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Q UALE RUOLO PER LA SUSSIDIARIETÀ ? E QUALE INVECE PER L ’ OFFESA

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 158-163)

La sussidiarietà (esterna) impone senz’altro un utilizzo parsimonioso dell’armamentario penalistico, circoscritto alla stretta necessità444, come misura estrema di controllo sociale445, che interviene dunque quando lo strumento extrapenale si mostra inefficace a garantire l’osservanza del precetto, o meglio il perseguimento del progetto di tutela446. Ciò perché, secondo la nota tesi bricoliana, «la massima restrizione della libertà personale, qual è quella che si

443 Parla di «trasgressioni che costituiscono tutt’al più un limitato e superabile

“intralcio” per l’attività amministrativa, percettibilmente inadeguato ad inficiare la complessiva “riuscita” delle dinamiche disciplinari, o ad alterarne la direzione» A.

VALLINI, Antiche e nuove tensioni tra colpevolezza e diritto penale artificiale, cit., 171.

444 G. AMARELLI, La ritrattazione e la ricerca della verità: contributo ad una teoria della non punibilità, Torino, Giappichelli, 2006, 168; G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale.

Parte generale, cit., 6.

445 G.P. DEMURO, Ultima ratio: alla ricerca di limiti all’espansione del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1656; M. DONINI, Sussidiarietà penale e sussidiarietà comunitaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, 148 ss.; ID., Le tecniche di degradazione fra sussidiarietà e non punibilità, in Ind. Pen., 2003, 75 ss..

446 T. PADOVANI, La problematica del bene giuridico e la scelta delle sanzioni, in Dei delitti e delle pene, 1984, 129; M. ROMANO, Commentario sistematico al Codice penale, cit., 23.; G. COCCO, Riflessioni su punibilità, sussidiarietà e teoria del reato. Tra vecchi e nuovi istituti, in Ind. pen., 2015, 253.

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opera in via effettiva o potenziale tramite la sanzione penale, non può essere posta in essere se non come extrema ratio»447.

Si potrebbe allora presentare come necessaria (ossia come unica alternativa costituzionalmente legittima) una eliminazione dal settore penale, magari sotto forma di degradazione a illecito amministrativo, delle ipotesi di reato poste a tutela di mere funzioni (senza con ciò voler proporre una depenalizzazione totale, a tappeto, delle fattispecie poste a tutela di funzioni strumentali, pena uno svilimento del valore e della tutela degli interessi finali448). Talune delle ipotesi di abusivismo analizzate potrebbero risultare non rispettose del principio di extrema ratio, posto che integrano ipotesi di mera disobbedienza, che dovrebbero dunque trovare la propria sede naturale nel settore extrapenale, ma che viceversa “nascono penali”449. Maggiormente in linea con la regola della stretta necessità sarebbe allora un’espunzione dalla fattispecie tipica delle modalità comportamentali sostanzialmente disubbidienti450; considerato il ruolo strategico di determinate funzioni, la loro tutela (in sé e per sé) potrebbe essere attribuita a illeciti amministrativi.

Vi è però qualche inconveniente.

Anzitutto, vi è il rischio che alla depenalizzazione non segua una concreta mitigazione del trattamento riservato all’autore della violazione. Il rischio di un diritto amministrativo punitivo è quanto mai reale e attuale, considerata la diffusamente rimarcata portata afflittiva e repressiva di talune sanzioni amministrative, il cui ammontare massimo eccede la cifra necessaria al ripristino o al ristoro patrimoniale451. Considerata la diffusione del modello del

447 F. BRICOLA, (voce) Teoria generale del reato, cit., 7.

448 Anche nell’ottica di un intervento sussidiario del diritto penale, gli illeciti che riproducono il modello della tutela di funzioni, ma che perseguono la protezione di beni di elevata pregnanza sociale, ben possono meritare una connotazione penalistica (così A. VALLINI, Antiche e nuove tensioni tra colpevolezza e diritto penale artificiale, cit., 181).

449 Sul ruolo del diritto penale come “apripista” v. D. PULITANÒ, Diritto penale.

Parte generale, cit., 46.

450 Parla di strumentalizzazione della vita di singole persone inosservanti per fini di prevenzione generale, per scopi organizzativi e di controllo M. DONINI, Principi costituzionali e diritto penale. Modello e programma, in Ius17, 2009, 434.

451 Ampio è il dibattito sul tema, specie all’indomani delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha stigmatizzato la c.d. truffa delle etichette e introdotto la nozione di “materia penale”. Per tutti v. M. DONINI-L.FOFFANI (a cura di), La «materia penale» tra diritto nazionale ed europeo, Torino, Giappichelli, 2018.

