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La certificazione nella recente giurisprudenza »

stigmatizzato, con affermazioni dirompenti e senza possibilità di fraintendimenti, il ruolo che svolge l’istituto della certifica- zione nel nostro ordinamento.

Per la prima volta, infatti, a seguito di specifica contesta- zione da parte di un lavoratore, il Tribunale, chiamato a giudi- care il valore giuridico da attribuire ad un contratto certificato, ha qualificato il rapporto di lavoro disattendendo completa- mente le conclusioni del Certifier e affermando l’assoluta inuti- lità della certificazione nel sistema giuridico203attuale.

Nello specifico, la società Isonzo Multiservice, cooperativa di trasporto merci per conto terzi, veniva condannata dal primo giudice all’assunzione a tempo indeterminato di un la- voratore ghanese, già proprio collaboratore con contratto di la- voro a progetto, essendo stata riconosciuta la natura subordi- nata del rapporto intercorso tra le parti.

200Secondo M. TATARELLI, op. cit., il comma 17 attribuisce alle commissioni

poteri di accertamento retroattivo, quindi di definizione e di stabilizzazione del pas- sato, così amplificando la rilevanza della preclusione, senza, però, precisare quali siano gli strumenti istruttori che possano consentire tale operazione.

201S. CENTOFANTI, op. cit., passim.

202Corte di Appello di Brescia 22.2.2011, in RIDL, 2011, 4, p. 1159. 203A. ROTA, Sull’(in)efficacia deflattiva della certificazione nel contenzioso sulla qualificazione del rapporto di lavoro, in RIDL, 2011, 4, p. 1164.

A seguito dell’appello proposto dalla società, il giudice di secondo grado, confermava la precedente sentenza, riscon- trando tra le mansioni del ricorrente, come già era avvenuto in primo grado, numerosi indici di subordinazione, in riferimento ai tempi e ai modi della prestazione, nonché alla soggezione del dipendente al potere disciplinare e gerarchico del datore di la- voro.

Inoltre, il giudicante, sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, era stato chiamato a valutare “la reale volontà ne- goziale del lavoratore”, dal momento che – in pendenza di rap- porto – il contratto di lavoro era stato certificato (contestual- mente ad altri contratti di egual specie) ai sensi dell’art. 75 e ss. del d.lgs. 276/03 da una Commissione di certificazione presso una sede universitaria204, le cui attestazioni erano state conte-

state in toto.

In particolare, il Tribunale di Brescia rilevava che «…ben possono sussistere dubbi sulla spontaneità e condivisione del- l’iniziativa [cioè, la decisione comune ad entrambe le parti di presentarsi dinanzi ad una commissione di certificazione, nda], attesa la diversa posizione dei due contraenti e attesa la circo- stanza che questa procedura di certificazione, come si evince dalla medesima, è stata fatta contestualmente per una moltepli- cità di contratti a progetto, conclusi con diversi lavoratori, per il servizio di cui si tratta, e a maggior ragione questi dubbi de- vono sussistere se si considera che il lavoratore è cittadino gha- nese, che non necessariamente è in grado di apprezzare conte- nuto ed effetti di questa procedura. In ogni caso la volontà espressa dal lavoratore è stata una volontà di qualificare il con- tratto come contratto a progetto, ma se il contratto concluso non aveva i presupposti e le caratteristiche essenziali del con- tratto a progetto questa volontà è irrilevante».

Tanto premesso, il giudice di secondo grado, chiariva che, nonostante le numerose aperture interpretative in tema di qua-

204Nella specie si trattava del Centro Studi Marco Biagi, con sede presso l’U-

lificazione dei contratti, la giurisprudenza è sempre rimasta concorde nel ritenere che «la natura del rapporto di lavoro, a cui accedono tutele diverse e norme inderogabili diverse, non è materia disponibile per le parti».

Per questi motivi, la decisione della Corte di Appello sta- biliva, in maniera inconfutabile, che «…la certificazione del contratto a progetto (effettuata dall’Università di Modena e Reggio Emilia) non può essere vincolante per il giudice».

Infatti, «se si espungono dalla certificazione tutte le affer- mazioni di pura valutazione, che a loro volta riprendono affer- mazioni di contenuto identico e analogo al contratto, al fine di enucleare le circostanze concrete che possono essere dirimenti per la qualificazione del rapporto di lavoro voluto dalle parti, non rimane di questa certificazione pressoché nulla».

La sentenza non lascia spazio a dubbi; la terminologia scelta dal giudicante è inequivocabile nella sua assoluta sempli- cità e chiarezza: la certificazione 1) non è vincolante per il giu- dice e 2) concretizzandosi in mere affermazioni formali, non ha alcun valore qualificatorio per le parti.

Infatti, pur trovandosi a sottolineare l’indiscutibile posi- zione di debolezza del lavoratore nel caso concreto, certamente dovuta quanto meno alla scarsa conoscenza linguistica e alla difficoltà di poter comprendere portata ed effetti della proce- dura certificatoria, il Tribunale di Brescia coglie l’occasione per ribadire come la volontà delle parti in sede di certificazione debba essere valutata come oggetto di prova e non come fon- damento unico della decisione205.

Pertanto, senza voler mettere in discussione la buona fede del certificatore206, la Corte di Appello con poche battute de-

molisce il castello di carte su cui era stato edificato l’istituto della certificazione.

205A. ROTA, op. cit., passim.

206Benché, aleggi tra le righe della sentenza un certo scetticismo sulla serietà

dell’accertamento condotto dal certifier, al punto che la sentenza ha rappresentato anche un caso per la stampa. In particolare si veda L. PIANA, “Il bollino blu di Tira-

L’esperienza pratica, infatti, ha sostanzialmente dimostrato che la tanto caldeggiata capacità deflattiva del contenzioso in materia di qualificazione del rapporto di lavoro attribuita all’i- stituto della certificazione, caratteristica che ne ha dall’origine giustificato l’introduzione nel nostro ordinamento, trova a tutt’oggi scarsissima applicazione nella realtà concreta.

Non solo, dunque, il certificatore non appare in grado di rappresentare una garanzia di certezza qualificatoria, ma, in ogni caso, la valutazione fornita dal certifier non risulta assolutamente in grado di impedire una ri-qualificazione da parte del giudice.

Una conclusione che, pur perfettamente coerente alla realtà dei fatti e rivelatrice delle effettive capacità dissuasive della certificazione rispetto alla litigiosità delle parti, si trova in totale dissonanza con l’operato del recente legislatore, che – come già precedentemente chiarito – ha azionato con la nor- mativa del 2010 un processo di rivitalizzazione della certifica- zione, senza però in alcun modo risolvere le incoerenze della pregressa disciplina.