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La sindrome del panda e del dragone

1.2. L’identità patriottica cinese è anti-giapponese?

Il processo di alterizzazione del Giappone quale “Altro” in contrasto al quale tracciare il perimetro dell’identità cinese sulla base della sindrome “victor-victim” è esemplificato dai lavori di ristrutturazione del Museo Nazionale di Pechino che ha riaperto al pubblico nel 2011. Il museo in questione costituisce attualmente una delle più importanti basi di educazione patriottica, il cui obiettivo è infondere nei cinesi un sentimento di fierezza nazionale che poggia sulla glorificazione delle gesta del PCC e sulla vittimizzazione della Cina per opera delle stragi compiute dall’esercito giapponese tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso. Il museo, come molti altri siti commemorativi della RPC, è oggetto di un rigido controllo del Ministero della Cultura, della Propaganda e dell’Educazione, di modo che esso

dipenda direttamente dalle direttive del governo centrale a differenza di altri siti culturali che sono affidati alle amministrazioni locali. La struttura del museo si articola in tre sezioni, in ciascuna delle quali è esposta in primo piano la presenza distruttrice del Giappone nella storia cinese. Ad esempio, la prima sezione è intitolata “La Cina ridotta a una condizione semi-coloniale e semi-feudale” evidenzia le sofferenze a cui i cinesi sono stati esposti tra la seconda metà del XIX secolo e i primi anni del XX secolo; qui l’imperialismo è descritto come un fenomeno europeo e un’attenzione particolare è posta sulle sopraffazioni legate al commercio dell’oppio e all’omonima Guerra dell’Oppio.171 Le ingiustizie causate in Cina dalla presenza occidentale sono ampiamente documentate da ricche esposizioni fotografiche e da monumenti commemorativi come la statua intitolata “L’indigenza della nazione cinese”. Nonostante il periodo storico della prima sezione si focalizzi sulla presenza delle Potenze europee in Cina, un ruolo di primo piano è riservato, tuttavia, alle sofferenze causate dai soldati giapponesi, come evidenziato da una tela dalle dimensioni preponderanti rispetto alle altre dedicata al massacro di Lüshun, nel contesto della prima guerra sinogiapponese. Nella tela si insiste in particolare sul coinvolgimento emotivo dello spettatore, il quale è chiamato a concentrarsi sull’atto di un gruppo di soldati giapponesi che sferra un brutale attacco contro alcuni civili cinesi; la rappresentazione pone in primo piano il volto di un uomo deturpato dalle violenze perpetrate dai giapponesi e tre ulteriori soggetti, un bambino, un’anziana e una giovane donna rannicchiati ai piedi di un soldato giapponese che punta la canna del proprio fucile contro i tre corpi disarmati, mettendo in evidenza da un lato la natura disumana delle azioni dell’esercito giapponese e dall’altro l’innocenza del popolo cinese. La seconda sezione è dedicata alla rappresentazione della “Cina in cerca di una via per salvare se stessa”,172 la quale raffigura “personaggi feudali” che attuano molteplici riforme le quali, ciononostante, risultano poco adeguate e del tutto fallimentari nel tentativo di risollevare economicamente il Paese. Anche nella seconda sezione della mostra è assegnato un ruolo importante al Giappone, insistendo sulla natura umiliante delle celebri “Ventuno Domande del 1915” avanzate da Tokyo con cui il governo giapponese tentava di fatto di privare la Cina della propria sovranità territoriale, consegnando tale diritto alle autorità giapponesi. La seconda ala evidenzia, inoltre, come il Trattato di Versailles del 1919, con la cessione dei privilegi tedeschi nello Shandong al governo di Tokyo, conduca alla nascita del movimento del 4 Maggio e costituisca altresì un momento cruciale per il realizzarsi di quell’ “avvenimento                                                                                                                

