Sono stati esaminati, precedentemente, alcuni dei meccanismi che consentono il riarrangiamento genico e la variabilità e specificità delle catene proteiche che costituiscono i recettori antigenici. Il “serbatoio” di TCR che viene a costituirsi potrebbe, tuttavia, contenere dei recettori autoreattivi, in grado, cioè, di riconoscere come antigeni estranei proteine che fanno parte dell’organismo. Pertanto, il sistema immunitario deve essere capace di garantire l’autotolleranza verso gli antigeni propri riconoscendoli ed evitando l’aggressione contro le cellule dell’individuo del quale fanno parte. Il meccanismo che consente l’autotolleranza non è determinato per via genetica, bensì è acquisito durante lo sviluppo a seguito di complessi processi di selezione negativa sugli elementi cellulari del sistema immunitario. Queste selezioni avvengono nel timo, dove sono presenti timociti immaturi e dove, attraverso meccanismi che operano a diversi livelli ed a vari stadi della maturazione leucocitaria, si può assistere all’eliminazione degli elementi pericolosi (Cohen, 1991; Golstein et al., 1991). La cernita si manifesta attraverso la delezione di cloni di cellule T, potenzialmente autoreattive, tramite la loro disattivazione funzionale (anergia) o, ancora, con la generazione di elementi citologici che agiscono da regolatori-soppressori nei confronti dei timociti. In effetti, i linfociti timici maturi sono il risultato della proliferazione di cellule selezionate positivamente, e non autoreattive, e sono distinguibili in due diverse popolazioni. La prima è definita dalle cellule T CD4, in grado di riconoscere gli antigeni presentati nell’ambito del MHC di classe II. La seconda popolazione è quella dei linfociti T CD8, capaci di interagire con gli antigeni esposti nel contesto di molecole di MHC classe I. I rapporti che si stabiliscono tra i TCR e le molecole di MHC sono fondamentali per stabilire quali tra i timociti immaturi possono continuare lo sviluppo e diventare cellule T e quali, invece, vadano eliminati. In questo processo di “riconoscimento” è di fondamentale importanza l’intervento delle cellule presentanti l’antigene (APC) che, elaborando e concentrando gli immunogeni, coadiuvano i meccanismi dei recettori.
Anche in quest’ambito le indagini più esaurienti riguardano la classe dei mammiferi, nei quali il riconoscimento delle proteine autologhe è definito durante il periodo perinatale o neonatale e il timo è attivamente coinvolto nei meccanismi di selezione linfocitaria. Quest’ultima affermazione è valida anche per i vertebrati inferiori, infatti, nel timo si trovano i timociti immaturi e proprio in quest’organo si concretizza una drastica riduzione del loro numero durante i giorni immediatamente successivi alla nascita dell’individuo o alla schiusa dell’uovo. La diminuzione del numero dei timociti non è imputabile a fenomeni migratori poiché le cellule intraprenderanno tale strada solo alla fine del loro processo di maturazione e di differenziamento. La colonizzazione degli organi linfoidi secondari da parte dei timociti maturi avverrà solo quando questi, avendo subito la selezione timica ed avendo acquisito la specifica competenza immunitaria, saranno diventati linfociti T a tutti gli effetti. Nel timo, la causa della riduzione della popolazione linfocitaria è imputabile al fenomeno di selezione negativa. Tale processo elimina la maggior parte dei timociti (circa il 95%) e solo i rimanenti arriveranno al completo differenziamento, costituendo tutta la gamma di linfociti T circolanti dell’organismo (Kendall, 1990; Ritter e Crispe, 1992). La comparsa dei tipici sintomi apoptotici nei timociti morenti indica che il timo partecipa attivamente ai processi di selezione linfocitaria. Questo tipo di morte cellulare è il più importante dei meccanismi intratimici di selezione negativa e necessita, per innescarsi, di fattori esterni alla cellula apoptotica stessa. L’apoptosi, è un processo che consente ad un organismo, nel corso del suo sviluppo, di poter controllare la proliferazione e le dimensioni di una popolazione cellulare. Tramite la morte cellulare programmata è possibile eliminare elementi autologhi o eterologhi potenzialmente pericolosi (Steller, 1995). La morte di una cellula, può
avvenire attraverso due diversi processi: la necrosi o l’apoptosi. Nel primo caso si assiste a morte patologica dovuta ad un serio danno genetico o strutturale subito dalla cellula, o ad un’offesa improvvisa (ischemia e ipertemia), o ancora a “shock” fisico-chimico. La membrana della cellula necrotica perde la capacità di mantenere l’omeostasi e si lisa a causa del conseguente rigonfiamento. Il citoplasma, non più contenuto dal plasmalemma, si riversa nel tessuto circostante provocando, inevitabilmente, una risposta localizzata di tipo infiammatorio. L’apoptosi, invece, è un processo di morte cellulare programmata che tende ad evitare conseguenze dannose per il tessuto nel quale si verifica. La cellula apoptotica subisce una condensazione e, in alcuni casi, si osserva frammentazione del citoplasma condensato. I frammenti cellulari sono noti anche con il nome di corpi apoptotici e sono rapidamente fagocitati senza innescare altri meccanismi di reazione immunitaria quali edema, infiammazione e irritazione del tessuto. Nella cellula sottoposta a PCD si assiste, anche, alla frammentazione del filamento di DNA. La causa di questo fenomeno va ricercata nell’attivazione delle endonucleasi interne alla stessa cellula sottoposta ad apoptosi. La DNAsi I gioca, probabilmente, un ruolo primario nella comparsa di questo “ladder” nucleosomale ed è ben osservabile quando si effettuano esperimenti d’elettroforesi su gel di agorosio del DNA. Nel corso della PCD il filamento degli acidi nucleici della cellula apoptotica è scisso in frammenti mono ed oligo-nucleosomali di circa 200 bp, o multipli (Wyllie, 1980).
