• Non ci sono risultati.

1.2 La decodificazione dell’Alterità

1.2.1 L’esotismo secondo Lévi-Strauss e Todorov

Quali sono le possibilità di costruzione identitaria dopo la fine dei viaggi? All’omogeneizzazione globale non si può che opporre un caparbio procedimento di riconoscimento delle differenze, infatti sia nell’opera Tristi tropici di Lévi-Strauss sia in

Noi e gli altri di Todorov la soluzione augurata è proprio un recupero dell’esotismo. Un

esotismo però diverso da quello della letteratura precedente, questa volta l’esotismo deve essere ottimizzato. Infatti troppe volte “la regola dell’esotismo è stata convertita […] da precetto di vita a procedimento artistico: è l’ostranerie di Šklovskij o la Vverfremdung di Brecht [in italiano: lo straniamento]”107, l’ammonimento di Todorov ci porta a cercare di comprendere in cosa consista la vera operazione esotizzante, capace di opporsi alla saturazione prodotta dalla società occidentale dei consumi. Possiamo affermare quindi che la maggior parte degli scrittori di viaggio ha frainteso o semplicemente non ricercato questo scopo, attuando un esotismo istintuale, tradizionale, soggettivo, finzionale sotto l’insegna dell’artisticità.

Nel suo celebre capitolo “Fine dei viaggi” Lévi-Strauss, avvilito dalla netta diminuzione della comunità degli Indiani d’America in Brasile, si interroga sulle responsabilità occidentali sui paesi extraeuropei:

Capisco allora la follia, l’inganno dei racconti di viaggio. Essi danno l’illusione di cose che non esistono più e che dovrebbero esistere ancora per farci sfuggire alla desolante certezza che 20.000 anni di storia sono andati perduti. Non c’è più nulla da fare: […] l’umanità di cristallizza nella monocultura, si prepara a produrre le città in massa, come la barbabietola. […] Un tempo si rischiava la vita nelle Indie o in America per conquistare beni che oggi sembrano illusori: legna da bruciare […]; tintura rossa o pepe che alla corte di Enrico IV era considerato a tal punto una ghiottoneria che usavano tenerlo nelle bomboniere […]. Quelle scosse visive e olfattive, quel gioioso calore per gli occhi, quel bruciore squisito per la lingua, aggiungevano un nuovo registro di gamma sensoriale di una civiltà che non si era ancora resa conto della sua scipitezza. Diremo allora che, per un doppio rovesciamento, i nostri moderni Marco Polo riportano da quelle stesse terre, questa volta sotto forma di fotografie, libri e resoconti, le spezie morali di cui la nostra società prova un acuto bisogno, sentendosi sommergere dalla noia?108

La forte critica è rivolta “(al)la passione, (al)la follia, (al)l’inganno dei racconti di viaggio. Essi danno l’illusione di cose che non esistono più”109; simile all’alterazione dei cibi con le spezie, la trascrizione dell’altro è una falsificazione, essa ricostruisce la

107 T. Todorov, Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana, Torino, Einaudi, 1991 (tit. orig. Nous et les autres. La rèflexion française sur la diversité humaine, Éditions du Seuil, 1989), p. 406

108 C. Lévi-Strauss, Tristi Tropici, Milano, trad. ita. Garufi Bianca, Il Saggiatore di Alberto Mondadori Editore, 1960 (ed. orig. Tristes Tropiques, Parigi, Librairie Plon, 1955), p. 36 cit. in L. Marfè, Oltre la

fine dei viaggi. I resoconti dell’altrove nella letteratura contemporanea, Gabinetto G.P. Vieusseux.