171 Vickers E., “Dépasser la victimisation”, in Visions chinoises du Japon. Récits d’une

relation mouvementeé, Perspectives Chinoises, No. 2013/4, p. 23

storico” che è stato la fondazione del PCC.173 Al termine della seconda sezione si sviluppa infine la terza ala del museo, dedicata alla storia moderna e in modo particolare all’esaltazione del gravoso compito del PCC di salvare l’intera nazione cinese.174 Stando al contenuto delle targhe descrittive poste al di sotto delle tele, questa terza sezione descrive il modo in cui il PCC abbia “accettato il fardello storico di riconquistare l’indipendenza del Paese e di liberare il suo popolo”.175 Pur essendo presenti riferimenti alla guerra civile tra comunisti e i nazionalisti di Chiang, la questione non è trattata in maniera approfondita, lasciando ampio spazio alla descrizione dell’“antagonista esterno” e ponendo, dunque, un accento significativo più sulla collaborazione tra comunisti e nazionalisti per liberare il Paese dalle forze nipponiche che non sul processo di lotta di classe in Cina. Se anche prima della ristrutturazione iniziata nel 2003 e conclusasi nel 2011 la terza sezione era dedicata alla guerra di resistenza, dopo i lavori di rinnovamento un nuovo elemento nel contesto della resistenza contro i giapponesi fa la sua comparsa, vale a dire l’insistenza sulla ferocia dei giapponesi in quanto nazione e non solo sulle truppe militari giapponesi. Edward Vikers osserva che due delle immagini poste nella terza ala del museo lasciano cadere la tradizionale distinzione operata dalla propaganda di Partito tra la responsabilità delle forze militari giapponesi per le atrocità commesse in Cina e il popolo giapponese, che al contrario non sarebbe stato coinvolto volontariamente nel processo di umiliazione di Pechino.176 Nello specifico, nella terza sezione trova la sua collocazione una fotografia che ritrae il Primo ministro giapponese Tanaka Giichi in occasione della Conferenza Internazionale sull’Estremo Oriente del 1927, associandola al tema della politica di aggressione della Cina intrapresa dal Giappone (e non semplicemente dall’esercito giapponese) all’indomani del primo conflitto mondiale. La fotografia del Primo Ministro Tanaka è affiancata, inoltre, a una tela che ritrae l’incidente di Mukden del 1931, confortando la tesi che legherebbe le autorità giapponesi -e più in generale la società giapponese- al sistematico processo di invasione della Cina perpetrato dal Giappone a partire dagli anni ’30 del secolo scorso. L’inaugurazione del 2011 introduce altresì tre nuove opere destinate alla terza sezione del museo, intitolate rispettivamente “La Grande Muraglia di carne e di sangue”, “Tagliare la testa del diavolo con una spada” e “Ore nove del mattino, settembre 1945”. Se della prima opera in pietra che raffigura il popolo cinese nell’atto di resistere contro l’immaginario nemico giapponese si è parlato nel primo                                                                                                                

173 Ibid. 174 Ibid. 175 Ibid. 176 Ivi, p. 25

capitolo, di particolare interesse risulta la seconda opera, che mette in luce gli sforzi compiuti dal KTM di Chiang Kai-shek in collaborazione con i comunisti per resistere all’occupazione giapponese; l’opera riesce in tal modo a sottolineare l’unità delle forze cinesi nel combattere contro il nemico esterno. Entrambi i lavori esaltano il concetto di vittoria e orgoglio nazionale per il coraggio dimostrato dai cinesi nella lotta contro gli oppressori; questo sentimento di orgoglio raggiunge il climax nella terza opera, “Ore nove del mattino, settembre 1945”, una tela in cui sono raffigurati dei generali giapponesi che, in segno di resa, s’inginocchiano dinanzi a un gruppo di soldati e di civili cinesi, che con solenne dignità accolgono la propria vittoria. Nella terza ala, tuttavia, colpisce l’assenza di un qualunque riferimento al Giappone nel contesto delle riforme economiche attuate in Cina al volgere degli anni ’70 dal presidente Deng, che come riconobbe lui stesso sono state in gran parte elaborate sulla base del modello giapponese. Quello che emerge dal Museo Nazionale, in definitiva, è la narrazione di una storia che tende a costruire un’identità bipolare della nazione cinese: coraggiosa, tenace e trionfante da un lato, umiliata, sacrificata e soggiogata dall’altro. Narrare la storia significa, dunque, tramandare il passato e costruire nel presente l’identità di un popolo rispetto ad un “Altro”, con delle importanti implicazioni per il futuro. La particolarità della dipendenza dell’identità cinese dal sentimento di orgoglio e di umiliazione è posta nella riproduzione di questo sentimento nella vita quotidiana, dalle fiction patriottiche ai videogiochi antigiapponesi che attraggono milioni di bambini e adolescenti cinesi, riproducendo in tal modo la sindrome della memoria storica nella regolare quotidianità.

