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L’immobilismo politico e il carcere degli anni Cinquanta

Dopo la legislatura nata con le elezioni del 1948 l’Italia aveva vissuto una fase profonda di instabilità delle maggioranze di Governo che avevano visto via via l’esclusione della sinistra. Una instabilità che avrebbe comunque caratterizzato il Paese fino agli anni Novanta e che, anzi, riletta a distanza di anni, non avrebbe rappresentato, con i suoi tre governi in un’unica legislatura, neanche la situazione più ballerina. I tre governi, tutti a guida De Gasperi, avevano visto continuità totale al dicastero degli interni con Mario Scelba, mentre alla Giustizia si succedettero Giuseppe Grassi, Attilio Piccioni e Adone Zoli.

All’inizio del 1952 la DC propose una nuova legge elettorale con l’obiettivo di evitare che la nuova legislatura potesse vivere delle stesse oscillazioni. La nuova legge, passata alla storia come la «legge truffa», prevedeva nel caso in cui una coalizione di partiti avesse ottenuto in totale almeno il 50% dei voti che questa avrebbe automaticamente ricevuto i due terzi dei seggi alla Camera dei Deputati . La legge, 317

come si evince anche dal nome con cui si è affermata nella storia d’Italia, ricevette durissime critiche e “sapeva in modo così evidente di broglio elettorale” viste anche 318

le sue somiglianze alla legge Acerbo che nel 1923 entrò in vigore all’inizio del Ventennio fascista. Ma la «legge truffa» (abrogata nel 1954) non fu sufficiente alla conquista del Parlamento da parte della DC che aveva scelto come alleati i partiti di centro, con i liberali, repubblicani e i socialdemocratici. Fu lo 0,15% a far perdere alla coalizione la possibilità di occupare i due terzi della Camera dei Deputati. A crescere nel Paese erano state le forze di destra, l’MSI (dal 2 al 5,8%) e i monarchici (dal 2,8 al 6,9%). Ma anche i comunisti (22,6%) e i socialisti (12,7%), aumentarono le preferenze, mentre la DC perse poco più dell’8% dei voti.

P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, cit., p. 188 e ss.

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Ivi, p. 189

Il carcere negli anni ’50 non era cambiato di molto rispetto a quello dell’immediato dopoguerra. Non erano intervenute riforme, così come per tutti gli altri ambiti statali. Si restava nel solco della continuità istituzionale che era favorita anche dalla Guerra Fredda che imponeva la conservazione. Come si è visto nel precedente paragrafo lo Stato e, in modo particolare quello che qui più interessa, l’intero assetto della penalità, non aveva conosciuto una profonda epurazione dopo il fascismo come abbiamo visto. Anzi, a carcere, magistratura e forze di polizia venne accordato il compito di permettere una transizione pacifica alla democrazia. Questo significò che questi apparati furono chiamati a svolgere una “funzione di contenimento e di controllo dell’opposizione politica e sociale organizzata” per mezzo degli strumenti che la legge gli metteva a 319

disposizione tra i quali il più usato fu sicuramente il carcere preventivo.

Questa impermeabilità dell’istituzione penitenziaria, richiamata da tutti i maggiori studiosi della materia, si sostanziava nella assenza totale di prospettive di riforma in tutti i campi dell’esecuzione penale. Non solo non vi era l’intenzione di mettere mano all’intero ordinamento penitenziario, ma neanche a questioni più circoscritte (ma non per questo più semplici da gestire), come l’edilizia penitenziaria, che rappresentava invero un problema enorme divenendo causa di tremende situazioni igienico sanitarie nonché dell’affollamento degli istituti. Nessun intervento andò a toccare la questione della sanità in carcere, né - come si è visto - degli agenti di custodia . 320

Nell’assenza di un’attuazione legislativa del dettato costituzionale che voleva, al terzo comma dell’articolo 27, che le pene tendessero alla rieducazione del condannato, la funzione della sanzione penale continuava a essere puramente retributiva. La mancanza della volontà politica di porre mano alla questione era essa stessa l’espressione di un’idea del penale molto chiara, così come il dato tecnico dell’intervento strutturale del dopoguerra che aveva visto la costruzione di nuovi istituti

C. G. De Vito, Camosci e girachiavi, cit., p. 28

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Ivi, p. 30

penali aveva rappresentato un atto politico . La restaurazione si era compiuta, nel 321 322

