I.1. Introduzione alla dedica
Redigendo la scheda storico-critica relativa all’Alcorano esposto nella mostra Le civiltà del libro. Testi sacri ebraici, cristiani, islamici dal Quattrocento al Settecento, promossa dalla Fondazione Giorgio Cini e dalla Biblioteca Nazionale Marciana, tenutasi a Venezia nelle sale della Libreria Sansoviniana dal maggio al luglio del 2000, Giorgio Vercellin sottolineava: «Non mi risulta sia mai stato discusso il motivo per cui l’Arrivabene abbia scelto di dedicare il suo volume ad un diplomatico straniero di passaggio per Venezia»46.
Il noto volgarizzamento del Corano, uno tra i più discussi e meno studiati turcica cinquecenteschi in lingua italiana, è dedicato infatti Allo Illustrissimo Gabriele de Luoes Signore D’Aramon, consegliere della Maestà Christianissima e Ambasciatore appresso il Signor Turco. La cui missione diplomatica in Oriente (1547- 1553), nutrita da un gruppo di «voyageurs de haute qualité», costituisce non solo un momento importantissimo per la conoscenza rinascimentale del mondo islamico-ottomano e per la creazione o rinnovamento del mito e dell’antimito dei Turchi, ma un vero e proprio «prolongement non seulement géographique mais aussi
46 G. Vercellin, Venezia e l’origine della stampa in caratteri arabi, Padova, Il
Poligrafo, 2001, p. 39, n. 3. Il volume presenta le schede storiche a integrazione del catalogo della mostra Le civiltà del Libro e la stampa a Venezia. Testi sacri ebraici, cristiani, islamici dal Quattrocento al Settecento (Venezia, Biblioteca Marciana-Libreria Sansoviniana, 27 maggio-20 luglio 2000), a c. di S. Pelusi, Padova, Il Poligrafo, 2000».
chronologique du mécénat exercé par François Ier», come lo ha definito François Tinguely nel suo magistrale studio sui viaggiatori francesi al tempo di Solimano, che sembra però ignorare o non prendere in esame, discutendo il passaggio veneziano dell’ambasciatore, la centralità politico-diplomatica dell’epistola arrivabeniana47.
Sulla necessità di approfondire la conoscenza del d’Aramon e dei suoi rapporti con gli ambienti culturali e religiosi veneziani si è espresso, già nel 2001 ma anche ultimamente, lo storico Massimo Firpo indicando il nostro ambasciatore come uno di quei
«personaggi sui quali meriterebbe indagare più a fondo, come per
esempio quel Gabriel d’Aramon, ambasciatore a Costantinopoli negli anni quaranta, circondato da numerosi personaggi di dubbia ortodossia, sia francesi (tra cui Jean Chesneau) sia italiani incontrati a Venezia»48.
Lo stesso Carlo De Frede che ripetutamente ha affrontato, se non lo studio puntuale delle fonti, almeno l’inquadramento storico- ideologico della pubblicazione dell’Alcorano, trovava alquanto «strano che proprio a chi era strumento della politica d’alleanza tra la Francia e il Turco l’Arrivabene si rivolgesse per affermare
47 Alcorano , (2)r; indicato erroneamente come primo ambasciatore francese presso
la Porta da H. Bobzin,op. cit., p. 263: «Im Widmungsschreiben an Gabriel d’Aramon, den ersten französischen Gesandten am osmanischen Hof, schreibt der Herausgeber dieses Buches, Andrea Arivabene [...]». Il fraintendimento del Bobzin probabilmente deriva da C.D. Roulliard, The Turk in French History, Thought, and Literature, Paris, Boivin & Cie., 1940, p. 123: «the first french Embassy in the grand Manner».
