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L‟istituto della disapplicazione

GIUDICE ORDINARIO

III.1. L‟istituto della disapplicazione

Il potere nonché l‟istituto della disapplicazione è stato introdotto nel nostro ordinamento in ossequio al principio, di ispirazione illuministica, di separazione dei poteri dello Stato, al fine di evitare indebite interferenze del sindacato giurisdizionale nell'esercizio della funzione amministrativa.

Grazie all'attribuzione di tale potere, infatti, il giudice ordinario pur non potendo procedere alla invalidazione e caducazione dell'atto amministrativo ove ne riscontri l'illegittimità in forza dei limiti sanciti dall‟art. 4 della legge n. 2248/1865, è abilitato a disapplicarlo e cioè, a decidere la controversia sottoposta alla sua cognizione

tamquam non

esset

, cioè come se l'atto stesso non esistesse148

. Ciò significa che il giudice, una volta accertata l'illegittimità del provvedimento, atto

148

concreto o regolamento, dovrà ricostruire il rapporto a prescindere dagli effetti da esso prodotti e giudicare come se questi non sussistessero.

Pare opportuno sottolineare che il giudice, disapplicando, priva l'atto di efficacia soltanto limitatamente al caso deciso, lasciando che lo stesso produca i suoi effetti al di fuori del giudizio. Risulta in tal modo facilmente configurabile il significato e la portata del potere di disapplicazione di un atto giuridico. Preliminarmente la dottrina si è posta il problema della qualificazione dell'istituto in esame e della sua natura giuridica, dibattendosi se lo stesso operi esclusivamente sul piano processuale, quale strumento decisorio attraverso cui agli atti amministrativi affetti da vizi di legittimità viene negato ogni rilievo ai soli fini della risoluzione della singola controversia; ovvero se la disapplicabilità venga in rilievo prima ancora sul piano sostanziale all'interno del sistema delle sanzioni che colpiscono l'atto difforme dalle regole al pari della nullità, dell'annullabilità, della revocabilità e della irregolarità. La prima ricostruzione appare largamente prevalente nelle opinioni degli studiosi del sistema della giustizia amministrativa, escludendosi in tal modo che l'istituto in questione, a carattere meramente processuale, possa incidere sull'atto fuori del processo, sicché tale natura endo-processuale conduce a negare che risulti in qualche modo alterata una condizione giuridica dell'atto amministrativo oggetto di disapplicazione, continuando lo stesso, al di fuori del giudizio, ad esplicare la sua efficacia tipica.

efficacemente riassunto che “secondo autorevoli opinioni149

, vi sarebbero però anche effetti di diritto sostanziale, perché l'accertamento dell'illegittimità di un atto ad opera di autorità che non hanno il potere di annullarlo (giudice ordinario; Corte dei conti in sede di controllo successivo) determina in capo all'amministrazione il dovere di ritirarlo d‟ufficio (c.d. annullamento doveroso), con la conseguenza che all'interessato dovrebbe in questi casi riconoscersi una situazione di interesse legittimo all'esercizio del potere di autotutela della pubblica amministrazione, con la possibilità di proporre ricorso al giudice amministrativo contro l'inerzia o il provvedimento negativo. È comunque dubbio che la crisi trovi qualche riscontro nel diritto positivo”150

.

Con tale potere il soggetto ed anzitutto il giudice, che deve ricostruire quale sia l'assetto di un concreto rapporto sul quale tale atto possa astrattamente incidere, determina tale assetto prescindendo dagli effetti che questo atto produce151

; il potere di disapplicazione di un atto investe i suoi effetti, non toccando la sua esistenza formale152

.

Se il titolare del diritto soggettivo chiede al giudice civile la tutela giurisdizionale di esso, affermando che l'Amministrazione ha emanato un provvedimento che lo lede, quel giudice dovrà verificare anzitutto, la fondatezza dell‟asserzione dell‟attore; dovrà controllare,

149

Vedi su tutte quella di Sandulli.

