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L’INGHILTERRA DI MONTALEMBERT: ESEMPIO, MODELLO, MIRAGGIO?

Nel documento Montalembert pensatore europeo (pagine 124-148)

Regina Pozzi

La Francia nello specchio dell’Inghilterra

Nell’aprile 1857 Hippolyte Taine, già affermato saggista, dedicava una lunga recensione sul «Journal des Débats» a un’opera di Montalembert che era uscita in volume l’anno precedente con il titolo De l’Avenir po- litique de l’Angleterre 1. In realtà – il dettaglio non è insignificante – la sua recensione riguardava, oltre che quest’opera, anche uno scritto di Troplong sulla Chute de la République romaine. Ciò che accomunava i due autori secondo Taine era l’uso strumentale che essi avevano fatto della storia:

Si les auteurs parlent tout haut de Rome ou de l’Angleterre, c’est pour parler tout bas d’autre chose. [...] La vérité est qu’ils n’ont cherché dans l’histoire que des arguments pour leur doctrine et des armes pour leur cause. De ce que le gouvernement absolu était nécessaire et durable à Rome, il ne suit pas qu’ils soit nécessaire et durable partout. De ce que l’aristocratie libérale est utile et durable en Angleterre, il ne suit pas qu’elle soit utile et durable ailleurs 2.

1 Pubblicato a Parigi nel gennaio 1856 presso l’editore Didier, il saggio di Monta- lembert era uscito dapprima, sotto forma di due lunghi articoli, su «Le Correspondant» del 25 novembre e 25 dicembre 1855. Nell’aprile 1856 se ne ebbe una terza edizione (che viene utilizzata nel presente lavoro), accresciuta di un articolo, La Paix et la Pairie

à vie en Angleterre, apparso su «Le Correspondant» del 25 marzo del medesimo anno.

2 H. Taine, M. Troplong et M. de Montalembert, in Essais de critique et d’histoire, Hachette, Paris 18662, p. 351 ss. (il passo citato si legge a pp. 352 e 359). La recensione, uscita sul «Journal des Débats» del 28, 29 e 30 aprile 1857, venne raccolta nel 1858 nel volume di Essais de critique et d’histoire.

Montalembert s’è difeso dall’idea d’aver parlato allusivamente, e d’aver parlato d’altro che dell’Inghilterra 3. Non si può dire tuttavia che l’osserva- zione di Taine non colpisse nel segno. Raymond-Théodore Troplong, oltre che un insigne giurista, era un fervente sostenitore del regime imperiale e il suo excursus nel campo della storia romana era tutto volto a spiegare la “necessità” che aveva presieduto al passaggio dalla Repubblica all’Impe- ro. Non c’è dubbio che il suo saggio partecipasse a una campagna, in atto da tempo in campo bonapartista, che utilizzava l’analogia storica per fare di Luigi Napoleone un novello Cesare, chiamato anch’egli a salvare la sua patria dal disordine e dal conflitto civile 4. E non sfuggiva certo al pubblico colto quale fosse la posta in gioco in un dibattito solo apparentemente sto- riografico: ben lo vedeva, tra gli altri, anche Montalembert 5. Ma altrettanto chiaro era anche il significato politico del suo saggio sull’Inghilterra.

Dopo la breve parentesi dell’adesione al regime bonapartista, Montalembert era infatti presto tornato sui suoi passi, e già con lo scrit- to del 1852, Des intérêts catholiques au XIXe siècle, s’era collocato nelle file degli oppositori liberali. Le sue argomentazioni erano tuttavia in quest’opera calibrate sul pubblico a cui si rivolgeva: ossia quella larga parte del mondo cattolico che in Francia sosteneva il regime imperiale, e alla quale egli intendeva mostrare che gli interessi del cattolicesimo, lun-

3 «Vous auriez tort de voir – ha scritto a Cesare Cantù – dans mon livre sur l’An- gleterre des allusions cherchées; j’y ai dit la vérité toute entière. Tant pis pour la France actuelle, si l’on ne peut parler d’un pays resté libre et grand dans sa liberté, sans avoir l’air de faire un réquisitoire contre sa mobilité et sa résignation» (F. Kaucisvili Melzi d’Eril, a cura di, Carteggio Montalembert-Cantù. 1842-1868, Editrice Vita e Pensiero, Milano 1969, p. 132. Lettera da La Roche-en-Breny del 27 gennaio 1856: i corsivi sono dell’autore).

