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POLITICHE PUBBLICHE E CONTROLLO DELL’INIZIATIVA ECONOMICA PRIVATA

1. L’esigenza di bilanciare principi e valori

Nel presente contributo di ricerca si è più volte sottolineata l’importanza, per l’amministrazione e per il legislatore, di procedere, in tema di controllo pubblico delle attività economiche private, a un necessario bilanciamento tra principi e valori derivanti tanto dall’ordinamento nazionale, quanto da quello europeo.

Si è visto come, da un’originaria impostazione tesa a sistematizzare quanto previsto dall’articolo 41 della Costituzione, in particolare con riferimento ai rapporti tra libera iniziativa economica e clausola dell’utilità sociale (con evidente prevalenza dell’esigenza di circoscrivere la predetta libertà), la successiva emersione dei principi di concorrenza e liberalizzazione ha determinato un deciso ripensamento dei modelli di controllo pubblico.

Il principio di concorrenza ha caratterizzato giuridicamente la libertà d’impresa, sia in senso positivo (essendo un valore ricavabile in via interpretativa dal medesimo articolo 41), quale espressione della necessità di operare su un mercato concorrenziale e paritario, che in senso negativo, agendo da limite (connotato dell’utilità sociale) per

l’iniziativa economica dei soggetti il cui comportamento rischi di danneggiare il funzionamento del mercato309.

Il principio di liberalizzazione, di converso, ha spinto l’analisi dell’iniziativa economica privata verso la valorizzazione della libertà d’impresa di cui al primo comma del menzionato articolo 41, imponendo un nuovo equilibrio nei rapporti tra tale libertà e limiti costituzionali e ultra-costituzionali, nonché una decisiva riduzione della discrezionalità (amministrativa e legislativa) in merito alla scelta sul regime amministrativo applicabile.

Anche l’analisi degli strumenti giuridici che, nel tempo, si sono affermati nell’ordinamento giuridico nazionale, ha evidenziato tale ultimo aspetto, aggiungendo, nel complesso sistema di principi basilari della libera iniziativa economica, anche tematiche innovative, quali la semplificazione e la proporzionalità.

Tutto ciò ha avuto notevoli ripercussioni sulle situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i privati che, da una iniziale posizione di subordinazione rispetto alla “tirannia” dell’interesse pubblico (l’indeterminatezza della clausola dell’utilità sociale e i regimi amministrativi della concessione e dell’autorizzazione ne sono icastica espressione) sono transitati verso un compiuto riconoscimento della loro rilevanza e della necessità di sottrarli quanto più possibile al “giogo” dei vincoli amministrativi (vanno letti in tal senso i regimi della Scia e del silenzio-assenso, nonché le disposizioni dettate dalla direttiva servizi, tutte orientate al riconoscimento della libera concorrenza tra operatori).

In altre parole, alla drastica riduzione del potere di valutazione discrezionale demandato all’amministrazione, corrisponde un ampliamento sostanziale della situazione giuridica di partenza del privato, nella cui disponibilità finisce la dimostrazione di tutte le

309 Vanno lette in questo senso le disposizioni vigenti in materia di Antitrust sulle quali si vedano, di recente, S.CAPONETTI, Mercato economico e "welfare State", in

Diritto dell'economia, fasc. 2, 2018, p. 32 e ss.; A.CUCINOTTA, La natura dei

mercati, l'economia comportamentale e l'antitrust, in Mercato concorrenza regole,

condizioni rilevanti per l’avvio dell’attività economica; tale accrescimento rileva sia nei confronti dell'interesse pubblico, sia rispetto ai terzi, e in tale contesto le regole del procedimento, come accennato, da forma della funzione pubblica, si pongono alla stregua di limiti ai pubblici poteri, in funzione della tutela della libertà economica e della concorrenza310.

Resta fermo, tuttavia, che la liberalizzazione, se non intesa come soppressione piena del condizionamento pubblicistico, ha indubbiamente causato una sostituzione dei regimi amministrativi tradizionali con un sistema più rispettoso della libertà d’impresa311, non comportando, però, la totale scomparsa di una disciplina pubblicistica relativa ai presupposti e alla conformazione dell’attività, né escludendo il permanere di un controllo pubblico.

Stante tale evoluzione diacronica, si possono, ora, cogliere gli aspetti significativi del bilanciamento più volte menzionato.

Nella scelta in merito ai regimi amministrativi applicabili al settore delle attività economiche private, infatti, si ritiene che il legislatore (e conseguentemente l’amministrazione) debba utilizzare (in maniera congiunta e comparativa) quella serie di criteri cogenti variamente richiamati nel corso della presente trattazione, al fine di consentire una generale valorizzazione della libera iniziativa economica e, al contempo, un’adeguata protezione degli interessi pubblici sottesi.

310 Come ampiamente evidenziato da G. NAPOLITANO, Diritto amministrativo e

processo economico, op. cit., p. 707 e da M.A. SANDULLI, Il procedimento

amministrativo e la semplificazione, Report annuale 2013, in

www.ius-publicum.com, p. 4, la quale precisa che «la semplificazione è così passata dal

costituire un generico programma di sburocratizzazione del fare dell'amministrazione (in linea con i propositi costituzionali) a costituire un vero e proprio insieme di tecniche e strumenti giuridici, ulteriormente alimentati dalle indicazioni provenienti dall'Unione Europea finalizzate alla tutela del mercato, concretamente inciso dalle complessità e dalle tempistiche che contraddistinguono il sistema amministrativo di un Paese membro».

