Federico Pedrin
2.3. L’ermeneutica romaniana tra oggetto e metodo
Proviamo ora brevemente a riassumere i termini della questione fin qui esposta. L’interpretazione giuridica per Romano è sempre uno strumento per la conoscenza (non per la scelta, la costruzione, tanto meno per la creazione) del proprio oggetto, vale a dire il diritto nelle sue varie manifestazioni.
Non è un caso, allora, che in questa chiave si possa plausibilmente parlare di “interpretazione evolutiva”29 soltanto nell’accezione retorica di una metonimia, con
la quale si suggerisce come causa (l’interpretazione) quel che in realtà è l’effetto di eventuali mutamenti intervenuti nel fenomeno osservato (il diritto). Questo tipo (l’unico scientificamente e giuridicamente ammissibile) di interpretazione evolutiva del diritto non ha niente a che vedere con una tecnica “antiformalista” di ascrizione di senso agli enunciati legislativi, che secondo Romano si risolverebbe in un semplice espediente politico-pratico per conferire maggiori poteri al giudice o ad altro applicatore istituzionale. La c.d. interpretazione evolutiva, infatti, non potrà che essere l’interpretazione tout court di un diritto (frattanto) evolutosi.
Ma di quale “diritto”? La risposta emerge senza particolari margini di incertezza da quanto già osservato. Fermo restando che “Romano […] attribuisce all’interpretazione una funzione meramente dichiarativa”30, è giocoforza concludere
che gli esiti rappresentativi di tale attività dipenderanno dalle caratteristiche e dalla “natura” dell’oggetto interpretato: inerte, fissa e stabile nel caso della legge; viva, cangiante e mutevole nel caso dell’ordinamento.
Non v’è dubbio, pertanto, che sia proprio e solo l’ordinamento – tanto più intensamente quanto più ci si avvicini al suo “centro”: il territorio del diritto costituzionale – l’unico oggetto della conoscenza giuridica il quale, se correttamente interpretato, potrà generare esiti “evolutivi”. Tanto premesso, tuttavia, bisogna subito
28 S. Romano, “Interpretazione evolutiva”, cit., p. 715.
29 Ed in verità di qualsiasi interpretazione “aggettivata” a seconda degli esiti: evolutiva, estensiva, restrittiva, adeguatrice etc.
30 R. Treves, “Considerazioni sulla teoria sociologica del diritto di Santi Romano”, in P. Biscaretti di Ruffia (a cura di), Le dottrine giuridiche di oggi e l’insegnamento di Santi Romano, Milano, Giuffrè, 1977, p. 266.
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soggiungere che il concetto di “ordinamento” risulta tutt’altro che chiaro nei suoi elementi costitutivi ulteriori rispetto alla componente normativa espressa dalle leggi31.
È insomma rilievo esattissimo quello di Vittorio Frosini, quando sottolinea come in Romano “la legge, intesa come enunciato normativo, non è l’oggetto esclusivo della conoscenza giuridica, cioè del lavoro svolto dai giuristi, giacché oltre ad essa c’è altro, cioè l’istituzione come fatto sociale, che si fa essa legge”32, ma la
domanda è: esattamente quale “altro”?
In quest’ottica, malauguratamente, l’equivalenza tra “ordinamento” e “istituzione” – che lo stesso Romano, com’è noto, definiva “necessaria ed assoluta”33
– non parrebbe offrire un aiuto decisivo. Quello di “istituzione”, infatti, risulta a sua volta un concetto vago ed ambiguo34, e del resto sono ben note le critiche di Norberto
Bobbio al tentativo romaniano35 di ricostruirlo – in modo circolare, se non addirittura
contraddittorio36 – per il tramite dell’altrettanto indeterminata nozione di
“organizzazione”37, peraltro in apparenza debitrice proprio dell’idea di “norma” dalla
quale Romano puntava espressamente a distaccarsi38.
L’interrogativo che attende risposta è, insomma, quello relativo agli specifici oggetti dell’ermeneutica romaniana diversi dalle leggi (oggi diremmo: dall’insieme delle disposizioni scritte). Quesito che, ovviamente, finisce per condizionare in senso forte anche quello sul metodo idoneo per un verso a indagare, a conoscere
31 Le difficoltà nella ricostruzione di questo concetto, del resto, non sono un’esclusiva dell’istituzionalismo. Cfr. ancora di recente M. Casavecchia, “L’ordinamento giuridico. Introduzione”, Il nuovo diritto delle società, 11 (2013), 1, pp. 134-151.
32 V. Frosini, “Santi Romano e l’interpretazione giuridica della realtà sociale”, in Scritti in onore di Angelo Falzea, Milano, Giuffrè, 1991, vol. I, p. 327.
33 S. Romano, L’ordinamento giuridico, cit., p. 22, dove pure si legge: “Ogni ordinamento giuridico è un’istituzione, e viceversa ogni istituzione è un ordinamento giuridico”. Cfr. anche ivi, p. 26: “crediamo che fra il concetto di istituzione e quello di ordinamento giuridico, unitariamente e complessivamente considerato, ci sia perfetta identità”.
34 Per un complesso tentativo di definizione della “istituzione” romaniana come meta-istituzione cfr. ora M. Croce, Che cos’è un’istituzione, Roma, Carocci, 2010, part. pp. 85-87. Utile per una ricostruzione in chiave comparatistica è anche la lettura di M. D’Alberti, “Santi Romano e l’istituzione”, Rivista trimestrale di diritto
pubblico, 64 (2014), 3, p. 579 ss.