Centro romantico, Firenze, Leo S. Olschki, 2009, p. 17

deludente realtà dei luoghi visitati agghindandola con un passato stereotipato, avviene una manipolazione di convenzione per fare in modo che i “moderni condimenti”110 siano accettati:

[…]per quanto onesto possa essere il narratore egli non può più presentarceli sotto una forma autentica. Per metterci in condizione di poterli accettare è necessario, mediante una manipolazione che presso i più sinceri è soltanto inconscia, selezionare e setacciare i ricordi e sostituire il convenzionale al vissuto.111

C’è un’evidente necessità psicologica nell’occidentale che compie questa operazione, la necessità di colmare una scipitezza di fondo? Il ruolo dell’etnologo è quindi quello di comprendere le ragioni di questo consenso massivo 112, e soprattutto di “diffidare dei contrasti superficiali e del pittoresco apparente” 113. Lévi-Strauss si riconosce “viaggiatore, archeologo dello spazio, che invano tenta di ricostruire l’esotismo con l’aiuto di frammenti e rottami”114, la sua ricostruzione non può che guardare alla ricostruzione del passato ma imponendosi una solida ricerca nella realtà presente, allenando la sua sensibilità a distinguere tra le ombre e il vero. Egli “cerca di conoscere e di giudicare l’uomo da un punto di vista sufficientemente elevato e distaccato, per astrarlo dalle contingenze particolari a una data società o a una data civiltà”115 Questo è forse il vero straniamento:

Le condizioni di vita e di lavoro dell’etnografo lo staccano fisicamente dal suo gruppo per lunghi periodi; la brutalità dei cambiamenti ai quali si espone, produce in lui una specie di disancoramento cronico: mai più si sentirà a casa sua in nessun posto, rimarrà psicologicamente mutilato116.

Solo così ci si accorge della ricchezza delle differenze, solo così i dati dell’etnologia renderanno ancora possibile una ritrattazione identitaria. A questo punto, è importante chiarire che l’operazione esotizzante corretta non sia esclusiva della disciplina etnologica, infatti Lévi-Strauss afferma: “Si può scoprirla in noi anche senza che ci sia mai stata inculcata”117. Perlappunto Caminati non esita ad attribuire al nostro autore, Pier Paolo Pasolini, l’esercizio di quella che si può definire una ”etnografia sperimentale” nel momento in cui sperimenta appunto nuove tecniche visive e narrative

110 Ibidem, p. 37 111 Ibidem 112 Cfr. Ibidem 113 Ibidem, p. 126 114 Ibidem, p. 41 115 Ibidem, p. 53 116 Ibidem 117 Ibidem

nel Terzo Mondo118. Ma la sua capacità di porsi fuori dagli schemi sociali e le sue analisi razionali sono troppo altalenanti e magmatiche per costituire un’autorità nel settore, piuttosto se ne apprezzeranno le intuizioni.

Un intero capitolo119 dell’opera di Todorov si è dedicato alla soluzione dei seguenti quesiti: “Che cos’è? Come avviene e come usare l’esperienza esotica?”. Innanzitutto è necessaria una premessa perché l’approccio di questo autore è dichiaratamente in rottura con quello delle scienze umane e sociali, infatti rincorre un’eticità possibile solo nella forma del saggio morale e politico, grazie ad una costruzione dialogica e tra noi e gli altri, tra il generale e il particolare, tra il soggettivo e l’universale. Possiamo dire che l’autore preferisca la ricerca della verità piuttosto che la sua definizione 120 e proprio in questi termini imposta il suo discorso.

La problematizzazione dell’esotismo si dà già dalle prime battute: esso è relativo, perché valorizza un paese e una cultura definendoli esclusivamente attraverso il loro rapporto con l’osservatore. Nell’esotismo, ovvero nel preferire sempre il lontano, quindi una cosa solo perché è differente da me, è insita un’ambiguità121.

