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CAPITOLO 3 L’INDUSTRIA DEL JEANS

3.1 IL JEANS

Figura 9 - Dettagio della cerniera zip di un paio di jeans

Il Jeans è un capo d’abbigliamento presente nel guardaroba di chiunque e, probabilmente, il più diffuso. Le sue origini risalgono al 1853 quando Levi Strauss fondò la Levi Strauss & co. a San Francisco, per fornire abbigliamento da lavoro ai cercatori d’oro. Notando la scarsa resistenza dei tradizionali grembiuli, decise di utilizzare il denim, un tessuto resistente, pesante e pratico. Per rinforzare le parti più soggette ad usura, nel 1871, Jacob Davis aggiunse dei rivetti in rame sulle tasche, creando e brevettando un capo d’abbigliamento rimasto pressoché immutato da allora. Quando scadde il brevetto vennero fondate altre case di produzione di denim e jeans, tra cui Lee, fondata nel 1889 da Harry David Lee. La diffusione di massa avvenne negli anni ’50 del novecento grazie al Rock’n’Roll ma soprattutto al cinema. James Dean in “Gioventù bruciata” e Marlon Brando ne “Il selvaggio”, resero il jeans un’icona di stile influenzando le giovani generazioni che negli anni 60’ divennero i teenager delle proteste giovanili che utilizzavano il jeans come protesta contro la società, le mode tradizionali e le convenzioni sociali. Negli anni ’70 le grandi case di moda si accorgono del fenomeno “jeans” e iniziano a incorporarli nelle collezioni come capi eleganti e pret-à-porter negli anni seguenti. In epoca contemporanea con la globalizzazione, sono state abbattute tutte

le barriere e il jeans è diventato un capo globale, unisex, trasversale rispetto ogni classe sociale fino a diventare un vero e proprio stile di abbigliamento: il “jeansweare”.

Oggi Levi’s rimane una delle imprese leader nel settore, con un fatturato di 4,494 miliardi di

dollari nel 201597 ma anche altre storiche aziende sono sopravvissute. Ad esempio Lee è

tuttora attiva nel mercato del denim dopo essere stata acquisita da Vf Corporation nel 1969, gruppo che detiene numerosi marchi di abbigliamento, tra cui Wrangler, con oltre 10 miliardi di dollari di fatturato98.

Un’azienda italiana che ha avuto un enorme successo in Italia ma soprattutto nel resto del mondo è Diesel. Nasce nel 1978 quando il suo eccentrico proprietario Renzo Rosso, all’epoca dipendente di Adriano Goldschmied in Moltex, ne acquisisce il 40% e con il socio la rinomina “Diesel”. Nel 1985 Renzo Rosso acquisisce la restante quota diventando l’unico proprietario99, portando l’impresa ad una rapida crescita: dagli iniziali 7 Miliardi di Lire di fatturato, nell’arco di una decina di anni diventano oltre 500. Oggi Diesel è parte del gruppo “Only the Brave” sempre di proprietà di Renzo Rosso, a cui fanno capo diverse aziende, che ha chiuso l’esercizio 2016 con 1,580 Milioni di Euro al quale Diesel partecipa con il 960

Milioni (circa il 60%)100.

Il jeans, tuttavia, soprattutto a causa della sua enorme diffusione è un prodotto che ha un’incidenza particolarmente negativa nell’ecosistema mondiale e nella sfera sociale. La sua produzione cela grossi pericoli per l’ambiente e per le persone che lo producono (e in alcuni casi che lo indossano).

Inquinamento

Dal punto di vista ambientale la produzione del denim è responsabile di un elevato tasso di inquinamento. A partire dalla fase più a monte della filiera, la produzione di cotone, in cui si utilizza un’enorme quantità di acqua (7.000litri per Kg di cotone per 22 milioni di tonnellate

di cotone prodotte all’anno101) per l’irrigazione dei campi e viene fatto un massiccio uso di

pesticidi e fertilizzanti: l’11% dei pesticidi utilizzati nel mondo è usato nella produzione del cotone. Il cotone biologico, nella cui produzione non sono stati utilizzati né pesticidi né fertilizzanti, rappresenta un’alternativa più sostenibile ma non può certo essere considerata

97 it.fashionnetwork.com

98 www.repubblica.it, VF Corporation non vede la crisi “Il nostro, un successo di squadra”, 2013 99 www.forbes.com, Blue Jean Billionaire: Inside Diesel, Renzo Rosso's $3 Billion Fashion Empire, 2013 100 it.fashionnetwork.com, OTB: 2016 stabile, bene il comparto alto ma Diesel chiude in perdita, 2017 101 Dati 2009/2010

una soluzione definitiva. Come per il normale cotone, viene utilizzata una grande quantità di acqua, ma il problema principale è la scarsa diffusione: il cotone biologico rappresenta circa solo l’1% della produzione mondiale di cotone.

Come nel resto del settore tessile le fasi più inquinanti, tuttavia, sono quelle successive: la filatura, la tessitura, la tintura e la manifattura. In queste fasi vi è un elevato utilizzo di acqua per i lavaggi, di sostanze chimiche per la tintura e tutte comportano un elevato utilizzo di energia. Molto spesso, inoltre, le imprese non sono dotate di adeguati impianti di depurazione, ventilazione e scarico.

Problemi sociali

Dal un punto di vista sociale, spesso sono messe in luce le precarie condizioni di sicurezza e sanità cui sottoposti i lavoratori della filiera del denim. A partire di lavoratori dei campi intensivi di cotone ai lavoratori, delocalizzati e non, delle fasi di taglio, tintoria, finissaggio. Una tecnica molto diffusa, il “sandblasting” (sabbiatura), viene utilizzata per dare al jeans un effetto vintage, invecchiato artificialmente. Questa risulta estremamente dannosa per chi la esegue se non vengono prese le necessarie precauzioni, in quanto prevede che venga spruzzata manualmente della sabbia sul denim che può essere inalata causando la silicosi, una malattia polmonare. Dal 2005 al 2011 sono stati confermati 5.000 casi di operai affetti da

questa patologia ma i casi potrebbero essere molti di più102. Un’inchiesta di Altroconsumo del

2011, in cui sono state visitate alcune fabbriche della filiera produttiva del jeans, evidenzia come, contrariamente a quanto si possa pensare, solo in Italia è stato riscontrato l’utilizzo della tecnica di sabbiatura (anche se con le normali protezioni). Il motivo di questo paradosso potrebbe essere che, essendo l’Italia e l’occidente considerati Paesi non a rischio, non vengano effettuati i controlli come nei paesi asiatici.

102 Il numero imprecisato dei casi è dovuto al fatto che una parte rilevante della produzione fa parte della cosiddetta “economia sommersa” sfuggendo ad ogni tipo di controllo e possibilità di misurazione.

Anche il livello delle retribuzioni, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, spesso non raggiunge livelli accettabili. Considerando la composizione del costo al dettaglio di un paio di jeans, solo l’1% del prezzo è la quota che “paga” gli operai. Le altre quote sono 12% per le materie prime e costi di produzione, 13% trasporto, 24% brand e pubblicità e 50% negoziante e IVA103.

Figura 10 - Operai con dubbie protezione mentre praticano la tecnica del "sandblasting"

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