili, è spesso riscontrata anche la traduzione in ‘adulteri’ e ‘prostituti’. Non è ben chiaro, infatti, quale fosse il valore che il sostantivo αρσενοκοῖται avesse nella lettera di Paolo ai Corinzi.

258 L’esame dell’ampio dibattito relativo all’interpretazione del passo riportato sarebbe da

destinare ad uno studio autonomo. Tuttavia, sul punto, cfr. R.TAYLOR, Ethics, Faith, and

Reason, Englewood Cliffs, 1985, 83 s. nonché T.SCHMIDT, Straight and Narrow?, Downer’s Gove, 1995. Il punto su cui si innesta la critica è relativo, oltre che a questioni di carattere semantico inerenti la corretta traduzione dei termini µαλακός e ἀρσενοκοίτης, al fatto che Paolo non starebbe indicando ai cristiani corinzi quali sono i comportamenti che costituiscono peccato. Costoro, infatti, già conoscono quali sono gli atteggiamenti da dover eventualmente censurare, ma il reale problema è che la chiesa corinzia ritiene che l’adulterio sia moralmente accettabile e soprattutto che talune condotte sessuali non abbiano peso al fine della valutazione del ‘peso’ della singola anima. Ciò in quanto, specie per i primi

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del cristianesimo rispetto all’omosessualità: esso costituirebbe la prova secondo cui non solo le relazioni fra soggetti dello stesso sesso costituiscono di per sé peccato, ma pure che gli omosessuali, per definizione, non possono essere cristiani.

Da un canto l’omosessualità si ritiene contrastante con i dettami delle Sacre Scritture e con gli aneddoti ivi tramandati259, dall’altro lato viene disincentivata in

ragione della politica di astinenza sessuale, predicata dai primi Padri della Chiesa,

cristiani, risultava complesso modificare repentinamente taluni costumi che erano già stati ampiamente assimilati dalla società romana (tra cui anche la libera pratica dell'omosessualità) in virtù dei dettami delle Sacre Scritture. Paolo, dunque, avvertendo la ritrosia nell'adeguamento ai nuovi standard comportamentali richiesti per la salvezza dell’anima, critica non l'omosessualità in quanto tale, ma l’ipocrisia legata all'illusione che essa, come altre pratiche (cfr. I ad Cor. 6.12; I ad Cor. 5.11), pur non essendo destinata alla procreazione sia ugualmente praticabile senza costituire peccato tout-court. Tale atteggiamento del ‘dentro-o-fuori’ viene solitamente definito ‘covenantal nomism’ (cfr., tra i più recenti, J.C.R.DE ROO, ‘Works of the Law’ at Qumran and in Paul, Phoenix, 2007; M.S. HORTON, Modern Reformation, the Heart of the Gospel: Paul’s Message of Grace in Galatians, www.modernreformation.org, 2003, 32 s. nonché N.T.WRIGHT, The Climax of the Covenant:

Christ and the Law in Pauline Theology, Minneapolis, 1992). In ogni caso, un’amplissima e

molto attenta disamina di una notevole compagine di fonti, giuridiche e non, è presente in J.BOSWELL, Christianity, cit., 91 ss.

259 La questione è tutt’oggi estremamente controversia e deriva, perlopiù, dai preconcetti

che spesso condizionano le traduzioni dei testi biblici. Secondo lo studioso D.S.BAILEY,

Homosexuality and the Western Christian Tradition, London, 1955, non vi sarebbe alcun

riferimento, nelle Sacre Scritture, ad un atteggiamento omofobico da parte del cristianesimo. L’episodio biblico di Sodoma e Gomorra, ad esempio, altro non sarebbe che una parabola relativa al tema dell’ospitalità e non dell’omosessualità. Tuttavia è doveroso precisare che il dibattito, anche a distanza di oltre cinquant’anni dalla pubblicazione dello studio di Bailey, rimane tutt’oggi molto acceso.

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tra cui in particolare Clemente Alessandrino260 ed Origene, contrari a qualsiasi

pratica sessuale mossa esclusivamente da voluptas libidinis.