4 La campagna, fondamentale per la nascita del termine e della categoria di «cesa- rismo», era stata aperta nel 1850 dal pamphlet di Auguste Romieu su L’ère des Césars. Sul tema si rinvia a I. Cervelli, Cesarismo: alcuni usi e significati della parola (secolo XIX), «Annali dell’Istituto italo-germanico in Trento», 1996, pp. 61-197. Spunti suggestivi si trovano in A. Momigliano, Per un riesame della storia dell’idea di cesarismo [1956], in Id., Sui fondamenti della storia antica, Einaudi, Torino 1984, pp. 378-388.

5 In una lettera a Cantù dell’11 gennaio 1856, come anche in quella già citata del 27 gennaio, Montalembert, che sta leggendo la sua Storia d’Italia, e precisamente la parte che tratta della storia romana, gli rimprovera d’aver denigrato l’aristocrazia repubblica- na e abbellito la figura di Cesare, ed essersi così fatto, involontariamente, «le complice des Troplong, des Granier de Cassagnac, des Amédée Thierry, et autres scribes du des- potisme, qui voient dans l’Empire Romain le type de ce que doit être l’Empire Français selon eux» (Carteggio Montalembert-Cantù, cit., p. 127).

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gi dal trovare sponda in un governo illiberale, coincidevano con quel- li della libertà politica e delle istituzioni rappresentative. Nella nuova opera invece, anche se non viene meno la sollecitudine per la causa del cattolicesimo, di cui Montalembert segnala con soddisfazione i progres- si in Inghilterra dopo le leggi di emancipazione, non è questo il tema principale del suo discorso, come egli stesso dichiara 6. Il problema che l’autore ora indaga è il funzionamento delle istituzioni liberali nel paese che ha dato loro la nascita; ed è anche, più in generale, la natura della libertà nel mondo moderno. Si direbbe che l’autore dismetta qui i panni del cattolico liberale, indossati fin dagli esordi nell’«Avenir», per vestire quelli del liberale tout court.

Che Montalembert conduca questa riflessione, come gli ha rimpro- verato Taine, parlando «tout haut» dell’Inghilterra, non è peraltro una circostanza che possa stupire. Nella Francia dell’Ottocento la famiglia liberale, nella diversità dei suoi rami, aveva tenuto gli occhi costantemen- te rivolti al modello d’Oltremanica. Non solo aveva continuato l’anglo- filia del secolo precedente (per la quale basterà fare i nomi di Voltaire e di Montesquieu: ma l’elenco potrebbe essere lungo). Da quando, chiusa l’età della Rivoluzione e di Napoleone, la Francia s’era avviata sulla stra- da del regime rappresentativo in cui era stata preceduta dall’Inghilterra, le istituzioni politiche di quel paese – il parlamentarismo, la divisione dei poteri, il decentramento – erano ancor più diventate oggetto di stu- dio. Come scrive Charles de Rémusat nel 1852, «étudier l’Angleterre et la comparer à la France, on peut dire que ce fut pendant trente années [a partire dal 1815] le travail de toutes les intelligences ouvertes et con- sacrées à la politique réalisable» 7. E tale interesse non era venuto meno nemmeno più avanti, anzi s’era alimentato dell’instabilità istituzionale della Francia e delle difficoltà esperite dai due successivi tentativi d’im- piantarvi una monarchia costituzionale à l’anglaise 8.

6 «Je prie [...] instamment mes lecteurs – egli scrive (Ch. de Montalembert, De

l’Avenir politique de l’Angleterre, Didier, Paris 18563, p. 186) – de vouloir bien ne pas oublier que j’ai entrepris de parler de l’Angleterre au point de vue politique, et non au point de vue religieux».

