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L’etica della neuroetica.

CAPITOLO VI: Neuroetica e teoria sociale.

6.2 L’etica della neuroetica.

Prima di inoltrarci in questo sentiero urge fare la doverosa (seppur per qualcuno banale) distinzione tra etica e morale. Un’inveterata clausola culturale vedrebbe la morale come relativa e l’etica come universale, ed ancora: la prima descrittiva, la seconda prescrittiva.

La morale “comune” dunque, potrà anche essere posta in forma di enunciati, se non proprio di dottrina sistematica, ma non diviene mai un’etica filosofica poiché le manca quella riflessione spassionata così come l’indagine ravvicinata propria di una ricerca scientifica. Quindi, o

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rimane una mera enunciazione di buoni propositi o acquisisce il ruolo ancillare di ipostasi dello stato di cose presenti, divenendo simile ad un rivestimento con valore normativo o di un vero e proprio camuffamento di interessi particolari vestiti di pretesa universalità in un disegno pienamente ideologico. Questo è quello che si intende con il termine “moralismo”.

Se vogliamo cercare di distinguere un’etica della scienza da una morale della scienza, vedremo che le loro differenze sono riconducibili rispettivamente, ad un maggiore accento posto sulle sfide delle innovazioni prodotte dai nuovi traguardi della scienza agli stessi fondamenti dell’etica, ovvero sulla riflessione etica che la scienza stessa propone, oltre ad un maggiore accento posto sul confronto fra una morale, assunta a priori, ed una scienza in divenire, e quindi in definitiva, su un esame della morale imposta alla scienza.

È ormai indubbio come debba aprirsi una nuova linea d’indagine all’interno dell’etica filosofica a partire da nuove scienze, quali sono appunto le neuroscienze. Sembra quindi che lo sviluppo della neuroetica vada letto ed interpretato, ancor meglio se inteso, come sviluppo della

neuroscienza dell’etica. Questo campo d’indagine diviene un doppio

ponte tra due mondi:

“quello che va dai recessi più intimi del corpo biologico all’involucro esterno di scelte interessate e comportamenti socialmente interessanti, e quello che va dagli stimoli

del vivere praticamente socializzato alle motivazioni profonde, ai valori ed alle conoscenze soprattutto tacite fondanti dell’agire sociale”.51

Questo aspetto ad oggi è deplorabilmente poco investigato, comprensibile effettivamente data la complessità di temi trattati, oltre il coinvolgimento di bisogni, interessi, diritti e responsabilità legati ad un soggetto il cui divenire costituisce anche il sostrato materiale di partenza, ma che conduce la propria esperienza di vita all’interno di un campo che è

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A. Cerroni, Neuroetica e teoria sociale: oltre il soffitto di cristallo della nostra immaginazione, Neuroetica tra Neuroscienze Etica e Società, Utet, 2009, p. 104.

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sia socialmente strutturato secondo logiche che lo precedono, sia individualmente strutturante, in quanto funge da matrice di abitudini e credenze sulla quali con grande sforzo elabora i suoi punti di vista personali e le sue idee più originali.

Continuando sulla linea di pensiero del professor Cerroni:

“A livello neuroetico, insomma, come non c’è alcun pensiero fuori da un corpo (umano) e non v’è alcun corpo (propriamente umano) che non abbia pensieri, sembra che non vi sia alcun agire senza pensieri né alcun pensare senza azioni, nessun patire senza credenze né credere senza passioni, pensare senza credere né

agire senza patire. La neuroetica, dunque, è più esattamente la neuroscienza di comportamenti e ragionamenti socialmente rilevanti, dell’agire e del patire, del provare emozioni e dell’esprimere sentimenti, del presumere e del desumere,

dell’avere conoscenze ed interessi quando ciò entra a far parte dell’orizzonte esperienziale e responsabilizzante di altri: dunque dell’interezza di mente e corpo, di

individuo e società, dell’unità costituente della nostra esperienza storica”.52 In-dividuus e a-thomos sono i termini corrispondenti nel latino e nel

greco per “indivisibile”. Il termine <<individuo>> è applicato solo nel caso biologico (e per antonomasia a proposito di esseri umani), mentre il termine <<atomo>> è usato solo nel caso atomico. Oltre a ciò, vi è una curiosa somiglianza fra lo stato dell’individuo di fronte alle neuroscienze all’inizio del XXI secolo e lo stato dell’atomo di fronte alla fisica alla metà del secolo scorso.

L’indivisibilità dell’essere umano era un presupposto per la separazione delle sue manifestazioni cognitive (pensieri della mente), emotive (moti dell’anima), e comportamentali (azioni del corpo), ecco il nascere della famosa <<triade dell’azione>> dell’individualismo metodologico: credenze, desideri ed azioni. Tale teoria sostiene che, solo se c’è un’unità che pensa e che agisce rimanendo identica a sé nel corso del tempo, le due sfere possono essere distinte senza venir dissipate nella pluralità dei pensieri e delle azioni che si susseguono. Servendoci della terapia psico-

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analitica abbiamo scoperto che non esiste una mente identitaria meramente computazionale, né vuota, né tale da poter essere completamente riempita dall’esperienza : se la si apre sorge un mondo ben più vasto del cervello, un mondo per altro costantemente in fieri. La notevole variabilità dei singoli sistemi nervosi viene così descritta da Edelman:

“Individui diversi hanno influenze genetiche diverse, sequenze epigenetiche diverse, risposte corporee diverse e storie diverse in ambienti mutevoli. Il risultato è un’enorme variazione all’interno della chimica neuronale, della struttura della rete,

della forza delle sinapsi, delle proprietà temporali, delle memorie e degli schemi motivazionali governati dai sistemi di valore. Da ultimo, il flusso di coscienza di una

persona differisce in maniera evidente per il contenuto e lo stile da quello di ogni altra persona”.53

(Edelman, 2004, p.28)

Nella mente esistono memorie ed aspettative, pensieri astratti consapevoli – come le idee – e pensieri pragmatici inconsapevoli – come le credenze -. Se queste ultime sono costituite dal vivere pratico, dunque socializzato, degli individui, le idee sono elaborate da comunità più o meno istituzionalizzate che ambiscono a farsi strutturanti dell’assetto sociale del mondo. In mezzo a credenze ed idee, vi è un continuum di pensieri-di e sensazioni-di, razionalità ed emotività, distacco consapevole e coinvolgimento inconsapevole.

Si va da quel che chiamiamo “individuo” a quel che chiamiamo “società” e, da qui, a quel che chiamiamo mondo, o alle nostre rappresentazioni di ciascuno di questi che chiamiamo conoscenza. Ed il tutto in un’interazione dinamica costante, senza nessi lineari di causa-effetto, né sequenze temporali di prima-dopo.

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G. M. Edelman, Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, Einaudi, Torino, 2004, p.28.

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