J. Paviot, Autour de l’ambassade de d’Aramon: érudits et voyageurs au Levant, 1547-1553, in Voyager à la Renaissance, Actes du colloque de Tours (30 juin-13 juillet 1983), a c. di J. Céard e J.C. Margolin, Paris, Maisonneuve et Larose, 1987, pp. 381-392: 385: «L’ambassade de d’Aramon (personnage qui ne présente guère de traits saillants) se trouve ainsi être le lieu de convergence de voyageurs de haute qualité qui soit ont accompagné l’ambassadeur, soit ont été secourus par lui. On ne peut lui comparer par la suite que celles de Nointel en 1670 et de Choiseul-Gouffier en 1784. Elle fait découvrir au public français l’univers d’une Méditerranée orientale qui n’est plus celui des croisades et élargit singulièrement la vision étroite de la route de pèlerins. Elle renouvelle l’intérêt pour les études orientales et surtout donne une image neuve, vue de l’intérieur, des pays et des peuples de l’Empire ottoman qui s’impose pour cinquante ans, si ce n’est un siècle».
F. Tinguely, L’écriture du Levant à la Renaissance: enquête sur les voyageurs français dans l’Empire de Soliman le Magnifique, Genève, Droz, 2000, p. 21.
48 M. Firpo, recensione a La Réforme en France et en Italie. Contacts,
comparaisons et contrastes, Études réunies par P. Benedict, S. Seidel Menchi e A. Tallon, Rome, École française de Rome, 2007, in «Rivista Storica Italiana», CXX, I, 2008, pp. 359-368: 366.
l’utilità della sua edizione». Assunto critico che, oltre a tralasciare l’importanza dell’epistola («Parole di convenienza, evidentemente, e nulla più», come ribadiva l’autore dieci anni più tardi), dipendeva ancora largamente dalle pagine pionieristiche sul rapporto tra Europa e Islam di Aldobrandino Malvezzi che sulla dedica di Andrea, nella metà degli anni Cinquanta, si esprimeva così: «L’Arrivabene evidentemente non si rendeva conto della incongruenza di esprimere questi pensieri intorno ai Turchi proprio in una lettera indirizzata a chi, con scandalo di tutta Europa, aveva, proprio allora, stretto con essi alleanza»49.
Mi soffermerò a lungo sulle soglie paratestuali del sommario islamico dell’Arrivabene, vituperato nei secoli a causa dell’ostentata e formulare “promessa da frontespizio” di essere «tradotto dall’Arabo in Lingua Italiana», al fine di sciogliere i dubbi di Carlo De Frede e di Aldobrandino Malvezzi. E soprattutto discuterò, attraverso alcune incursioni nella rete dei rapporti tra editori, poligrafi veneziani e diplomazia europea, le ragioni di una scelta a prima vista peregrina ma che in realtà rivelano, dietro la «ritualizzata morfologia» del testo liminare di dedica, le reali intenzioni ideologiche e commerciali dello stampatore Andrea Arrivabene50.
Il quale, secondo la «sintetica distinzione tipologica» dei testi di dedica che Giovanni Brevio, soltanto due anni prima, nel 1545,
49 C. De Frede, La prima traduzione cit., p. 36; Id., Cristianità e Islam tra la
fine del Medio Evo e gli inizi dell’età moderna, Napoli, De Simone, 1976, p. 68; A. Malvezzi, op. cit., p. 210: «Innanzi tutto, all’evidente scopo di premunirsi da noie o peggio per la pubblicazione di un libro così pericoloso quale il Corano, l’editore lo pose sotto l’egida di Gabriel Puetz Barone d’Aramon, Ambasciatore di Francia a Costantinopoli dal 1546 al 1553, ove negoziò l’alleanza del Re Cristianissimo con Solimano il Magnifico. L’Arrivabene poi nella lettera dedicatoria della sua opera al d’Aramon afferma che essa è utilissima, anzi necessaria, per fare conoscere gli usi e costumi dei Turchi “in questi turbolentissimi tempi nei quali la religione insieme con tutte l’altre cose cristiane, sono per avventura in maggior travaglio che mai più si sieno state in tutti i passati secoli”. Perciò è necessario porsi in grado di difendere e conservare “la nostra religione, la libertà nostra e tutti gli altri honesti commodi e civili ornamenti”». Il Malvezzi, inoltre, corregge il nome dell’ambasciatore in Gabriel Puetz e sottolinea, p. 213: «Questo nome è erroneamente stampato “De Loues” dall’Arrivabene». La grafia dell’Arrivabene è, in realtà, più vicina a quella corretta.