150

PICONE, I temi generali del diritto amministrativo, Napoli, 2001, p. 273.

151

Sul potere di disapplicazione dell'atto amministrativo ad opera della stessa autorità amministrativa, cfr infra § III.3.

152

ROMANO, La disapplicazione del provvedimento amministrativo da parte del

cioè, se il provvedimento amministrativo abbia prodotto l'effetto lesivo del diritto individuale e quindi, cercare se tale provvedimento è conforme o meno al paradigma astratto delineato dalla norma retributiva del potere. In ogni caso, il giudice civile, secondo quanto disposto al comma 2 dell‟art. 4 della legge n. 2248/1865, dovrà ricostruire l'assetto del rapporto dedotto in giudizio, valutando l'incidenza che su di esso ha provocato il provvedimento amministrativo, provvedimento che comunque non potrà annullare.

Se il giudice riscontrerà che il provvedimento amministrativo è illegittimo, eserciterà nei suoi confronti il potere di disapplicazione previsto all‟art. 5 della legge sopra citata. Ciò significa che, nella ricostruzione di quell'assetto, non potrà tenere conto del suo effetto; il diritto soggettivo, del quale il titolare della chiesta la tutela giurisdizionale, risulterà integro ed ancora sussistente e con questo accertamento, la richiesta tutela giurisdizionale viene realizzata.

Il giudice ordinario, deve innanzitutto sindacare se l'atto amministrativo sia in grado di produrre i propri effetti ed, in secondo luogo, se lo stesso atto sia conforme al modello normativo; una volta individuata l'illiceità dell'atto amministrativo, il giudice deve disaggregarlo, non potendo intervenire con poteri caducatori su di esso.

L'inapplicabilità, dunque, consiste in una situazione oggettiva in cui si trova il provvedimento amministrativo viziato, il quale assume rilievo solo davanti alla giurisdizione ordinaria e che, pur comportando il mantenimento in vita del provvedimento, lo priva

tuttavia degli effetti giuridici che esso produce in ordine ai diritti soggettivi153

.

Viceversa, gli effetti del provvedimento amministrativo che colpiscono interessi legittimi, comportano l'invalidità – annullabilità rilevante ai fini del giudizio amministrativo ma non alla giurisdizione del giudice ordinario perché quest'ultimo, di essi, non può conoscere.

L'inapplicabilità, dunque, è il modo di essere della invalidità di quei provvedimenti amministrativi illeciti o i legittimi, che rientrano nel sindacato giurisdizionale del giudice ordinario.

Il giudice civile, che non può annullare il provvedimento amministrativo lesivo del diritto soggettivo del quale il titolare chiede tutela giurisdizionale, non per questo è tenuto a prenderlo in considerazione; al contrario, in forza dell‟art. 5 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, è tenuto a disapplicarlo. Tale legge, infatti, vuole dare una risposta all‟esigenza di tutela dei diritti soggettivi individuali, contro provvedimenti amministrativi che li ledano illecitamente. Da questo punto di vista, la protezione di tali diritti, è molto più importante della sorte dei provvedimenti che li ledono.

Il ruolo del giudice civile è quello di tutelare il diritto soggettivo; la limitazione della cognizione di questo giudice ai soli effetti che il provvedimento amministrativo esplica sull'oggetto del giudizio, può anche essere ricollegata al fatto che questo oggetto è individuato nel

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diritto soggettivo leso, non nel provvedimento amministrativo che lo lede. L'essenza del ruolo di tutela giurisdizionale che la legge del 1865 affida a quel giudice, è la tutela di questo diritto, non l'eliminazione di questo provvedimento, indipendentemente dalle ragioni per le quali tale eliminazione al giudice civile è preclusa154

. L‟art. 4 della legge n. 2248/1865 si inquadra all'interno della disciplina dei poteri del giudice ordinario in rapporto alla rilevanza dell'atto amministrativo, in quanto conforme alle leggi e non consente al giudice altra soluzione che non sia l'applicazione o la disapplicazione dell‟atto, secondo la sua conformità o meno alla legge.