35 Articolato in S. Romano, L’ordinamento giuridico, cit., p. 31 ss.
36 N. Bobbio, “Teoria e ideologia nella dottrina di Santi Romano”, in P. Biscaretti di Ruffia (a cura di), Le dottrine
giuridiche di oggi e l’insegnamento di Santi Romano, cit., p. 28: “ora il diritto viene definito con ‘organizzazione’, cioè
risolto totalmente in un’altra entità, che non viene definita, e che spesso viene denominata con altre parole, come “struttura”, “posizione”, “sistema”; ora l’organizzazione viene considerata come “lo scopo caratteristico del diritto”. Ma se l’organizzazione non è il diritto ma lo scopo del diritto, che cosa è allora il diritto? In altre parole il diritto è organizzazione o è qualcosa che sta dietro e prima dell’organizzazione? Ma se sta prima dell’organizzazione, non ne segue che il diritto viene prima… del diritto?”.
37 Cfr. N. Bobbio, op. cit., p. 27: “il concetto di diritto era stato definito risolvendolo nel concetto di organizzazione, ma il concetto di organizzazione non era stato ulteriormente chiarito (non mi è riuscito di trovare nell’opera di Romano, non dico una definizione esplicita, ma neppure una implicita di ‘organizzazione’, che pure è il termine chiave dell’intero discorso)”.
38 N. Bobbio, op. cit., p. 27: “Il concetto di organizzazione era rimasto non chiarito, perché l’unico modo di fare un passo in avanti nella sua determinazione era di ricorrere alle norme di secondo grado, cioè a quelle norme che regolano il riconoscimento, la modificazione, la conservazione delle norme di primo grado, e che fanno di un insieme di rapporti intrecciantisi fra individui conviventi, un tutto ordinato, appunto un ordinamento, un sistema, se pure non nel senso di sistema logico e critico ma nel senso kelseniano di sistema dinamico, mentre era chiaro che le norme che aveva in mente Romano quando respingeva la teoria normativa erano le norme primarie”.
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correttamente tali ulteriori oggetti e per altro verso a metterli in sistema con la componente normativa dell’ordinamento.
Segnatamente quest’ultimo aspetto è colto con estrema lucidità dallo stesso Romano, quando osserva come
Un ordinamento giuridico […] non si risolve soltanto nelle norme che ne sono una emanazione o sono in esso implicite, ma si concreta in una istituzione, che può comprenderne altre minori, e, quindi, la scienza di un diritto costituzionale particolare deve prendere in considerazione anche questo aspetto fondamentale di esso. Però, lo scopo finale cui tende tale scienza – che, giova ricordarlo, è scienza pratica – rimane quello di enuclearne e di
precisarne le norme: si tratta perciò di una scienza che, nel suo punto iniziale,
non è esclusivamente normativa, ma è essenzialmente tale nel suo punto di arrivo39.
In altri termini, elaborare un “metodo di ricerca fondato sull’osservazione del reale”40, capace di cogliere le componenti non normative dell’ordinamento giuridico,
sarebbe a detta del Nostro una condizione certamente necessaria, ma nient’affatto sufficiente per svolgere correttamente il mestiere del giurista. Questi, infatti, se a monte potrà (e dovrà) partire dall’analisi dell’istituzione e delle sue componenti “reali”, a valle sarà comunque tenuto a fornire descrizioni (e soluzioni) “normative”. Servirà allora un metodo d’indagine in grado non solo di conoscere gli oggetti non normativi, ma anche di rispondere a quella che è stata efficacemente definita la “necessità di saldare l’antica frattura esistente fra il diritto, inteso come sistema di norme scritte nelle leggi e nelle “gride” di manzoniana memoria, e la vita reale della società con le sue esigenze e le sue forme emergenti”41.
Ma – daccapo – quale metodo (per quali oggetti)? Se non una risposta quanto meno una prima indicazione parrebbe suggerita dallo stesso Romano in conclusione del suo contributo sulla interpretazione evolutiva, laddove osserva come “la teoria delle norme giuridiche non si può intendere rettamente e pienamente senza ricollegarla e illuminarla con la concezione istituzionistica del diritto”42.
Seguendo questa traccia, il metodo che stiamo cercando per la teoria dell’interpretazione (quanto meno se intesa come interpretazione dell’ordinamento), parrebbe prestarsi a essere ricostruito come una variabile dipendente (un posterius) da quel prius costituito dalla teoria del diritto. Si tratterà, allora, di capire quale parte della teoria istituzionalistica del diritto sarebbe nello specifico idonea a fornire le risposte agli interrogativi metodologici in tema d’interpretazione cui si faceva cenno poche righe addietro. Nel prossimo paragrafo si proverà a mostrare come un ruolo decisivo in tal senso sia più precisamente rivestito dalla teoria istituzionalistica delle fonti del diritto.
Proprio (e solo) le fonti del diritto “istituzionalisticamente inteso”, invero, parrebbero gli strumenti concettuali (senza dubbio) necessari e (auspicabilmente)
39 S. Romano, Principii di diritto costituzionale generale, cit., p. 184 (corsivo mio).
40 A. Morrone, “Per il metodo del costituzionalista: riflettendo su “Lo Stato moderno e la sua crisi” di Santi Romano”, Quaderni costituzionali, XXXII (2012), 2, p. 379.
41 V. Frosini, “L’attualità di Santi Romano”, in P. Biscaretti di Ruffia (a cura di), Le dottrine giuridiche di oggi e
l’insegnamento di Santi Romano, cit., p. 213.
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sufficienti da un lato a permettere l’individuazione degli specifici referenti empirici (i più volte citati “oggetti”) dell’interpretazione giuridica, determinandone così anche il relativo metodo conoscitivo, e dall’altro lato a spiegare la loro interazione sul piano dei significati prescrittivi col versante normativo dell’ordinamento.