50 M.A. Terzoli, Premessa a I margini del libro. Indagine teorica e storica sui
testi di dedica. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Basilea, 21-23 novembre 2002), a c. di M. A. Terzoli, Roma-Padova, Antenore, 2004, p. VII.
tracciava rivolgendo al cardinale Farnese le sue Rime e prose volgari, sceglie da editore premuroso la categoria delle dediche per ottenere protezione delle opere («scudo e defensione contra chi quelle lacerar volesse»), con l’intento di legare il proprio testo non a un semplice diplomatico straniero ma all’ambasciatore e al finanziatore di numerose opere odeporiche e corografiche, che si rivelerà il cardine del nuovo mecenatismo d’Oriente voluto da Francesco I e orchestrato in patria dal Reverendissimo Tornone:
Resta solo che con ogni debita riverentia supplichi a Vostra Signoria Illustrissima che con questo picciol segno di gratitudine, se per tale appresso di lei meriterà esser tenuto, accetti l’animo ch’io ho di servirla e honorarla più ampiamente, e sia contenta per la sua molta umanità ch’io habbia dell’honoratissimo suo fatto scudo a cosa tale. Il che facendo ella, com’io spero, me lo riputerò a singularissimo favore, e senza più alla sua buona gratia infinitamente mi raccomando51.
51 Alcorano, (5)r-v; M. Paoli, Ad Ercole Musagete. Il sistema delle dediche
nell’editoria italiana di antico regime, in I dintorni del testo. Approci alle periferie del libro. Atti del Convegno internazionale (Roma 15-17 novembre 2004, Bologna 18-19 novembre 2004), a c. di M. Santoro e M.G. Tavoni, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2005, I, pp. 149-165: 156; E. Charrière, Négociations de la France dans le Levant, Paris, Imprimerie Nationale, MDCCCXLVIII, I, 622: «Le cardinal de Tournon, qui dirigeait alors les affaires de la France à l’extérieur, voulut donner à cette ambassade un éclat nouveau, et, pour mieux en relever l’importance, il la fit participer du double caractère d’une mission politique et d’une exploration scientifique et littéraire. C’est le premier exemple d’une manifestation de ce genre, imité dans les époques suivantes par tous les gouvernements; et il appartenait au monarque restarateur des lettres, dans l’ordre des institutions qui signalent le plus son règne, de prendre l’initiative d’une telle innovation». Nel 1545 Arrivabene stampava una traduzione della Vorrede auff die Epistel S. Pauli an die Römer di Lutero, camuffata come Prefatione del reverendissimo cardinal di santa Chiesa M. Federigo Fregoso nella Pìstola di san Paolo a’ Romani, in Venetia, 1545 (In Venetia, per Comin da Trino di Monferrato, 1545), la cui epistola dedicatoria di Rinaldo Corso a suor Barbara da Correggio (vicina al Lando), utilizzava lo stesso stilema codificato da Giovanni Brevio, affiancato a una interessante analogia tra dedicarsi a Dio e dedicare. Riporta il testo della dedica in appendice S. Seidel Menchi, Le traduzioni italiane di Lutero nella prima metà del Cinquecento, in «Rinascimento», XXVIII, 1978, appendice II, pp. 31-108: 106: «Alla qual cosa fare per due rispetti principalmente mi conduco. Prima accioché ella, sì come escie senza nome di traduttore, così non esca senza havere persona che con la sua autorità le faccia scudo. [...] Appresso essendo voi dedicata a Dio, ogni cosa a Dio didicata meritamente vi si conviene». Sull’Arrivabene, ibidem p. 88, n. 2: «Andrea Del Col mi fa amichevolmente notare che l’iniziativa di questa traduzione potrebbe anche (e forse più probabilmente) essere stata veneziana, per le seguenti ragioni. Tipografo ed editore erano veneziani (l’incisione di Cristo con la Samaritana è la marca editoriale di Andrea Arrivabene, il quale in effetti ottenne un privilegio di stampa per dieci anni dal Senato “per la prefattione sopra l’epistola di san Paulo ad Romanos composta per il reverendo cardinale Fregoso”, in data 20 febbraio 1545, cfr. H.F. Brown, Privilegi veneziani per la stampa concessi dal 1527 al 1597, Venezia, Biblioteca
I.2. Il dedicatario
Ragguagli biografici sul d’Aramon si ricavano soprattutto dal resoconto dell’ambasciata, redatto dopo il 1566 dal segretario Jean Chesneau, nativo di Poitiers, rimasto a lungo manoscritto e pubblicato nella malferma edizione parigina di Charles Schefer nel 1887, riedita in anastatica a Ginevra nel 1969. Il dedicatario dell’opera dell’Arrivabene è identificabile, senza difficoltà, con il barone Gabriel de Luels (nome che troviamo nelle diverse grafie Lues, Luel, Luels, Luetz, ma non Puetz come correggeva il Malvezzi), signore d’Aramon e di Valabrègues, figlio del giureconsulto Jean de Luels e di Jeanne, dama di Laudun, vedova in prime nozze di Joachim des Astars52.