311 Si veda in proposito G.CORSO, Attività economica privata e deregulation, in Riv.

Una scelta di tal guisa va condotta seguendo quello che Stephen Breyer312 definiva “case by case approach”, basato sulla riforma della regolazione settore per settore o, se si vuole, caso per caso, in contrapposizione al “generic approach” che è, invece, strumento tipicamente attraente per il legislatore.

In altri termini, è necessario evitare una forma di «massimalismo (…) che induce a proteggere determinati interessi pubblici senza preoccuparsi dei costi e degli effetti negativi su altri interessi pubblici, senza valutare le opzioni che consentirebbero di tutelare in modo adeguato i primi senza sacrificare eccessivamente i secondi»313.

Ne consegue che, nella disamina dei singoli casi, il decisore pubblico è chiamato a porre in essere un bilanciamento di interessi e valori, “depurato”, però, da forme ideologiche di pregiudizievole avversione allo Stato. E così si potrà, in alcuni casi, consentire la libera espansione dell’iniziativa economica privata, nel momento in cui non si ravvisino motivi di interesse generale per sottoporre le attività a qualsivoglia forma di controllo pubblico (preventivo o successivo) e sia, oltremodo, utile sviluppare un contesto di mercato perfettamente concorrenziale e liberalizzato.

In altri casi, constatata la necessità di imporre vincoli amministrativi (ad esempio utilizzando la clausola dell’utilità sociale), il legislatore potrà interrogarsi, in base al fondamentale canone della proporzionalità, su quale strumento giuridico debba essere adottato (e in tal senso rileva il principio di semplificazione): se uno strumento invasivo come l’autorizzazione (o addirittura la concessione) o meccanismi meno intrusivi (Scia/silenzio-assenso), ma che, in ogni caso, consentano forme di controllo - pur attenuato - dell’iniziativa economica privata.

312S.BREYER, Two Models of Regulatory Reform, in South Carolina Law Review, 34, 1983, n. 3, p. 629 e ss.

313 Così B.G. MATTARELLA, Burocrazia e riforme. L’innovazione nella pubblica amministrazione, Il Mulino, Bologna, 2017, p. 50.

In merito, si è osservato314 che il superamento delle limitazioni poste nei confronti delle attività economiche private non possa essere il frutto di una pura e semplice volontà politica, dovendo passare attraverso il vaglio del rapporto tra libertà economica e utilità sociale.

Il vero problema, cui sono quotidianamente chiamati a rispondere, prima il legislatore e l’amministrazione, poi (eventualmente) la giurisprudenza europea 315 , costituzionale e

amministrativa, è, dunque, quello dell’individuazione (o

interpretazione) dei motivi di interesse generale e del modo e del grado del loro bilanciamento con la libertà economica.

Si dovrebbero sviluppare così, nei paesi europei, nuove politiche di riforme amministrative che, nonostante la diversità delle esperienze, assumano caratteristiche sostanzialmente comuni, riassumibili nella circostanza che non è più richiesto un arretramento dello Stato ad ogni costo.

Si tratta, in altri termini, di procedere al cosiddetto «“fixing government”, e cioè ad una sorta di “fissaggio” ed ad una più chiara definizione dei poteri pubblici (…) nella prospettiva di una eventuale [ma non automatica] riduzione»316.

Del resto, come acutamente osservato, pur essendo la libertà di impresa e la concorrenza «fattori propulsivi della crescita,

314 M.RAMAJOLI, Liberalizzazioni: una lettura giuridica, in Dir. econ., 2012.

315 Quanto alla giurisprudenza della Corte di Giustizia si vedano, a titolo di mero esempio, le divergenti posizioni assunte sulla normativa italiana che prevede distanze minime obbligatorie fra gli impianti stradali di distribuzione di carburanti, considerata alla stregua di una restrizione della libertà di stabilimento (Corte giust., 11 marzo 2010, C-384/08, Attanasio Group), e sulle distanze minime tra farmacie, ritenuta invece conforme al diritto comunitario, in quanto finalizzata alla equilibrata ripartizione delle farmacie, e volta ad assicurare alla popolazione un accesso adeguato al servizio farmaceutico, aumentando di conseguenza la sicurezza e la qualità di approvvigionamento della popolazione in medicinali (Corte giust., 18 giugno 2010, C-570/07 e 571/07); sul tema si cfr. M. DELSIGNORE, Il

contingentamento dell'iniziativa economica privata, Milano, Giuffrè, 2011. Sulla

portata liberalizzante della giurisprudenza comunitaria in tema di sicurezza pubblica, con particolare riguardo alla vicenda relativa alla vigilanza privata, si rinvia a G. TROPEA, Sicurezza e sussidiarietà, Napoli, Editoriale scientifica, 2010, p. 326 e ss.

316 A. PAJNO, Crisi dell'amministrazione e riforme amministrative, in Rivista

Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc. 3-4, 2017, p. 549 e ss., che richiama

quanto evidenziato da G. NAPOLITANO, Le riforme amministrative in Europa

dell’occupazione, della competitività di un paese (…), non tutto può essere liberalizzato e poco può essere completamente deregolato, senza produrre pregiudizi gravi (…) per gli interessi generali del Paese»317.