7 Cfr. C. de Rémusat, L’Angleterre au XVIIIe siècle. Études et portraits [1856], Di- dier, Paris 18652, I, p. 10.

8 Cfr. soprattutto P. Rosanvallon, La Monarchie impossibile. Les Chartes de 1814 et

Tentare una ricognizione anche solo esemplificativa delle opere in cui il tema compare sarebbe impresa temeraria, perché equivarrebbe a ripercorrere una larga parte della letteratura politica del tempo 9. Tra gli iniziatori del genere s’incontrano i nomi di Mme de Staël e di François Guizot, ovvero dei capostipiti del pensiero liberale nelle due principa- li configurazioni che esso ha avuto nella Francia del secolo XIX 10. La figlia di Necker aveva chiuso le sue Considérations sur les principaux événements de la Révolution française, uscite postume nel 1818, con un elogio della libertà dell’Inghilterra e della sua costituzione, alla quale andava attribuito, essa sosteneva, tutto il merito della sua prosperità 11. Guizot, nel corso di storia moderna tenuto alla Sorbona nel 1820-1822 sull’Histoire des origines du gouvernement représentatif, aveva esaltato il sistema elettorale introdotto in Inghilterra nel quattordicesimo se- colo, individuandovi «presque tous les principes fondamentaux d’un système électoral raisonnable et libre» 12. È chiaro che a questa lettera- tura si applica un’osservazione (di cui si dovrà tener conto anche per l’opera di Montalembert): il suo interesse non sta nella fedeltà all’ori- ginale della descrizione delle istituzioni inglesi, ma nella funzione cui essa assolve nei riguardi della Francia. (Nella fattispecie, Guizot si sta

9 Per una ricca panoramica rinvio a due studi che mi sono stati assai utili: T. Zeldin,

English Ideals in French Politics During the Nineteenth Century, «The Historical Journal»,

2, I (1959), pp. 40-58 e J. R. Jennings, Conceptions of England and its Constitution in Nine-

teenth-Century French Political Thought, «Historical Journal», 29, I (1986), pp. 65-85.

10 Sul punto è da vedere L. Jaume, L’Individu effacé ou le paradoxe du libéralisme

français, Fayard, Paris 1997. L’autore individua nel liberalismo francese due correnti

fondamentali: la prima che fa capo a Mme de Staël e Benjamin Constant (dottrina dei diritti dell’individuo), la seconda a Guizot (dottrina della costruzione della sovranità).

11 Maggiori riserve si trovano invece in Benjamin Constant, anche se è stato soprat- tutto lui durante la Restaurazione a tradurre in teoria costituzionale l’osservazione del sistema inglese. Recensendo le Considérations di Mme de Staël su «La Minerve» del 15 giugno 1818, egli si chiedeva se la costituzione attuale fosse ancora quella lodata dalla sua amica. E concludeva: «Au reste, j’aime assez qu’on exalte la constitution de l’Angle- terre. J’ai toujours pensé que les Anglais devaient les qualités qui leur ont long-temps valu la considération de l’Europe, principalement à cette constitution. Or, sans vouloir faire le moindre tort à un peuple qui a offert au monde de grands exemples durant à peu près 126 ans, ma conviction est, que si une constitution libre a eu pour lui de si bons effets, elle en aura pour nous de meilleurs encore» (ora in B. Constant, Recueil d’articles,

Le Mercure, La Minerve et La Renommée. Introduction, notes et commentaires par É.

Harpaz, Droz, Genève 1972, I, pp. 450-459).

12 F. Guizot, Histoire des origines du gouvernement représentatif en Europe, Didier, Paris 1851, pp. 264-265.

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interrogando sul modo in cui le istituzioni politiche debbano emergere “naturalmente” dalla società selezionando una classe di governo: ciò che sta a cuore al liberale dottrinario è trovare argomenti per la sua teo- ria della sovranità della Ragione). Lo ha detto benissimo Jennings: «It is a debate that tells us more about France and the response of French political thinkers in the nineteenth century to France’s problems than it does about England» 13. È così nella Francia che sta facendo le sue prove per una monarchia costituzionale; e sarà così anche più avanti nel secolo. Un solo, ma significativo esempio. Allorché negli anni Sessanta il Secondo Impero comincia ad evolvere verso istituzioni liberali (con quale lontananza dal modello d’Oltremanica non è nemmeno il caso di precisare), ecco ricomparire l’elogio delle istituzioni inglesi, e in un au- tore in cui non ci si aspetterebbe di trovarlo: è l’ex sansimoniano Michel Chevalier, che coglie nel 1867 l’occasione di una recensione al saggio di Walter Bagehot su The English Constitution, per dire che «la consti- tution anglaise doit être comptée parmi les plus beaux produits de la civilisation» e che la Francia, «qui depuis trois quarts de siècle est en quête d’une bonne organisation politique, tirerait de grands avantages d’une connaissance approfondie» della medesima 14.