Nato tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, sposa a Nîme il 6 gennaio 1526 Dauphine, figlia di Jean de Montcalm signore di Saint-Véran, assistito in quanto orfano di padre da un familiare, probabilmente uno zio materno di nome Jacques de Sarras, signore di Bernis. Poche le notizie sul suo conto durante gli anni Trenta,
Marciana, mss. it. cl. VII, 2500-2502, sub data). Rinaldo Corso poi aveva relazione con i circoli eterodossi veneziani attraverso il fratello Anton Giacomo Corso, amico strettissimo di Orazio Brunetto, che di quei circoli era uno degli animatori (un “Signor Corso anconitano” è menzionato e lodato anche da L. P. Rosello, in Il ritratto del vero governo del principe..., Venezia, Andrea Arrivabene, 1552, ff. 6v e 84r)»; cfr. ora l’edizione critica L.P. Rosello, Il ritratto del vero governo del prencipe (1552), a c. di M. Salvetti, Milano, Franco Angeli, 2008.
52 Représentant permanents de la France en Turquie (1536-1991) et de la Turquie
en France (1797-1991), a c. di J.L. Bacqué Grammont, S. Kunearalp e F. Hitzel, Istanbul-Paris, Institut Français d’Études Anatoliennes-Éditions, Isis Press, 1991, pp. 5-8; R. d’Amat, s.v. Aramon (Gabriel de Luels, seigneur de), in Dictionnaire de biographie française, a c. di J. Balteau, M. Barroux e M. Prevost, Paris, chez Letouzey et ané, 1939, III, pp. 219-222; Le Voyage de Monsieur d’Aramon, Ambassadeur pour le Roy en Levant, escript par Noble Homme Jean Chesneau, l’un des secretaires dudict Seigneur Ambassadeur, publié et annoté par M. Ch. Schefer membre de l’Institut, Paris, Leroux, 1887 (ried. Genève, Slatkine, 1970). J. Paviot, op. cit., pp. 390-391: «Il faut remarquer que l’édition du texte de Chesneau par Schefer a peu de valeur, n’étant pas critique: elle est à rependre. Ayant lu lui aussi tous les textes, Schefer savait pertinemment que Chesneau, écrivant après la mort de Soliman, avait pillé Gassot, mais n’en a rien dit». Sullo stile di Chesneau, cfr. F. Lestringant, Introduction a Voyages en Egypte des années 1549-1552, Jean Chesneau-André Thevet, Le Caire, Institut Français d’Archeologie orientale (IFAO), 1984, pp. 6- 7: «Observateur modeste et scrupuleux, sa fonction maintient le chroniqueur en retrait et laisse le rôle principal à l’Ambassadeur qui paraît être de ce fait, en même temps que le moteur du récit, le véritable narrateur. [...] Ce style discrétement protocolaire, qui maintient comme à distance les multiples drames
eccetto qualche breve ragguaglio, fornito proprio dall’Arrivabene stesso che sembra non ignori le qualità militari del dedicatario prescelto:
La prudentia, il valore, la liberalità nella militia s’è conosciuta sempre in lei, quanto in ogn’altro famosissimo capitano. Siane testimonio fra l’altre la guerra di Provenza, e quella del Piemonte, dove ogniuno sa le sue prove quante e quali fussero e dell’ingegno e della persona, e che honore e laude ne riportasse. Con quanta sapientia poi, con che maturi consigli, con che accommodate maniere si sia sempre governata nei negotii, e maneggi della corte, se ne potrebbono allegar molte cose se non bastasse haverne amplissimo testimonio di quelle volte che dalla maestà del suo Re è stata in facende importantissime adoperata53.
