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La Bambola Terapia

Nel documento LA BAMBOLA TERAPIA (pagine 67-71)

CAPITOLO TERZO

3. Terapie non farmacologiche

3.2 La Bambola Terapia

Abbiamo visto quindi come negli ultimi anni, vi siano sempre più richieste da parte dei servizi per l’utilizzo di terapie non farmacologiche, sia con scopi di prevenzione, che di riabilitazione e terapia. Con queste terapie l’accento viene posto su modalità di relazione prevalentemente non verbali, e anche per questo motivo sono particolarmente adatte a curare disturbi legati alle demenze senili, all’Alzheimer, a patologie psichiatriche e a disturbi comportamentali. Si cerca infatti di riabilitare la persona a livello cognitivo e conseguentemente di migliorare la sua qualità di vita. Queste terapie permettono inoltre, una diminuzione del carico farmacologico del paziente in cura.

Il saper ascoltare risulta essere la base di partenza delle terapie non farmacologiche e della relazione d’aiuto più in generale.

Questo metodo di cura viene usato con malati di demenza e punta ad ottenere una diminuzione dei disturbi del comportamento, a mantenere alcune funzioni cognitive o semplicemente per calmare l’anziano in particolari stati di agitazione o di aggressività.

Queste bambole provengono dalla Svezia ed hanno alcune caratteristiche specifiche, che favoriscono e incentivano l’accudimento. In questo modo l’anziano riattiverà una serie di funzioni spesso messe in secondo piano, come le emozioni legate al maternage, un contatto fisico e tattile che gli permette di prendere coscienza di sé, riaccendendo molto spesso ricordi passati legati all’infanzia e alla gioventù.

3.2.1. Storia e sviluppo della Bambola Terapia

Questo particolare tipo di terapia non farmacologica nasce in Svezia verso la fine degli anni Novanta e la sua ideatrice fu Britt Marie Egidius Jakobsson, una psicoterapeuta che ideò la bambola per aiutare il suo bambino affetto da autismo.

Da quel momento in poi, e con uno sviluppo sempre maggiore, le bambole Joyk diventano in tutta Europa un oggetto simbolo nella relazione di aiuto. Esse verranno usate per stimolare l’emotività e l’empatia di bambini e adulti e successivamente come elemento di cura e terapia per i malati di demenza. Sarà il Dott. Ivo Cilesi il responsabile della sperimentazione della terapia in Italia, inserita solamente negli ultimi anni; egli porterà avanti questo progetto, ideando appunto la terapia della bambola e il suo modello terapeutico di riferimento.

Nel corso degli anni egli ha potuto effettuare diverse sperimentazioni, per poi concludere sottolineando la validità terapeutica dell’uso della bambola. Essa può essere utilizzata sia con

agitazione o al contrario depressione ed apatia, per incentivare la relazione e per contenere gli sbalzi d’umore.

Questo metodo di cura consiste nel consegnare all’anziano malato di demenza una bambola che ha alcune caratteristiche fondamentali:

 Le gambe sono poste in posizione allargata e, sono mobili come anche le braccia;

 Lo sguardo è laterale;

 Ha particolari tratti somatici;

 Il collo è mobile;

 Le dimensioni (circa 50 cm) e il peso (che si concentra nella parte posteriore del corpo) sono simili a quelle di un bambino vero;

 Il materiale di cui è composta ricorda la pelle di un neonato;

Tutti questi elementi sono studiati per favorire ed incentivare la relazione con queste bambole, stimolando la voglia di abbracciarle e di entrare in contatto sia fisico che comunicativo con loro.

In base al tipo di problematica per cui si decide di assegnare la bambola, essa assumerà funzioni differenti. Nel caso in cui si abbia a che fare con un deterioramento cognitivo grave o moderato, l’anziano, a causa della malattia non sarà più in grado di distinguere un evento reale da uno immaginario, ed ecco che la bambola viene percepita dallo stesso come un “bambino vero” e riesce a suscitare un insieme di emozioni legate al passato inerenti all’attaccamento, al maternage e all’estremo bisogno di dare e ricevere affetto e amore. Queste bambole suscitano quindi la voglia di accudirle e coccolarle e questo fa in modo che il malato si dimentichi momentaneamente dei suoi problemi perché investe le proprie energie nella bambola che tiene in braccio, la quale stimola la sua attenzione e facilita così un suo rilassamento.

È importante sottolineare però che la risposta a questo tipo di stimolo cambia da soggetto a soggetto, infatti non tutti i malati di demenza riconoscono la bambola come un bambino vero, può succedere che lo riconoscano come un gioco inanimato, che ci giochino per qualche momento perché incuriositi dalla novità, ma che dopo un po’ se ne dimentichino abbandonandolo da qualche parte.

Infine, può succedere che il malato alterni istanti in cui, riconoscendo la bambola come un neonato vero, investa tutte le sue energie per accudirlo a istanti in cui al contrario lo rifiuti o non ne sia minimamente attratto.

Quando si decide di applicare la Terapia della Bambola, i soggetti chiamati a collaborare al progetto sono molte: lo psicologo, l’educatore, gli operatori socio-assistenziali e la famiglia, ciascuno con le proprie competenze e con un proprio ruolo.

Mi sembra fondamentale specificare inoltre che la “Doll-Therapy” non può essere applicata a tutti gli ospitti affetti da demenza indistintamente, ma viene fatta un’attenta valutazione dei casi e vengono così individuati i soggetti ritenuti idonei al progetto. Questa valutazione viene condotta in primis dallo psicologo attraverso degli strumenti appositi e in contemporanea si valuterà l’entità del disturbo comportale attraverso il PAI (Piani Assistenziali Individualizzati).

Di seguito illustrerò nel concreto la “Scheda di inserimento sperimentazione della Terapia della Bambola” che deve essere compilata prima di procedere con la terapia.

Nel documento LA BAMBOLA TERAPIA (pagine 67-71)