La conoscenza è incompatibile con l’esotismo, ma l’ignoranza, a sua volta, è inconciliabile con l’elogio degli altri; ebbene questo è precisamente ciò che l’esotismo vorrebbe essere, un elogio dell’ignoranza. Questo è il suo paradosso costitutivo. 122

Ma “un esotismo puro è altrettanto raro”123 perchè c’è sempre un’attrazione per alcuni contenuti rispetto ad altri e questi si dispongono di solito su assi di opposizione: semplicità-complessità, natura-arte, origine-progresso, selvaggio-civilizzato, ecc.124 L’ultimo asse, selvaggio-civilizzato, si riferisce all’“esotismo selvaggio (che) è una delle forme più caratteristiche dell’esotismo europeo, responsabile della figura del ‘buon selvaggio’ e delle sue molteplici trasformazioni”125. Questa valorizzazione del passato come momento armonico in contrasto alla caduta del presente e la decisione di

118 Cfr. L. Caminati, Orientalismo eretico. Pier Paolo Pasolini e il cinema del Terzo Mondo, Genova, Bruno Mondadori, 2007, p. 6

119 T. Todorov, Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana, Torino, Einaudi, 1991 (tit. orig. Nous et les autres. La rèflexion française sur la diversité humaine, Éditions du Seuil, 1989), p. 311-414 (PARTE QUARTA L’esotico)

120 T. Todorov, op. cit., pp. XI-XVIII (Prefazione dell’autore)

121 Cfr. Ibidem, pp. 311-312

122 Ibidem, p. 312

123 Ibidem, p. 313

124 Cfr. Ibidem

temporalizzare126 il presente delle culture primitive vedendole come il nostro passato sono entrambi frutti di un’operazione basata sui meccanismi dell’esotismo127. Questa tipologia di esotismo primitivista va superata, per esempio dialogando con l’esperienza di François-René de Chateaubriand, definito primo viaggiatore-scrittore specificatamente moderno128. Todorov sintetizza così il suo pensiero:

[…] una miglior conoscenza degli altri può permettere di migliorare se stessi. Ma non bisogna compiere un passo in più e mettersi a sognare […] uno Stato universale, che cancellerebbe le differenze nazionali: al contrario, queste differenze sono preziose e occorre preservarle129.

È necessaria una caduta delle illusioni come avviene a Chateaubriand quando, mettendosi in marcia per l’America alla ricerca dell’”uomo nello stato di natura” di Rousseau, non scopre che un mondo di incroci tra popolazioni e nessuna netta opposizione radicale. Egli concluderà dicendo che è assurdo venerare il passato semplicemente perché è passato e che i costumi primitivi non sono sempre buoni e, del resto, non sarebbero appropriati agli uomini d’oggi130. Anche Pasolini troverà ad opporsi al suo mito esotico sull’India di carattere estetico e neoprimitivista una barbarie che non riuscirà ad accettare a pieno. Ciò che è imprevisto è sempre troppo ingombrante per essere integrato con le proprie aspettative.

Per evitare che l’uomo europeo, attirato e sedotto dall’esperienza esotica, torni invariabilmente a casa senza mai mettere veramente in discussione la sua appartenenza e la sua identità131, all’inizio del XX secolo l’etnografo francese Segalen prova a ridefinire l’esperienza esotica132. In primo luogo l’operazione da compiere è il dissociare la nozione generale dai contenuti troppo particolari: scartare le associazioni automatiche, le illusioni quali l’esotismo spaziale, temporale, culturale, e sensazionale; non cedere a sinestesie e simbolismi, in modo tale da permettere di estendere all’infinito il campo dell’esotismo133. Dopo aver valorizzato le diversità, quindi l’ignoto, in quanto unico mezzo capace di assicurare l’intensità della sensazione, e considerando questa

126 Concetto riscontrabile in G. Benvenuti, Il viaggiatore come autore. L’India nella letteratura italiana

del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 183 “proiezione dell’asse temporale sull’asse spaziale e della

declinazione evoluzionistico-stadiale dello sviluppo umano” e p. 14 distanziamento spaziale ma anche temporale tra osservatore e oggetto