Nella Francia del secolo diciannovesimo il riferimento al costitu- zionalismo inglese è dunque, prima di tutto, un modo per parlare delle istituzioni politiche di casa propria, e soprattutto del deficit di libertà che sembra connotarle. L’evocazione dell’Inghilterra apre però alla ri- flessione liberale anche altri scenari, che sono molto più vasti. Perché la nazione insulare sembra offrire, con la sua stessa esistenza, l’esempio di un matrimonio ben riuscito tra tradizione e modernità, tra gerarchia e libertà: perché, come scrive Montalembert in apertura del suo saggio, questo paese ha l’audacia «de repousser la révolution et d’échapper au despotisme» 15. Per carpire il segreto di una così felice riuscita, si guarda allora al suo assetto sociale e a quella che viene considerata la sua vera peculiarità, ossia l’esistenza di un’aristocrazia che appare al tempo stes- so solidissima e dai contorni indefiniti. In una prospettiva sempre pre- sente di comparazione con la Francia, si rivolge l’attenzione al punto di

13 Cfr. J. R. Jennings, Conceptions of England, cit., p. 66.

14 M. Chevalier, La Constitution de l’Angleterre, «Revue des Deux Mondes», LXXII, 1 dicembre 1867, pp. 529-555.

divergenza che s’individua nella storia dei due paesi, che è la differente evoluzione avuta, qui e là, da questo gruppo sociale. E ci si interroga, di conseguenza, sul rapporto che storicamente intercorre tra aristocrazia e istituzioni liberali. L’opera De l’Avenir politique de l’Angleterre è tutta interna a questa problematica. Essa permette di situare il suo autore – a prescindere dalle battaglie politiche da lui condotte in nome delle liber- tà dei cattolici, a cui deve soprattutto la sua fama – in quel ramo della variegata famiglia liberale che fa ascendere il nucleo della dottrina a un lascito tipicamente aristocratico. Si tratta di una concezione che può dar adito a due diverse posizioni (che si ritrovano talora intrecciate nello stesso autore): essa può risolversi nella riproposizione nostalgica di un modello inattuale o, al contrario, farsi strumento per la comprensione del mondo contemporaneo. Nel saggio di Montalembert – dirò subito anticipando la mia analisi – il primo tratto sembra prevalere. Nella fosca congiuntura politica degli anni Cinquanta, il suo scoramento per le sorti della libertà in Francia lo fa volgere all’amata Inghilterra; e in questo specchio egli trova più ragioni di rimpianto che proposte per il presente.

Dell’avvenire politico dell’Inghilterra

Il saggio pubblicato nel 1856 da Montalembert è un’opera composita, che richiede una lettura a più livelli. Non è in prima istanza – ma sarebbe più giusto dire che non è affatto – un’opera di riflessione teorica; anzi, per molti aspetti, si tratta di uno scritto di circostanza, originato dall’attualità. La disastrosa condotta tenuta dall’Inghilterra nel corso della guerra di Crimea, sul piano sia militare che organizzativo, aveva sollevato un mare di critiche e spinto molti commentatori, anche inglesi, a parlare di un suo prevedibile declino 16: e molte pagine del saggio si riferiscono pro- prio a queste polemiche, per minimizzarle e per smentire tali previsioni. Non erano però soltanto gli ultimi avvenimenti a sollecitare l’interven- to di Montalembert. In Francia, dove il partito degli anglofobi contava

16 Per una ricognizione efficace di tali umori si veda Ch. de Rémusat, La Réforme

administrative en Angleterre, «Revue des Deux Mondes», XII, 15 ottobre 1855, pp.

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pure numerosi adepti 17, da tempo si segnalava la comparsa nella “feli- ce” Inghilterra di fenomeni che apparivano come fattori d’instabilità: si trattasse della crescente agitazione democratica, che aveva raggiunto il suo acme negli anni Quaranta con il movimento cartista e la campagna per l’abolizione dei dazi sul grano; o dell’impetuoso sviluppo industriale, che stava modificando la tradizionale struttura agricola dell’economia e concentrava nei grandi centri manifatturieri una numerosa popolazione operaia (di cui non si avevano abbastanza parole per denunciare le misere condizioni). A seconda dei commentatori, la democratizzazione dell’In- ghilterra era da considerarsi un evento temuto o auspicato (Montalembert giustamente nota una singolare convergenza tra «assolutisti» e ultrademo- cratici in queste critiche): ma la previsione, in ogni caso, era che il paese stesse entrando in una fase di decadenza e di perdita della sua preminen- za internazionale. A questo pronostico aveva dato voce, in particolare, un’opera del 1850 di Ledru-Rollin, che portava l’emblematico titolo De la décadence de l’Angleterre. Il socialista francese, che scriveva dall’esilio londinese, affermava che «ce mot de décadence est sortit tout naturelle- ment des faits». «S’il sert de titre à mon livre, – diceva – c’est qu’il est de ces faits le résumé vivant» 18.