Con «la guerra di Provenza e quella di Piemonte», l’Arrivabene si riferisce probabilmente a una presenza del barone nella guerra contro il duca di Savoia del 1536-1537, cui partecipa anche Matteo Bandello legato al proprio mecenate Cesare Fregoso; e che, dopo l’intervento imperiale, dilaga anche in Provenza. È noto, infatti, che alla testa di un battaglione di mille fanti, il 13 agosto 1537, il d’Aramon è incaricato di occupare la città di Chieri. Dopo le campagne militari piemontesi e provenzali, nel 1539, il d’Aramon subisce una confisca di beni, confermata poi da Enrico II nel 1556, che lo priva di tutte le sue terre, il cui acquisto è dichiarato non valido, e che lo costringe, bandito dal Reame il 15 agosto 1540, a causa del tentativo facinoroso di rientrare in possesso con la forza dei suoi possedimenti, a partire per Venezia54.
et désagréments du voyage pour leur rendre leur juste proportion, confère à toute la narration un charme indéniable».
53 Alcorano, (2)v.
54 Le Voyage de Monsieur d’Aramon cit., p. V: «Le 18 mars de 1539, Guillame de
Poitiers, seigneur de Saint-Vallier, exposait dans une requête adressée au roi que, par différents arrêts rendus par le parlement du Dauphiné, le sieur Dautherieu et le chapitre de Saint-Bernard de Romans, créanciers de feu Aymard de Poitiers, furent mis en possession des terres et seigneuries d’Aramon et de Valabrègues. Un arrangement étant intervenu, Guillame de Saint-Vallier prit possession des ces terres. Mais “le nommé Gabriel de Lües, accompagné de plusieurs gens aventuriers mal vivants et mal renommés, par force et violence et sans autorité de justice, l’avoient expolié, chassé, battu, tué, blessé, mutilé et détroussé plusieurs de ses gens; pris par fore le bien de habitantz, mis le feu et brulé”. Le roi commit pour la connaisance de ces faits, Imbert Tarrau,
Dove è preso alle dipendenze dell’umanista Guillame Pellicier, vescovo di Montpellier e dal giugno 1539 al 1542 ambasciatore di Francesco I presso la Serenissima, il quale, affascinato e convinto dalle qualità militari del barone (di cui si servirà nel 1548 anche il Sultano durante l’assedio della fortezza di Van), lo accoglie sotto la sua protezione. Poco dopo il suo arrivo in Italia il Pellicier invia il giovane d’Aramon, assieme al bretone M. d’Apigny de la Mothe, presso la Mirandola, città che entra nell’orbita francese come centro di reclutamento e vero e proprio baluardo militare al crocevia tra il milanese, i territori veneziani e lo Stato pontificio55.
L’anno seguente è impegnato in una missione assai più delicata a Cremona, dove «deux seigneurs italiens, Jules-César de Gonzague et
prévôt de Valence, qui rendit plusieurs arrêts contre d’Aramon et ses complices, et prononça la confiscation de leurs biens. Ils furent donnés à Guillame de Poitiers, et ils passèrent ensuite entre le mains de Diane de Poitiers; la possession lui en fut confirmée en 1556 par lettres patentes du roi Henri II». Cfr. L. Ménard, Histoire civile, ecclésiastique et littéraire de la ville de Nismes, Paris, Chez Hughes-Daniel Chaubert et Claude Herissant, 1750-1758, voll. VII, VII, pp. 633-634.