127 Cfr. T. Todorov, op. cit., pp. 313-315

128 Cfr. Ibidem, p. 332

129 Ibidem, p. 332

130 Cfr. Ibidem, pp. 333-336

131 Cfr. Ibidem, p. 372 Come nei libri Le Mariage de Loti e Madame Chrysanthème di Pierre Loti

132 Cfr. Ibidem, p. 378

sensazione come l’unica possibilità di esperire il diverso. Divenuti consapevoli che la sensazione estetica è “principio estetico della nostra conoscenza del mondo”, “consapevoli che la nostra (conoscenza) non è più vera ma nemmeno meno vera di quella di nessun’altro”, solo a questo punto la si può elevare a fenomeno universale in quanto “legge impersonale che governa il comportamento umano”134 135. Per comprendere meglio riportiamo l’esempio dell’esperienza esotica del bambino di Segalen :

L’esperienza esotica è concessa di primo acchito a tutti e, al tempo stesso, essa sfugge alla maggior parte degli individui. La vita del bambino comincia con una differenziazione progressiva del soggetto e dell’oggetto; di conseguenza, il mondo intero, all’inizio, gli sembra esotico. “L’esotismo, per lui, nasce insieme al mondo esteriore. […] è esotico tutto ciò che il bambino vuole” (p.45). Tuttavia, ma mano che egli cresce, la sensazione di esotismo si attenua e l’adulto impara a considerare autonoma l’esistenza del mondo attorno a lui. Ogni nuovo oggetto può puntualmente provocare la sua sorpresa, ma egli ha acquisito ormai l’abitudine di assimilare il nuovo al conosciuto; la sorpresa viene presto assorbita “dall’adattamento all’ambiente” (p.21). Si sviluppa persino una carenza particolare, quell’incapacità di percepire la novità, che si chiama dèjà-vu136.

Tutti quindi possiamo sperimentare l’esotismo:

[…] è necessario bloccare l’abituale processo di assimilazione (dell’altro) e di adattamento (di sé) e mantenere questo oggetto come differente dal soggetto, preservando la preziosa alterità dell’altro. […] Colui che sa praticare l’esotismo, che sa cioè godere della differenza tra se stesso e l’oggetto della sua percezione, viene chiamato l’esota; è colui che “gusta tutto il sapore del diverso”(p.29)137

A volte una condizione necessaria per questa esperienza è la solitudine, infatti condividendo la stessa esperienza con qualcun altro si rischia di avvicinarsi all’oggetto. Ma è negato anche l’inverso: l’immersione totale in una cultura straniera138. Sono infatti due le fasi dell’esperienza esotica: l’”impregnarsi”139, fase in cui l’oggetto è identico al soggetto, o meglio alla frazione del soggetto che partecipa all’esperienza; e il “tirarsi fuori”140 in cui il soggetto scopre una differenza irriducibile con l’oggetto141. Riassumendo:

“Il soggetto aderisce e si confonde, per un momento, con una delle parti dell’oggetto, e il diverso esplode tra lui e l’altra parte. Altrimenti, non c’è esotismo” (p.59). i due movimenti, ciò è essenziale, sono indispensabili: senza identificazione si ignora l’altro; senza l’esplosione della differenza, si perde se stessi. Lo studioso, che analizza l’oggetto senza proiettarsi su di esso, perde la prima parte del

134 Ibidem, p. 383

135 Cfr. Ibidem, pp. 381-383

136 Ibidem, pp. 383-384 Lévi-Strauss cita Segalen nei virgolettati

137 Ibidem, p. 384 Lévi-Strauss cita Segalen nei virgolettati

138 Cfr. Ibidem, p. 385

139 Ibidem, p. 385

140 Ibidem

processo; l’inamorato, che si fonde con l’altro, manca la seconda; bisogna essere esota per poterle conciliare tutte e due.142

Quindi, in accordo con Segalen, il viaggiatore-esota a differenza degli esotisti impuri e artisticamente straniati deve coltivare la sola alternanza tra distanziamento e identificazione.