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diritto amministrativo punitivo ben oltre la delinquenza bagatellare (e la propalazione dei c.d. mega-Ordnungswidrigkeiten452) non è irragionevole temere una degradazione a illecito amministrativo che mantenga tuttavia una

“reazione sostanzialmente penale” al fenomeno, sottratta però alle garanzie costituzionali che attengono all’intervento penale, solo in virtù del nomen iuris impiegato. Si considerino i vari elementi che potrebbero “far rimpiangere” la sanzione penale, quali, ad esempio, la indefettibilità della sanzione amministrativa, la sua non sospendibilità né oblazionabilità, ma anche l’impossibilità di modulare la stessa in ragione delle condizioni economiche del soggetto agente453. Tutti elementi che fanno dubitare circa un’effettiva prospettiva di mitigazione.

Si potrebbe risolvere tale problematica prestando un’adeguata attenzione alla proporzionalità della sanzione; ma si tratta pur sempre di scelte strettamente riservate al legislatore.

Una depenalizzazione, sotto forma di degradazione a illecito amministrativo o sotto forma di semplice espunzione in via interpretativa dal novero dei fatti tipici, delle condotte meramente disubbidienti, non può essere imposta “dall’alto” in nome del rispetto dell’extrema ratio.

Questo perché la sussidiarietà, o meglio il suo rispetto, (fino a quando non lo si considererà principio dimostrativo) non è mai stata sinora vero oggetto di sindacato costituzionale e dunque non potrebbe giustificare una dichiarazione di (anche parziale) illegittimità costituzionale della disposizione incriminatrice454, nella parte in cui non cede il passo a strumenti extrapenali ugualmente efficienti. Si tratta infatti di «un principio non giustiziabile, quindi, di mero valore argomentativo, ma non cogente, salvo che il suo mancato rispetto

452 V. l’ampia disamina di U. SIEBER, Linee generali del diritto amministrativo punitivo in Germania, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 35 ss., spec. 47. L’Autore evidenzia come detta propalazione sia frutto di chiare spinte comunitarie: considerata l’assenza di competenza in materia penale dell’Unione europea, essa, per la difesa dei propri interessi, ha dovuto elaborare un diritto amministrativo punitivo sovranazionale, composto di macro-sanzioni amministrative, che riguardano, tra i vari, la normativa antitrust e il diritto bancario.

453 E. DOLCINI, Sanzione penale o sanzione amministrativa: problemi di scienza della legislazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, 619 ss.

454 G. VASSALLI, Giurisprudenza costituzionale e diritto penale sostanziale. Una rassegna, in A. PACE (a cura di), Corte costituzionale e processo costituzionale nell’esperienza della rivista “Giurisprudenza costituzionale” per il cinquantesimo anniversario, Milano, Giuffrè, 2006, 1053 ss.

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non si traduca nella violazione di altri principi di valore più cogente e dimostrativo, come quelli di uguaglianza, di ragionevolezza, eccetera»455.

In buona sostanza, se fosse solo un problema di extrema ratio l’interprete avrebbe, per così dire, le mani legate. Né la via della questione di legittimità costituzionale, né quella di un’interpretazione costituzionalmente conforme sarebbero allo stato praticabili. Resterebbe la sola strada dell’intervento legislativo, del tutto discrezionale (non imposto cioè da un necessario ritorno entro i binari della legittimità costituzionale). Per vero non può forse ad oggi escludersi la praticabilità di una terza via, considerate le audaci prese di posizione che la Corte costituzionale, di recente, ha mostrato di saper assumere: nel noto caso Cappato con l’ordinanza n. 207/2018 la Corte ha giocato da “attendista”, inaugurando la strada dell’incostituzionalità sospesa o differita. Ma si tratta di un percorso appunto “audace” che resta al momento un unicum nell’esperienza costituzionale456.

Ad ogni modo, va evidenziato però che, se il ricorso alla sanzione penale come extrema ratio è nella totale discrezionalità del legislatore, lo stesso non può dirsi, a cuor leggero, con riferimento al rispetto del principio di offensività e alla selezione dei beni giuridici. Se infatti condividiamo che abbia fondamento costituzionale l’obbligo per il legislatore di mantenere i confini dello strumentario penalistico strettamente ancorati alla protezione di beni giuridici (secondo una concezione “costituzionale-culturale” degli stessi) che siano ritenuti rilevanti dalla coscienza sociale, la conclusione in punto di sindacabilità delle scelte del legislatore potrebbe forse mutare. Il valore garantisco del principio di offensività (del cui fondamento costituzionale non può dubitarsi) è difatti legato a doppio filo all’individuazione dei beni meritevoli di tutela. Va però detto come la “lettura forte” dell’approccio costituzionalistico e la concezione “chiusa” del catalogo dei beni giuridici