Ha sollevato aspre critiche nella RPC, ad esempio, il rilascio nel 2005 di un videogioco incentrato sulla resistenza cinese contro le forze giapponesi. Il gioco informatico, dal titolo “Anti-Japan War Online”, è stato realizzato dalla PowerNet Technology, un’azienda produttrice di videogiochi in rete, in collaborazione con la Lega della gioventù comunista cinese (LGC), la più importante istituzione politica per la gioventù nella RPC. Il gioco online è incentrato sullo scontro tra le forze armate giapponesi e i soldati cinesi durante il secondo conflitto mondiale, consentendo agli utenti di simulare determinate battaglie ma di poter essere schierati solo dalla parte cinese. “Il videogioco consentirà ai giocatori di apprendere dalla storia”,177 ha osservato uno dei manager della società che ha sviluppato il videogame. “I giovani giocatori matureranno un sentimento patriottico nel momento in cui si troveranno a combattere contro gli invasori per difendere la                                                                                                                

177 L’articolo è disponibile nell’archivio internet dell’agenzia nazionale cinese “Nuova

Cina”, ‘Anti-Japan War Onlin’" game to hit the market,

propria madrepatria”.178 Quello che emerge dalle parole del dottor Liu Junfeng, Project Manager della PowerNet, è l’accostamento del gioco dal violento contenuto in chiave antigiapponese al concetto di “patriottismo cinese”. La tendenza sembra essere confermata dalle dichiarazioni rilasciate dalla Lega della Gioventù, la quale ha affermato che “sono pochi sul mercato cinese i videogiochi che generano uno spirito nazionale e che al contempo educano gli utenti più giovani”, ritenendo il videogioco in questione un “gioco patriottico”.179 Stando alle parole di Chen Xiao, addetto allo sviluppo dei rapporti tra la Lega della Gioventù e le imprese produttrici di videogiochi, “L’'Anti-Japan War Online è un gioco in rete che è al contempo altamente interessante e istruttivo, e pertanto ha la capacità di attrarre gli utenti più giovani”.180 E’ significativo, tuttavia, che i giocatori in rete non abbiano la possibilità di scegliere da quale parte schierarsi, portando gli utenti a maturare in maniera naturale un forte senso di empatia nei confronti della causa nazionale e di ostilità, al contrario, nei confronti dell’esercito giapponese. L’attività del videogioco in rete costituisce attualmente nella RPC uno dei più promettenti settori del business in rete, calcolando che la Cina vanta poco meno di cinquecento milioni di internauti, di cui due terzi dichiarano di giocare online.181 Il giocatore cinese medio è piuttosto giovane, con un’età compresa tra i diciotto e i trent’anni e con un buon livello di istruzione scolastica. Pertanto, la distribuzione di massa di videogiochi patriottici contiene in sé un enorme potenziale di influenza sulla percezione che i cinesi hanno di se stessi e dei vicini giapponesi.

A ben guardare, uno dei principali effetti della commercializzazione di videogiochi patriottici del genere è dunque di mantenere viva la questione della memoria storica, formando sociologicamente nuove generazioni la cui identità è costruita in parte sulla storica lotta della popolazione cinese contro gli invasori giapponesi, intrecciando un misto di orgoglio per la capacità di resistere agli aggressori e di umiliazione per le sofferenze maturate dalla propria nazione. Un fenomeno simile a quello dei giochi patriottici in rete è costituito dalle serie televisive cinesi dal sapore apertamente antigiapponese. Stando all’articolo pubblicato sul “The Economic Observer” nella prima metà del 2013, il palinsesto delle reti televisive cinesi investe consistenti risorse nello sviluppo di fiction a sfondo storico, generalmente ambientate nella seconda guerra sinogiapponese. E’                                                                                                                

