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La caduta di Ḥosnī Mubārak e le relazioni regionali durante il periodo d

Nel documento Tra luce ed ombra: i militari in Egitto (pagine 111-114)

4.3 Il Post-rivolte

4.3.1 La caduta di Ḥosnī Mubārak e le relazioni regionali durante il periodo d

L’avvento della “Primavera Araba” in Egitto causa una certa ostilità da parte dell’Arabia Saudita, che si sente minacciata da questi eventi (Sons e Wiese, 2015; World Politics Review, 2011). Infatti, coloro che in Egitto hanno portato avanti la rivoluzione sono considerati dalla monarchia saudita come rappresentanti del regime di Ğamāl ʿAbd al-Nāṣir, quindi rappresentanti del nazionalismo egiziano degli anni ’50 e ’60 (Mandour, 2014). Il re saudita perciò, come anche altri paesi del Golfo, teme che il rovesciamento di Ḥosnī Mubārak avrebbe potuto spingere anche i suoi cittadini ad insorgere contro la monarchia (Darwisheh, 2015; Sons e Wiese, 2015).

Se da una parte l’Arabia Saudita condanna gli eventi del 2011, dall’altra, Iran e Qatar seguono un percorso differente. Durante la Primavera Araba infatti il Qatar accoglie la rivoluzione egiziana sostenendo gruppi islamisti collegati ai Fratelli Musulmani perché vede nel rovesciamento del presidente egiziano Ḥosnī Mubārak una possibilità per guadagnare visibilità a livello internazionale (Abi-Habib e Abdellatif, 2013; Hammond, 2014). Inoltre, anche durante le rivolte del 2011, il Qatar mette a disposizione la sua emittente satellitare al-Ğazīra (Hammond, 2014), che, ponendosi apertamente dalla parte dei protestanti di piazza Taḥrīr, “li ha forniti dell’organo di stampa di cui avevano bisogno per mostrare cosa stava succedendo in Egitto… Cosa che gli altri media

111 egiziani non facevano, e questa posizione ha fatto crescere la buona reputazione del Qatar tra la popolazione egiziana” (Ghannam, 2014, p.9).

Da parte sua, anche l’Iran sostiene le proteste della “Primavera Araba”, e vede la caduta di Ḥosnī Mubārak come l’inizio di una nuova era per l’Egitto (Brom e Guzansky, 2012; Esfandiary, 2012; Kagan et al., 2012; Pradhan, 2013). Infatti, negli anni che seguono il post-rivolte sembra ci siano stati dei segni di riavvicinamento tra i due paesi (Daymon, 2012; Jalal, 2016). Per il Ministro degli Esteri egiziano Nabīl al-ʿArabī, in carica da marzo a luglio 2011, il riavvicinamento all’Iran faceva parte di un tentativo di ristrutturare la politica estera dell’Egitto, aprendo una nuova pagina nelle relazioni internazionali e cercando di normalizzare i rapporti con l’Iran (Farouk, 2014a; STRATFOR, 2012). A prova di ciò, già nel febbraio 2011, poco dopo le dimissioni di Ḥosnī Mubārak, l’Egitto concede a due navi da guerra iraniane di passare attraverso il canale di Suez nel mar Mediterraneo per la prima volta dal 1979, mentre nel giugno 2011, una delegazione diplomatica egiziana visita Teheran e il presidente iraniano Maḥmūd Aḥmadīnejād al fine di porre le basi per riallacciare le relazioni diplomatiche tra i due paesi (Brom e Guzansky, 2012; Cook et al., 2014; Daymon, 2012; Esfandiary, 2012; Farouk, 2014a; Kagan et al., 2012; Nelson, 2011; Shama, 2014).

Nel frattempo, nonostante l’Arabia Saudita percepisca la caduta di Ḥosnī Mubārak come una minaccia, preferisce non incrinare i rapporti con l’Egitto, in particolare con il suo esercito, dal momento che, messi a confronto, quello saudita ha una dimensione molto più ridotta (Farouk, 2014a; Moran, 2012; Morsy, 2013). Un’altra motivazione si trova nel fatto che la monarchia saudita continua ad aver bisogno del supporto egiziano per contenere la crescente influenza iraniana nella regione (Darwisheh, 2015; Sons e Wiese, 2015). Un’ulteriore preoccupazione dell’Arabia Saudita riguarda il già citato presunto avvicinamento dell’Egitto all’Iran che, nonostante si concluda con un niente di fatto, suscita timori nei paesi del Golfo. Durante i primi mesi in seguito alla caduta di

112 Ḥosnī Mubārak, infatti, il Ministro degli Affari Esteri egiziano Nabīl al-ʿArabī e il Primo Ministro ʿIṣām Šaraf, nel tentativo di corteggiare la monarchia saudita e tranquillizzarla, hanno insistito su due questioni fondamentali: la prima riguarda il fatto che le relazioni con l’Iran non sarebbero andate alle spese dei rapporti tra Egitto e le monarchie; la seconda, che il mantenimento della sicurezza e della stabilità nel Golfo era tra le loro massime priorità.

In seguito a questa dichiarazione, Nabīl al-ʿArabī si reca in visita in Arabia Saudita, esempio preso in seguito dal Primo Ministro per tranquillizzare il monarca sulla questione dell’Iran. Il vero motivo di queste visite, tuttavia, riguarda gli aiuti finanziari, e infatti, Arabia Saudita e altri paesi del Golfo, nel tentativo di dissuadere la repubblica egiziana dal riavvicinamento all’Iran, promettono all’Egitto aiuti e finanziamenti (Esfandiary, 2012; Farouk, 2014a). La motivazione sottostante a queste rassicurazioni quindi può essere data dal fatto che il regime militare egiziano creatosi in seguito all’estromissione di Ḥosnī Mubārak ha a cuore i rapporti con la monarchia per godere di aiuti economici da parte sua. Il CSFA, perciò, blocca velocemente le aperture verso l’Iran, ponendo fine ai tentativi di normalizzazione delle relazioni con l’Iran (Kagan et al., 2012; Shama, 2014).

Quindi, in seguito alla caduta di Ḥosnī Mubārak e alla consegna del potere nelle mani del CSFA nel febbraio 2011, l’Arabia Saudita, assieme ad altri paesi del Golfo, promettono assistenza finanziaria al regime militare per un valore di circa 17 miliardi di dollari (Khalifa Isaac, 2015; World Politics Review, 2011). Questi aiuti, tuttavia, anziché sostenere una fase di transizione per arrivare a più libertà politiche e maggiore democratizzazione, mirano piuttosto a fermare le spinte rivoluzionarie e a stabilizzare lo stato egiziano, sul quale, come detto in precedenza, l’Arabia Saudita conta molto (Sons e Wiese, 2015).

113 Quindi, per tutto il periodo di transizione le relazioni tra Egitto e Arabia Saudita sono di reciproca utilità: l’Egitto necessita di assistenza economica e finanziaria, mentre la monarchia saudita ha bisogno della potenza militare egiziana per contrastare la minaccia costituita dall’Iran. Infatti, la stabilità dello stato egiziano continua ad essere vista come la chiave per la stabilità dell’intera regione (Khan, 2015).

Nel documento Tra luce ed ombra: i militari in Egitto (pagine 111-114)