Di madre inglese e nutrito di letture inglesi, profondo conoscitore del paese che aveva visitato a varie riprese, l’ultima volta proprio nel 1855, Montalembert non intende negare questi fatti. E che l’Inghilterra sia sulla strada di profondi mutamenti è per lui un indubitabile dato di fatto 19:

L’œuvre de la vieille politique est achevée. Les vieux partis sont usés: whigs et tories ont fait leur temps. C’est en vain qu’on essayerait de galvaniser ces cadavres. De nouveaux intérêts, de nouveaux problèmes ont surgi. Les grandes questions d’humanité, de charité, de travail, de justice au dehors et au dedans, sont posées par la main de Dieu. Elles attendent de l’intelligence et du dévoue- ment de la classe supérieure ces solutions qui préoccupent déjà tous les esprits jeunes, perspicaces, généreux.

17 Cfr. J. R. Jennings, Conceptions of England, cit., pp. 80 ss. Tra gli scrittori ostili all’Inghilterra sono citati, oltre a Ledru-Rollin, Flora Tristan (Promenades dans Londres,

ou l’aristocratie et les prolétaires anglais, 1840), Lamartine, Michelet.

18 A. A. Ledru-Rollin, De la décadence de l’Angleterre, Escudier Frères, Paris 1850, I, p. III (corsivo dell’autore).

Tutto sta allora, egli sostiene, come avverrà questo processo di tra- sformazione e se l’Inghilterra saprà cambiare restando se stessa.

Per rispondere a questa domanda l’autore analizza le istituzioni po- litiche e sociali del paese. Ma fa anche qualcosa di più: da una parte, mette a confronto la sua storia e quella della Francia, osservando il pun- to in cui i loro cammini si divaricano – e che spiega il diverso presente – e interrogandosi sulle modalità con cui è avvenuto, o sta avvenendo, in entrambi i paesi il passaggio alla modernità; dall’altra, nell’indicare gli antidoti che, a suo dire, salveranno l’Inghilterra dai pericoli connessi a questo passaggio, propone una riflessione politica che, senza essere troppo originale, offre spunti suggestivi. Montalembert sostiene che il paese d’Oltremanica possiede più di qualsiasi altro al mondo «les con- ditions essentielles de la vie sociale, morale et matérielle» 20: prima fra tutte la sua forma di governo, più adatta di qualunque altra a produrre « le juste et le raisonnable», a far evitare l’errore e a ripararlo. Avendolo osservato da vicino, specialmente nel corso del suo ultimo viaggio, egli descrive il funzionamento del Parlamento, le sue regole e le sue con- suetudini, sia alla Camera dei Comuni che alla Camera dei Pari. Illustra la libertà con cui vi ha luogo il dibattito e perfino lo scontro politico. Mostra come, a garantire la regolarità del gioco istituzionale, svolga un ruolo determinante la libertà di cui gode la stampa 21. L’autore si sof- ferma poi sulla riforma parlamentare del 1832. Se, egli sostiene, essa è stata necessaria per ristabilire una giusta proporzione tra la rappre- sentanza degli interessi antichi e quella degli interessi nuovi e venire incontro all’accrescimento di lavoro e ricchezza prodottosi nelle città e nei distretti manifatturieri 22, il punto essenziale è che s’è proceduto

20 Ivi, p. 32.

21 Tanto da concludere: «En parlant des institutions et des traditions de l’Angleter- re, de celles qu’on peut non seulement lui envier, mais même lui emprunter au profit de notre société démocratique, si l’on recherche attentivement quel est le principal instru- ment de ce mécanisme social si solide en même temps que si compliqué, la garantie la plus efficace de la possession de tant de biens anciens et nouveaux, je penche à croire qu’elle réside dans la publicité» (ivi, p. 263, corsivo dell’autore). Come non leggere, in questo come in tanti altri passi, una presa di posizione contro la democrazia illiberale della Francia, nella fattispecie contro il regime fortemente restrittivo ivi fatto alla libertà di stampa?

22 «Au point de vue moral et historique, – dice l’autore (ivi, p. 118) – on peut déplo- rer cet accroissement, mais du moment où il a été un fait accompli, il était interdit à la

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