55 Il vescovo-umanista Pellicier, conoscitore del siriaco e dell’ebraico è
incaricato, come il cardinale Georges d’Armagnac a Roma, di attirare nella sua sfera d’influenza sia gli intellettuali italiani che i rifugiati della colonia ellenica, al fine di raccogliere e copiare manoscritti greci e latini per la biblioteca di Fontainebleau che costituirà il primo fondo della Biblioteca reale, e di contrastare anche nella politica culturale l’ambasciatore imperiale, l’eminente umanista don Diego Hurtado de Mendoza, conoscitore dell’arabo e possessore di manoscritti arabi. Diventerà così uno dei protagonisti della vita politico-culturale della laguna. Così l’Aretino riassume le sue doti di diplomatico-umanista in una lettera del 23 agosto 1542, P. Aretino, Lettere, Edizione Nazionale delle Opere, a c. di P. Procaccioli, Roma, Salerno, 1999, II, ii, 451, 10-21, p. 440: «Tal che è difficile a conoscere se voi a conoscere se voi ogn’ora studiate, overo se tuttavia negoziate. Oltra di questo, è un miracolo di strana meraviglia il vedervi, in un medesimo tempo, fornire sua Maestà di libri e d’armi; e ciò testimoniano i volumi Greci e i Capitani Italiani, che le intertiene e procaccia l’autorità e la cura de la vostra grave e prudente Signoria». Di grande interesse per conoscere i riflessi della politica franco-turco-veneta nelle dediche e epistole prefatorie è G. Castellani, Da Bartolomeo Zanetti a Tolomeo Ianiculo via Guillame Pellicier, in «La Bibliofilia», XCVI, 1994, pp. 1-13; J. Zeller, La Diplomatie française vers le milieu du XVIe siècle, d’après la correspondance de Guillame Pellicier,
Évêque de Montpellier, Ambassadeur de François Ier à Venise (1539-1542), Paris,
Hachette, 1881 (ried. anas., Genève, Slaktine, 1969), pp. 301-302: «D’Aramon était moins souvent à Venise qu’à la Mirandole, où la France entretenait une garnison. C’est lui qui était chargé de s’entendre avec les princes alliés au sujet des hommes qu’ils s’étaient engagés à fournir, de passer en revue les troupes que le roi soldait, et d’aller étudier sur place les entreprises que l’on proposait à l’ambassadeur. Pellicier écrivait à l’amiral d’Annebaut que les qualités et les vertus d’Aramon méritaient “d’estre recommandées à ung chascun”; il affirmait au roi que, l’ayant éprouvé dans plusieurs affaires délicates et difficiles, il l’avait “treuvé en toutes fort loyal, affectionné et suffisant”».
Paul de Trilago», cercano di impadronirsi della città, con l’intenzione, che resterà senza successo, di consegnarla nelle mani del re di Francia. Nel 1542 d’Aramon, dopo un breve soggiorno francese, torna a Venezia, città da cui continua a occuparsi della situazione militare della Mirandola e da cui parte alla volta di Trento, centro di passaggio obbligato tra i territori dell’Impero e la penisola, per una ricognizione al fine di assicurarsi, de visu, della possibilità di strappare la cittadina al cardinale Madruzzo, recatosi a Venezia per trattare la restituzione di Marano al re Ferdinando. Pochi mesi dopo si trova a Venezia anche Antoine Escalin des Aymars, barone de la Garde, noto come il capitano Polin, il quale negozia senza successo l’entrata della Repubblica nella coalizione franco-ottomana che porterà, nell’agosto del 1543, allo scandaloso assedio di Nizza guidato dallo stesso Polin e dal vassallo barbaresco del khal†fa, richiamato presso il Serraglio e fatto Capudan Pascià nel 1533, il convertito di Mitilene nell’isola di Lesbo, Khair ad-d†n, detto il Barbarossa56.
D’Aramon, recatosi a Costantinopoli insieme al capitano Polin, non