Un organismo può ricorrere all’apoptosi anche in casi diversi dalla selezione negativa, come, ad esempio, durante il rimodellamento dei tessuti embrionali (Kerr et al., 1972; Wyllie et al., 1980; Arends e Wyllie, 1991). Il programma di morte cellulare può venire attivato da fattori esterni quali danni provocati da radiazioni ionizzanti, infezioni virali e mancanza di fattori essenziali per la sopravvivenza della cellula (Thompson, 1995). Si ritiene che il suicidio cellulare avvenga per “default”, cioè l’assenza di segnali esterni di sopravvivenza attiva il processo di apoptosi codificato geneticamente. I dati provenienti da studi condotti sulla carpa indicano che anche lo stress fisico è un fattore in grado di indurre apoptosi: gli individui sottoposti ad intensa manipolazione mostrano una minore resistenza alle infezioni del batterio Trypanoplasma borreli rispetto ai pesci di controllo. La minor efficacia della risposta immunitaria è da imputare alla comparsa di sintomi apoptotici nei leucociti del circolo periferico e del rene cefalico. L’attento esame dei dati degli esperimenti in questione rivela che alcuni fattori sierici elaborati nei soggetti sottoposti a condizioni di vita stressanti sono responsabili dell’induzione della PCD dei leucociti. Nel dettaglio, i fattori secreti dagli animali in condizioni di stress appartengono alla categoria delle catecolammine e sono epinefrina e norepinefrina. Mammiferi e Teleostei presentano, sulla membrana d’alcune popolazioni leucocitarie, un recettore adrenergico (AR) che legandosi ai fattori sierici si attiva e provoca profonde modificazioni delle funzioni cellulari (Finkenbine et al., 2002; Saeij et al., 2003). Gli studi di Evans e collaboratori (2001) sulla tilapia (Tilapia mossambica) e sul pesce gatto hanno riscontrato che la risposta delle NCC ad un’infezione acuta causa il rilascio di fattori che impediscono l’avvio dei processi di PCD. Tali fattori sono in grado di attivare le cellule citotossiche non specifiche proteggendole dall’innesco dei processi apoptotici. Anche le NCC, data la loro capacità di essere potenzialmente autoreattive, possono andare incontro a processi apoptotici. Altri esperimenti condotti sempre su tilapia e pesce gatto, hanno dimostrato che alcuni fattori citosolici, come il FasL, sono in grado di fungere da regolatori per il processo di morte programmata (Bishop et al., 2002). La capacità d’espressione della proteina FasL è stata indagata nei leucociti di orata utilizzando il FACS, l’immunoblotting, tecniche d’immuno-istochimiche e un Mab specifico. Sono state testate cellule provenienti dal rene cefalico, dal timo, dalla milza, dal sangue e dall’essudato peritoneale del pesce. I risultati
ottenuti hanno evidenziato l’esistenza del fattore citosolico FasL nei linfociti, nei monociti-macrofagi e nei granulociti acidofili di questo Teleosteo (Cuesta et al., 2003). Nel timo il ricorso all’apoptosi non è limitato ai soli leucociti che possiedono un potenziale autoreattivo. In alcuni casi i timociti immaturi possono presentare gravi danni genetici o disfunzioni metaboliche che li rendono incapaci di svolgere la loro attività. Queste cellule danneggiate vengono riconosciute, attivando processi apoptotici a carico dei leucociti non idonei (Fowlkes e Pardoll, 1989; von Boehemer et al., 1989; Mc Donald e Lees, 1990). Evidenze sperimentali confermano che il mancato processo di selezione può indurre la comparsa di cellule autoreattive nel timo, inoltre, si suppone che possa essere alla base di alcuni fenomeni di carcinogenesi.
Le informazioni più dettagliate sui processi di selezione intratimica dei linfociti si hanno da studi effettuati sui mammiferi che hanno rivelato come tale processo si svolga in due fasi. Durante la prima avviene la selezione positiva dei timociti, in grado, attraverso il recettore TCR ed i rispettivi corecettori CD8 e CD4, di riconoscere e di legarsi all’MHC di classe I e II rispettivamente (restrizione da MHC). Nella seconda fase vengono eliminati tutti i linfociti che si dimostrano autoreattivi quando vengono a contatto con antigeni self processati ed esposti sull’MHC (tolleranza al self). In queste cellule viene indotta la PCD (Pullen et al., 1989) o l’anergia (Boyd et al., 1993). L’educazione che avviene nel timo dei mammiferi è un processo di tipo antigene-indipendente: non è necessario che i linfociti T incontrino l’immunogeno specifico per sviluppare la capacità di reagire contro lo stesso. I TCR, infatti, si formano attraverso riarrangiamenti occasionali dei geni che li codificano, durante l’ontogenesi dei linfociti T, prima che gli stessi entrino in contatto con un qualsiasi antigene.