178 Ibid. 179 Ibid. 180 Ibid.

181 I dati sono disponibili al seguente articolo pubblicato sul sito del quotidiano “People’s

Daily”, China's online game industry on a roll,

stato stimato che più della metà delle serie televisive approvate dalle autorità cinesi nel 2012 siano sceneggiati d’ambientazione storica, la quasi totalità dei quali ha a che fare con le battaglie antigiapponesi e più in generale con il problema della memoria storica. Uno degli aspetti più problematici delle fiction patriottiche è che queste sono pensate per l’intrattenimento di massa, essendo trasmesse in prima serata per essere seguite da milioni di telespettatori cinesi. Difatti si tratta di serie altamente redditizie per i rispettivi produttori, con un ritorno che nel caso del telefilm di successo “Indelible Designation” si aggira intorno al 300% rispetto all’investimento di partenza.182 Come la maggior parte delle serie antigiapponesi, “Indelible Designation” è stata fortemente criticata a livello nazionale per instillare un forte sentimento antigiapponese nel pubblico cinese. A differenza dei personaggi cinesi, che sono ampiamente caratterizzati e che includono eroi nazionali diffusamente esaltati, i personaggi giapponesi sono presentati “come degli idioti”, stando alle parole di Liu Chun, e molto spesso disumanizzati.183 Al centro delle critiche emerge la componente psicologica su cui le fiction patriottiche fanno leva; in concreto, i principali elementi che caratterizzano questi telefilm sono l’eccesso di arti marziali, gli abusi sessuali perpetrati dai soldati giapponesi sulle donne cinesi e la natura cruenta delle scene di combattimento tra i soldati giapponesi e le forze cinesi. Difatti, la maggior parte di questi sceneggiati fa ricorso prevalentemente a scene d’azione che prediligono spargimenti di sangue e scene in cui i soldati giapponesi sono uccisi in maniera relativamente semplice, al punto che numerosi telespettatori, inclusi i veterani di guerra, commentano sarcasticamente le scene dei telefilm dichiarando che “sono caduti sul campo di battaglia più soldati giapponesi in una sola puntata di una fiction che in tutto l’arco della seconda guerra sinogiapponese”. Lo stesso “Global Times”, una delle principali testate giornalistiche nella RPC e notoriamente vicino agli orientamenti di governo, ha criticato l’invasione delle fiction antigiapponesi cui sia le reti nazionali sia le reti locali sono attualmente soggette. “Si tratta di telefilm dalle trame contorte e inverosimili, dove l’unico filo conduttore è l’eccesso di violenza fino a superare il limite del buonsenso”.184 Una delle principali critiche rivolte agli sceneggiati patriottici è il rischio di banalizzare la storia in sé e i fatti storici trattati,                                                                                                                

182 Si veda l’articolo “Why Are TV Shows About the War Against Japan So Popular in

China?” pubblicato da Hao Jian sulla versione inglese del settimanale cinese The Economic

Observer al seguente indirizzo: http://www.eeo.com.cn/ens/2013/0329/241916.shtml

183 Intervista a Liu Chun, ex-direttore esecutivo del canale cinese Phoenix Television,

http://www.eeo.com.cn/ens/2013/0329/241916.shtml

184 Lu Qianwen, “History twist & shout makeover”, l’articolo è disponibile al seguente

indirizzo della versione digitale del quotidiano “Global Times”: http://www.globaltimes.cn/content/791851.shtml

privilegiando copioni orientati ad appassionare lo spettatore o colpirne l’attenzione semplicemente facendo largo uso di violenza. L’autore dell’articolo apparso sul “Global Times” osserva inoltre che questa forma di serie televisive fa leva sulla perversa curiosità degli spettatori e sui relativi meccanismi psicologici che scene di violenza o di abusi sessuali suscitano negli spettatori, incrementando gli indici di ascolto e la popolarità dello sceneggiato stesso. La notorietà delle fiction patriottiche non è dovuta a una mera propaganda di Stato, ma al contrario risponde a logiche di mercato che tengono conto del gradimento e dei gusti del pubblico. Ciononostante, le implicazioni sociali e politiche degli sceneggiati antigiapponesi sono notevoli: se da un lato essi infondono nei cinesi un’idea di fierezza nazionale, dall’altro è innegabile che restituiscono l’immagine di un esercito giapponese, e più in generale di un popolo cui sono attribuite intenzioni e qualità morali riprovevoli, riproducendo in tal modo la sindrome “victor-victim” della nazione cinese e il problema della memoria storica. E’ in un simile contesto di costruzione identitaria, sulla base del processo di vittimizzazione, che vanno lette le imponenti manifestazioni antigiapponesi che hanno avuto luogo nella RPC tra il 2005 e il 2012 e che saranno oggetto d’analisi delle sezioni successive.