455 M. DONINI, Principi costituzionali e diritto penale. Modello e programma, cit., 430.

456 Residuerebbe altrimenti lo strumento, ben più timido, della c.d. sentenza monito; ne è un esempio la sent. n. 3/1956, con cui la Corte costituzionale si è pronunciata in termini di piena compatibilità dell’art. 57 c.p. con il dettato dell’art. 27 Cost., rilevando tuttavia la «necessità generalmente avvertita (come fanno fede ripetute proposte di riforma) di dare ad una materia, che la realtà configura in termini non equivoci, una corrispondente formulazione legislativa: della quale necessità anche la Corte sente di doversi rendere interprete» (corsivi aggiunti). Tale esortazione fu prontamente accolta dal legislatore che intervenne sul contenuto dell’art. 57 c.p. con la l. n.

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tutelabili abbiano notoriamente mostrato forti aspetti di irrealismo457; viceversa la concezione “aperta” dei beni giuridici tutelabili ha incontrato maggiormente i favori della dottrina458.

Occorre tuttavia considerare che anche all’offensività non è stata ascritta con facilità natura di principio dimostrativo in senso stretto da parte della Corte costituzionale 459; solo in alcuni casi manifesti, cioè, è stata dichiarata l’incostituzionalità di una fattispecie incriminatrice per violazione del principio di offensività o per inesatta selezione dei beni giuridici meritevoli di tutela penale460.

Eccezion fatta per la notissima sentenza n. 364/1988 (in cui si parla di

«necessità che il diritto penale costituisca davvero la extrema ratio di tutela della società, sia costituito da norme non numerose, eccessive rispetto ai fini di tutela, chiaramente formulate, dirette alla tutela di valori almeno di rilievo costituzionale e tali da esser percepite anche in funzione di norme

“extrapenali”, di civiltà, effettivamente vigenti nell’ambiente sociale nel quale le norme penali sono destinate ad operare»), la Corte costituzionale ha solitamente utilizzato, nelle proprie pronunce di accoglimento, i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzione461. Oppure ha impiegato l’art. 21 Cost., come è accaduto in Corte cost. 23 aprile 1974, n. 108, per affermare l’illegittimità costituzionale dell’art. 415 c.p. nella parte in cui, nel sanzionare l’istigazione all’odio tra le classi sociali, non precisava «che tale istigazione deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità».

457 V. i riferimenti in F. GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell’economia, cit., 54.

458 V. F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, cit., 199.

459 M. DONINI, Teoria del reato. Una introduzione, cit., 25 ss.

460 La Corte costituzionale ha in non poche occasioni ribadito come sia rimessa alla discrezionalità del legislatore la scelta dei beni giuridici da tutelare, nel rispetto però del dettano costituzionale. Cfr. Corte cost., 15 dicembre 1998, n. 447 in cui si legge che «solo il legislatore può dunque, nel rispetto dei principi della Costituzione, individuare i beni da tutelare mediante la sanzione penale, e le condotte, lesive di tali beni, da assoggettare a pena, nonché stabilire qualità e quantità delle relative pene edittali, secondo il principio “nullum crimen, nulla pena sine lege”, cui si riconducono sia la riserva di legge vigente in materia penale, sia il principio di determinatezza delle fattispecie penali, sia il divieto di applicazione analogica delle norme incriminatrici».

461 V. Corte cost., 10 luglio 1991, n. 333; Corte cost., 17 ottobre 1996, n. 370;

Corte cost., 5 novembre 2012, n. 251; Corte cost., 17 aprile 2019, n. 88.

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Se è vero che talune sentenze dei primi anni Duemila hanno affermato con fermezza il carattere costituzionale del principio di offensività, individuandone il fondamento nell’art. 25, co. 2 Cost.462, va tuttavia osservato che nella maggior parte dei casi la Consulta, ove interpellata, ha negato il contrasto con l’offensività in astratto, rimettendo al giudice il compito di operare un rigoroso scrutinio circa la sussistenza dell’offensività in concreto463. Tale panorama fa pertanto dubitare che si possa intervenire in via ermeneutica o transitare per il giudice delle leggi al fine di rimuove dall’area di intervento penale la tutela dell’obbedienza in sé e per sé considerata, tanto in virtù della violazione del principio di sussidiarietà, quanto in virtù di quello di offensività in senso stretto (salvo i casi limite dell’incriminazione irragionevole). A fronte di simili rilievi, e ribadito che una più intensa applicazione del principio di offensività da parte della Corte costituzionale permetterebbe la soluzione di gran parte dei problemi sin qui esposti già de lege lata, risulta pertanto necessario l’intervento del legislatore; quanto alle modalità, quelle maggiormente auspicabili paiono le seguenti.

3. L’opzione in favore di una “selezione penalistica” delle note di disvalore: beni

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