Per concludere non si possono non nominare alcuni dei tipi di viaggiatore classificati da Todorov, non in base a cosa pensano degli altri (per cui sarebbero relativisti, universalisti, razzisti, nazionalisti, primitivisti o esotisti) ma in base a come vivono gli

altri, proprio in base alle “forme di interazione alle quali partecipano con gli altri nel

corso del loro viaggio”143144. Ci si può per esempio rispecchiare nel turista, descritto come un “visitatore frettoloso”145, emblematico è il suo uso dell’apparecchio fotografico, perché gli permette di collezionare oggetti e monumenti per lui più interessanti degli esseri umani. La sua identità non è messa in discussione, ma a sua discolpa possiamo dire che il primo contatto con un paese straniero è necessariamente superficiale146. L’impressionista invece è più interessato del turista all’aspetto umano e a trascrivere la sua esperienza, ma resta comunque il solo soggetto dell’esperienza. È motivato dalla ricerca di sensazioni che non riesce più a sentire a casa sua e dalla ricerca di una corrispondenza con se stesso. La sua esperienza consiste nell’osservazione, nel collezionare impressioni soggettive e individualiste infatti l’interesse è limitato alle cose che rientrano nel suo progetto. Egli rischia che l’immagine degli altri risulti superficiale, se non francamente erronea147. Questa tipologia sembra essere la più vicina a Pasolini che vede l’India per la prima volta e sulla quale deve scrivere un resoconto per “Il Giorno”, ma è in realtà in fuga e alla ricerca di qualcosa immergendosi nella registrazione di impressioni di cui è sempre e comunque l’unico soggetto. Tralasceremo l’esota perché è stato già ampliamente trattato. L’esule è invece la figura dello “straniero ovunque”148 che predilige la condizione di estraneità verso l’ambiente in cui si trova e ne ricava un senso di libertà, per lui questo “è il mezzo per star bene in ogni

142 Ibidem, Lévi-Strauss cita Segalen nel virgolettato

143 Ibidem, p. 400 144 Cfr. Ibidem 145 Ibidem, p. 402 146 Cfr. Ibidem, pp. 402-403 147 Cfr. Ibidem, pp. 403-404 148 Ibidem, p. 407

luogo e per non essere sottomesso in nessun posto”149. Luoghi come le grandi città possono riprodurre questo senso di estraneità come per esempio la sensazione di passeggiare tra sconosciuti150. L’allegorista invece parla di un popolo in realtà per discutere della propria cultura, egli gioca su un piano simbolico e non più materiale. Vi rientrano i “terzomondisti sfegatati (che) proiettano il loro sogno su paesi poco conosciuti e rovesciano gli aspetti della società che osservano intorno a sé; così facendo praticano una forma rinnovata di allegorismo primitivista”151152. Anche in questo caso si potrebbe chiamare in causa Pier Paolo Pasolini con la sua tendenza alla proiezione di miti e di culture premoderne. Infine c’è il filosofo che si muove in due prospettive: osserva le differenze e scopre le proprietà che gli permettono di apprendere e giudicare. Egli è universalista, ma non etnocentrista, gli interessa formulare giudizi lasciando agli altri il compito di agire153.

La colonizzazione non è altro che la messa in azione del pensiero imperialista occidentale, Todorov ne è consapevole. A tal riguardo vorremmo citare un passo della sua prefazione, anche per introdurre il tema del capitolo successivo:

Le idee da sole non fanno la storia, agiscono anche le forze sociali ed economiche; ma le idee non sono un effetto meramente passivo. Anzitutto rendono possibili le azioni; poi permettono di farle accettare: si tratta, dopotutto, di azioni decisive154.

149Ibidem, p. 407 cit. in Lettres ècrites de Russie, p. 68

150 Cfr. Ibidem, pp. 406-407

151 Ibidem, p. 408

152 Cfr. Ibidem, pp. 407-408

153 Cfr. Ibidem, pp. 409-411