1952 quasi tutti gli istituti erano stati sistemati anche quelli distrutti dalle rivolte, come il milanese San Vittore cui fu conferita la famigerata forma panottica e nel quale vennero introdotte migliorie per la vigilanza . 323

Oltre alle riforme, l’altro grande assente in quegli anni fu il pensiero attorno al carcere. Quel poco di riflessione sull’esecuzione penale che vi fu, di nuovo, non andò a mettere in discussione nessuna delle fondamenta su cui il potere punitivo si basava e nessuna delle sue espressioni o finalità dichiarate. Lo sforzo politico di quanti si interessarono al tema fu interamente volto a ottenere il miglioramento delle condizioni di detenzione, in ogni caso una questione importante per quanti si trovavano ristretti negli anni Cinquanta, ma un atteggiamento che non metteva in discussione minimamente l’istituzione e che anzi ne legittimava l’esistenza.

Con il dicastero di Adone Zoli nel settimo governo De Gasperi sostenuto dalla DC in coalizione con i soli repubblicani, nel 1951 il Ministero di Grazia e Giustizia riconobbe che il Regolamento che normava l’ordinamento penitenziario dal 1931 conteneva «disposizioni che non sembrano più rispondenti alle moderne esigenze penitenziarie». Questa era l’apertura della circolare n. 4014/2473 del 1951. In questa circolare il guardasigilli Zoli fece sue alcune delle proposte della commissione parlamentare. Il contenuto della circolare fu giudicato vent’anni dopo da Guido Neppi Modona coma la “prima svolta innovativa del dopoguerra e la punta più avanzata e permissiva fino agli anni Settanta” in materia penitenziaria. Venne chiesto ai direttori 324

di ridurre il ricorso all’isolamento diurno e di impostare su un piano di dialogo l’accoglienza e l’incontro di persone esterne all’interno dell’istituto. I detenuti dovevano essere chiamati per nome e per cognome e ora anche le donne avrebbero potuto fumare.

Treviso, Ragusa, Messina e l’istituto per i minorenni di Bari, si veda sempre C. G. De Vito,

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Camosci e girachiavi, cit., p. 31

Ivi, p. 31

322

Ibidem

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G. Neppi Modona, Carcere e società civile, cit., p. 1991

Non si poteva più fare ricorso come mezzo di punizione alla cintura di sicurezza. Venivano poi cassati alcuni obblighi per i detenuti non più al passo con i tempi: per le condanne brevi non più obbligatori il taglio dei capelli e l’uniforme; i familiari al colloquio non erano più tenuti a distanza dal detenuto dalla presenza di una guardia, ma solo da una rete. Ancora, il detenuto che stesse scontando una pena superiore ai dieci anni e che ne avesse scontati già dieci poteva inviare ai familiari una sua foto il tutto a spese dell’amministrazione; la famiglia poteva ora chiedere la salma del proprio caro qualora questi fosse morto in detenzione. L’amministrazione e la direzione dovevano agevolare la partecipazione ai corsi scolastici anche a quei detenuti già in possesso della licenza elementare; i ristretti potevano tenere in cella carta e penna e anche le foto dei parenti . 325

Il quarto governo della seconda legislatura fu guidato da Mario Scelba e restò in carica solo 5 mesi. In questo tempo al dicastero di Grazia e Giustizia sedeva il democristiano Michele De Pietro in continuità con i venti giorni che era rimasto in carica il governo precedente guidato da Amintore Fanfani. De Pietro nel febbraio 1954 emanò la circolare ministeriale n. 314/1954 che riportava indietro di tre anni il carcere in Italia. Vennero cancellate le seppur minime aperture della circolare Zoli. Non in tutti gli istituti si era riusciti a riportare l’ordine e disciplina. Per questa ragione sembrava al governo necessario tornare indietro rispetto alle aperture del 1951 che si temeva volessero negare il carattere afflittivo della pena che, di converso, doveva a loro parere necessariamente contraddistinguere la pena detentiva. Il detenuto doveva essere tenuto isolato dal mondo esterno per evitare il contagio. Per questa ragione vennero reintrodotte restrizioni sulle possibilità di ascoltare la radio e di accedere a quotidiani politici mentre si tornò alle previsioni regolamentari riguardo alle visite di esterni agli istituti . Questa circolare chiuse il discorso carcere per un decennio. 326

Ivi, p. 1990

325

Ivi, p. 1991